Il nodo gordiano dei consumi

Autore

Alessandro Leonardi, Raffaele Alberto Ventura

Data

20 Ottobre 2023

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5' di lettura

DATA

20 Ottobre 2023

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PAROLE CHIAVE


Filosofia

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Quanto può essere sostenibile un pianeta con 10 miliardi di consumatori?

Secondo le ultime proiezioni delle Nazioni Unite la popolazione mondiale raggiungerà il suddetto traguardo fra il 2050 e il 2060. Un aumento consistente che verrà rallentato e poi fermato unicamente dall’inverno demografico, il quale sta coinvolgendo gran parte delle nazioni avanzate e che probabilmente intaccherà le altre in via di sviluppo.

Di fronte a questi trend alcuni politologi sono soliti riproporre in maniera ingenua le tesi simil-malthusiane sull’eccessiva crescita della popolazione, sulla necessità di contenere le nascite in certe aree del mondo e stabilizzare così il numero degli abitanti della Terra. Una prospettiva limitata, che non tiene conto delle dinamiche del Sistema industrializzato.

Come già notò Erich Fromm nel 1965 (Socialist Humanism. An International Symposium), la Modernità nel XX secolo ha visto l’ascesa di una nuova figura, l’Homo consumens, espressione della forza dominante delle società industrializzate: il consumismo privo di limiti.

Se il pianeta fosse popolato da 10 miliardi di individui con l’impronta ecologica dei Paesi africani più poveri nessuno si starebbe ponendo il problema della ‘sostenibilità’. Ma essendo inseriti in un modello che persegue la crescita materiale infinita attraverso la figura del consumatore, con i suoi inesauribili desideri incentivati dal Sistema stesso, diviene evidente che la rapida alterazione dell’ecosistema è ineluttabile, indipendentemente da una cristallizzazione delle nascite.

Consci dei problemi dettati da questo meccanismo autonomo ed esteso ormai su scala planetaria vari pensatori, ambientalisti e teorici hanno più volte invocato la riduzione dei consumi o quantomeno una loro ‘stabilizzazione’ su un livello accettabile per gli equilibri ambientali. Invocazioni che sono tornate recentemente in auge di fronte all’aggravarsi della crisi climatica, e ancora maggiormente in Europa con la crisi energetica in corso.

Austerity, risparmio, sobrietà, sono diventati i nuovi imperativi sociali, seppure in maniera momentanea ed emergenziale. Perché se da una parte i climatologi fanno notare che i consumi fuori controllo stanno distruggendo il nostro habitat naturale, dall’altra gli economisti ribadiscono che senza il persistente consumismo la nostra civiltà industriale sarebbe destinata al caos, fra depressione economica, esplosione della bolla globale dei debiti e gli effetti a cascata su un assetto strutturato fin dalle origini per aumentare i consumi e la produzione, intrecciati in un groviglio inestricabile.

Un nodo gordiano di tale portata, con miliardi di poveri che pretendono giustamente di accedere ai comfort dei benestanti del primo mondo o anche solo banalmente agli elementi essenziali per una vita dignitosa, può essere gestito solo con la più grande redistribuzione di risorse della Storia; dai Paesi più ricchi a quelli più poveri, dalle fasce più ricche a quelle meno abbienti. Questa sarebbe la soluzione secondo i nuovi teorici della decrescita, o più propriamente i fautori del ‘Pil stazionario’.

Ma in un Sistema globale fondato sul godimento materiale, sull’accumulazione personale, sul perseguimento di una migliore posizione sociale, quanti potrebbero accettare volontariamente e repentinamente una riduzione del proprio tenore di vita a favore di sconosciuti?

Nel corso della Storia umana la riduzione effettiva delle disuguaglianze sul larga scala e in società di massa si è verificata solo in situazioni estreme come le guerre mondiali, violente rivoluzioni o pandemie distruttive come la peste nera, se non addirittura con un collasso vero e proprio della civiltà esaminata. Un pericoloso monito dal passato che illustra certe dinamiche delle società complesse.


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