Ci sono cose che le misure economiche non riescono a contare. Per esempio sappiamo effettivamente che sul piano quantitativo, a livello nazionale e internazionale, aumenta la polarizzazione tra ricchissimi e poverissimi, a causa di fenomeni di sovra-accumulazione del capitale e di sovra-valorizzazione degli attivi.
Ma abbiamo maggiori difficoltà nel descrivere le disuguaglianze sottili che determinano, all’interno di una più ampia classe media mondiale, l’accesso alle risorse e la soddisfazione dei bisogni. E queste disuguaglianze sottili non sono meno importanti di quelle più marcate, in quanto permettono di situare la posizione di ognuno relativamente alla prospettiva del collasso.
Non a caso è fin dagli anni 1970 che gli scienziati sociali hanno definitivamente abbandonato la rigida dicotomia delle classi, d’ispirazione marxista, per abbracciare un approccio all’insegna della stratificazione, d’ispirazione weberiana.
La condizione sociale di ogni individuo è determinata dalla combinazione di numerosi fattori, che non includono soltanto il capitale economico ma anche il capitale sociale, quello culturale, lo statuto giuridico, la provenienza geografica, eccetera. Si pensi al ruolo concreto dei titoli di studio nel determinare la posizione professionale.
Proprio nell’opera di Max Weber, che data ormai di un secolo fa, si trova un’intuizione che ha attirato l’attenzione degli scienziati sociali: quella delle ‘chance di vita’ (in tedesco Lebenschancen). Secondo il sociologo tedesco ogni individuo è dotato di un differente capitale di opportunità, in input, che determina probabilisticamente la sua parabola esistenziale, in output.
Nella società liberale le disuguaglianze sociali non sono dunque prodotte da meccanismi rigidi e inesorabili, ma dall’accumulazione di fattori, di occasioni e anche di colpi di fortuna. Quest’idea sarà ripresa e sviluppata da Ralf Dahrendorf, ormai mezzo secolo fa, per denunciare la differenza tra gruppi sociali in funzione degli orizzonti di possibilità di cui dispongono. Concentrandosi sulle chance di vita cambiano anche gli obiettivi di policy, che diventano: dare a tutti le stesse opportunità di mobilità sociale e, se queste non ci sono, applicare dei correttivi. Un approccio non esente da criticità, in quanto conserva e anzi esalta l’ideale di concorrenza sul quale è fondato l’ordine liberale.
Tuttavia il modello delle chance di vita, solo lievemente adattato, risponde bene alle sfide del collasso. Adattato o per meglio dire rovesciato: più che la probabilità di farcela oggi a fare la differenza è l’esposizione al rischio. La civiltà industriale è in grado di offrire a poco prezzo sicurezza e alimentazione, il grosso della piramide dei bisogni, ma non di metterci al riparo dalla prospettiva di una catastrofe.
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