Energia arcobaleno

Libri e Film - la rubrica con i consigli di lettura e non solo della Redazione di Equilibri Magazine.

Autore

Luciano Canova

Data

7 Aprile 2023

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TEMPO DI LETTURA

4' di lettura

DATA

7 Aprile 2023

ARGOMENTO

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Non tutti gli incantesimi volano

Al mero tocco della fredda scienza?

Ci fu un terribile arcobaleno un tempo in paradiso:

conosciamo il suo guaito, la sua struttura; è data

nel noioso catalogo delle cose comuni.

La scienza taglierà le ali di un Angelo,

Conquisterà tutti i misteri con leggi e linee,

Aria vuota ed infestata, e miniere di gnomi –

Lamia, John Keats

Scomporre un arcobaleno!

Mi gioco qualche riga di una breve recensione su un libro di economia dell’energia partendo da una poesia. E giuro che non è per fare la figura di quello colto, che non sono, ma è perché, nel leggere Energia arcobaleno di Alessandro Lanza, i versi di Keats mi sono venuti in mente.

O meglio, mi è venuto in mente che Keats aveva scritto tanto tempo fa delle parole che in qualche modo aiutano a introdurre il libro. 

Ultimo antefatto: quello di Lanza è un saggio che fa chiarezza sull’economia dell’idrogeno e sulla sua futuribile filiera.

E allora perché Keats?

Perché Keats in quei versi accusava Newton e la scienza di rendere l’arcobaleno noioso, volendo a tutti i costi ridurlo a leggi indubitabili e a numeri certi.

A me la poesia di Keats è sempre sembrata stonata: che la poesia si occupi della poesia, per l’appunto, e lasci alla scienza il compito di spiegare che ci accade. 

Lavoraccio davvero, proprio perché, a differenza della poesia, la scienza spesso non è sexy.

Ma è un lavoro necessario e prezioso, prima che troppi cantori finiscano con il rimare tra loro e con il farla troppo semplice, che non è la stessa cosa che rendere semplici le cose.

Energia arcobaleno, uscendo di metafora, è dunque un libro snello che aiuta un lettore curioso generalista a capire finalmente  cosa ci sia dietro all’idrogeno e cosa ci aspetti: senza alcuna licenza poetica, ma con l’ausilio del ragionamento e dei dati.

Sia chiaro, Lanza ci accompagna in questo viaggio all’interno dell’idrogeno con uno stile godibile e ricco di toccate e fuga nella narrazione, a partire dall’efficacissima breve storia delle transizioni energetiche (plurale d’obbligo) con cui il libro ha inizio.

Ma l’obiettivo è spiegare l’economia dell’idrogeno a partire dai fondamentali e senza cedere il passo né ai catastrofismi disperanti di chi dice: «è soltanto una moda passeggera», né agli entusiasmi sbarazzini di chi pensa di avere trovato la pietra filosofale sul sentiero della decarbonizzazione.

Cinque brevi capitoli che entrano nello specifico e rispondono ad alcune domande: cos’è l’idrogeno e come lo si produce? Quando sarà possibile avere una quantità significativa di idrogeno? Per quali utilizzi potrà rivelarsi prezioso? Chi paga il conto della cena?

Partire dai fondamentali significa spendere parole sulla distinzione tra fonte energetica o vettore, perché l’idrogeno rientra nella seconda categoria. 

L’idrogeno è l’elemento più diffuso dell’universo, ma il fatto è che non ci sono né dobbiamo pensare a giacimenti di idrogeno molecolare (H2), quello che interessa per liberare energia. 

L’idrogeno presente sulla Terra appare sempre come elemento di un composto: nell’acqua ce lo ricordiamo tutti insieme all’ossigeno ed è presente con atomi di carbonio per formare il metano. 

Produrre idrogeno, dunque, significa estrarlo dai composti dove è già presente. È un vettore perché porta con sé energia che può essere liberata in modi e tempi debiti. 

L’idrogeno può fare da combustibile e ha una serie di vantaggi: non produce, bruciando, CO2, ma solo vapore acqueo, e ha una buona densità energetica che garantisce efficienza nelle sue applicazioni.

Inoltre l’idrogeno, da buon vettore, trasporta energia e ne può essere magazzino: proprio il suo potenziale di stoccaggio ne fa un’opzione interessante per il futuro.

Abbiamo detto che l’idrogeno, per essere prodotto, va estratto dai composti dove si trova, il che significa che serve energia per compiere l’operazione ed è proprio da ciò che derivano i colori dell’arcobaleno con cui viene classificato l’idrogeno: grigio (da gas metano), rosa (da energia nucleare), blu (da gas metano ma con il recupero della CO2 prodotta attraverso sequestro e stoccaggio), verde (da energie rinnovabili).

Energia arcobaleno descrive brevemente e con semplicità la tassonomia e si concentra poi sulla domanda chiave: quale sarà il ruolo dell’idrogeno nella transizione energetica?

Probabilmente l’economista che è in me (e soprattutto nell’autore del libro), vorrebbe soffermarsi su alcuni punti e concetti: pensare al margine, costo opportunità, tasso di sconto.

Credo che queste siano le griglie attorno a cui il ragionamento di Lanza si sviluppa, a cominciare da un punto chiave: quello energetico è un problema complesso e primo compito di chi se ne occupa è sgomberare il campo da facili speranze. Non esiste una killer app, insomma: si invoca qua e là la storia della fusione nucleare, speranza e monito contro le soluzioni chiavi in mano.

E dunque viene utile il modo di ragionare dell’economia: pensare al margine, più che considerare l’idrogeno come la panacea a ogni male, significa pianificare investimenti e progetti con l’obiettivo di fare dell’idrogeno una freccia all’arco della decarbonizzazione.

Negli scenari più rosei dell’Unione Europea, la quota dell’idrogeno sul mix energetico passerebbe dal 2% attuale al 14% nel 2050. Può sembrare poco, ma è un impatto significativo e, di nuovo, in un approccio di contributo marginale significa concentrarsi su quelli che potrebbero essere razionalmente gli impieghi più saggi dell’idrogeno: farne un componente importante nei cosiddetti settori hard to abate (acciaierie o siderurgico, per esempio), in cui la maturità tecnologica è già molto sviluppata; sfruttarne la flessibilità di impieghi in un’ottica di sector coupling, o integrazioni delle reti, servendosi dell’idrogeno verde al fine di immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili non programmabili, in questo modo sfruttando le sinergie tra la filiera elettrica, la filiera del gas e i settori di uso finale.

Il secondo concetto chiave è quello di costo opportunità: non ci sono soltanto i costi diretti associati agli investimenti necessari per avviare e sviluppare la filiera dell’idrogeno, ma il ragionamento deve inevitabilmente coinvolgere anche gli usi alternativi di quel denaro, soprattutto in chiave di competizione con altre forme di uso dell’energia volto ad abbattere le emissioni. 

Per esempio, sul fronte della mobilità, vale la pena investire sulle auto a idrogeno quando il settore della mobilità elettrica vive un momento di grande crescita e ha probabilmente raggiunto un vantaggio competitivo difficile da colmare? Oltre all’immaturità tecnologica, la competitività di costo è chiaramente un elemento da tenere in considerazione quando si pianifica lo sviluppo di una filiera.

Infine, il tasso di sconto, l’eterna tensione tra visione di breve termine e di lungo: gli scenari concernenti l’idrogeno riguardano il brevissimo (2025), il medio termine (2030) e il lungo termine (2040 e oltre). 

Il libro di Lanza è perfetto nel descrivere le grandi opportunità e i vantaggi che deriverebbero dall’uso dell’idrogeno come freccia all’arco delle strategie di decarbonizzazione, ma è pure preciso nell’evidenziare alcune criticità: l’immaturità tecnologica di molte soluzioni, i costi non ancora competitivi, l’inerzia comportamentale degli utenti finali.

Tutto ciò sembra risolversi in una prudente melina dei vari attori coinvolti: quelli pubblici che pianificano obiettivi di lungo termine ma prevedono di stanziare ‘soldi veri’ in un periodo ancora lontano, con la classica strategia del ‘decidere di non decidere’; gli investitori privati che, a meno di grandi disponibilità, non vanno oltre interessanti progetti pilota e di ricerca e sviluppo, aspettando probabilmente un sistema di incentivi e sussidi coordinato dalla mano pubblica, decisamente visibile.

E neanche troppo velatamente, appare piuttosto chiaro che il conto della cena finirà con l’essere pagato dal sempiterno contribuente, che poi significa che, in un quadro di incertezza, i costi si spalmeranno tra tutti gli attori coinvolti.

È troppo poco? È uno scenario pessimista? No, è semplicemente una valutazione coerente fondata sui dati. 

Il peso medio delle risorse destinate in Europa dai PNRR (Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza) all’idrogeno è di circa il 7% sui fondi destinati alla green transition. E questo 7% è una media tra paesi, come la Germania, in cui i tempi sono più maturi e la percentuale sale al 25%, e altri in cui essa scende anche sotto al 5%.

L’Italia destina all’idrogeno nel PNRR circa 3 miliardi di euro, gran parte dei quali allocati per i settori hard to abate.

Non è miopia crudele, ma il modo in cui l’agire umano è spesso condizionato in contesti di rischio e incertezza: sguardo al breve e non troppo peso, conseguentemente, a un futuro ancora lontano.

Ma libri come Energia arcobaleno (Il Mulino, Bologna, 2023, € 13,00) non sono pessimisti, anzi.

Sono salutari descrizioni dello stato dell’arte e del quadro rispetto a temi di rilevanza politica e, dunque, in ultima istanza, sui quali anche noi cittadini possiamo e dobbiamo formarci opinioni informate.

L’idrogeno non rappresenta, probabilmente, la soluzione ultima al problema della crisi climatica, ma nemmeno è da considerarsi come risorsa insignificante per il policy maker.

Sarà che ho concluso, non brillantemente, il corso di primo livello per sommelier, ma nella valutazione delle proprietà organolettiche di un vino bisogna esprimere un giudizio sullo stato evolutivo, vale a dire a che punto sta il vino che si sta bevendo: i termini sono ‘immaturo, giovane, pronto, maturo o vecchio’.

Rifuggendo dagli estremi, che rappresentano per un vino ‘immaturo’ una bevanda che è nata male e non potrà migliorare e per uno ‘vecchio’ una bottiglia che ha smesso da tempo di produrre quello che prometteva, i termini dinamici sono gli altri.

E verrebbe da dire che l’idrogeno rappresenta una possibilità ‘giovane’: c’è del potenziale, insomma, e questa soluzione potrà rappresentare un pezzo importante nella strategia di contrasto alla crisi climatica. 

Serviranno anni, fiducia e coraggio, ma il bouquet della complessità richiede proprio questo tipo di approccio.

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