La fisica del cambiamento climatico

Libri e Film - la rubrica con i consigli di lettura e non solo della Redazione di Equilibri Magazine.

Autore

Veronica Ronchi

Data

18 Novembre 2022

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5' di lettura

DATA

18 Novembre 2022

ARGOMENTO

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Spiegare le basi scientifiche e le predizioni associate al cambiamento climatico in modo semplice e accessibile è possibile. Lo dimostra il bel libro di Lawrence M. Krauss, La fisica del cambiamento climatico, (Raffaello Cortina Editore, 2022, € 18,00), un lavoro che cerca di colmare il divario tra fisica e scienza del clima, offrendo una ricca esposizione di strumenti essenziali per comprendere la fisica dei cambiamenti climatici attraverso una lettura stimolante e accattivante.

Krauss, alla luce delle conoscenze di cui disponiamo e del progresso delle analisi scientifiche sul cambiamento climatico, guida il lettore verso la storia delle relative scoperte scientifiche e, cosa assai rara per un libro divulgativo, ci porta davvero nei laboratori di Joseph Fourier, John Tyndall e Svante Arrhenius, di cui ci indica le favolose scoperte e le predizioni sull’innalzamento delle temperature.

Ma ancor più interessante in questo volume, sono i dati preoccupanti sull’oggi che l’autore ci illustra. Esaminiamone solo alcuni:

Il carbonio nell’atmosfera prima dell’era industriale era di 600.000 milioni di tonnellate, a cui si sono sommati altri 500.000 milioni di tonnellate negli ultimi 200 anni, che con l’attuale tasso di emissioni dovrebbe salire a 2,2 miliardi di tonnellate verso l’anno 2100. Con circa 10 miliardi di tonnellate di carbonio o più di 36 miliardi di tonnellate di CO2 emesse all’anno, l’attività industriale ha emesso nell’atmosfera 400 Gt di carbonio negli ultimi 60 anni, equivalenti a due terzi delle emissioni di CO2 degli ultimi milioni di anni. Questo processo ha portato oggi ad avere 417 ppm (parti per milione) di CO2 nell’atmosfera, un dato senza precedenti nella storia umana: nel 1958 erano 315 ppm e in epoca preindustriale circa 270 ppm, cifra rimasta al di sotto di 300 ppm per 800.000 anni, tranne per un picco a 300 ppm 350.000 anni fa. A ciò va aggiunta la stima che «nei prossimi 150 anni l’umanità emetterà nell’atmosfera tra 1.000 e 4.000 Gt di carbonio in più o, che è lo stesso, fino a sette volte la quantità di CO2 immessa nell’atmosfera prima della nascita della civiltà moderna».

Con la temperatura del pianeta aumentata di circa 1,1°C dall’inizio dell’era industriale, se nel 2011 la riduzione annua delle emissioni necessaria per raggiungere 1,5ºC (secondo l’accordo di Parigi) era stimata al 3,7%, oggi è del 9%. Per questo, «ogni anno che passa senza cercare di limitare seriamente l’aumento della temperatura dovuto all’effetto serra, il raggiungimento dell’obiettivo diventa più difficile e più costoso».

• L’aumento della temperatura media degli oceani, di 0,075ºC in più nel 2019 rispetto al periodo 1981-2010, è «equivalente al calore aggiuntivo che sarebbe stato prodotto dall’esplosione in mare di 3.600 milioni di bombe atomiche come quella di Hiroshima»; cioè «circa cinque bombe di Hiroshima al secondo, giorno e notte, 365 giorni all’anno, negli ultimi venticinque anni». Questo, con la conseguente dilatazione termica dell’acqua, ha portato tra il 1992 e il 2015 a un aumento medio del livello del mare di 3,3 mm all’anno. Si prevede quindi un inevitabile aumento di circa 25 cm con le sole emissioni accumulate, e di un metro o più nel caso in cui le emissioni durante questo secolo continueranno al ritmo attuale, il che porterebbe alla scomparsa di vaste aree costiere nel Sud-est asiatico, in Europa, nel Medio Oriente, nell’Africa orientale e in diverse regioni del continente americano.

• Questo innalzamento del livello del mare, insieme ai cambiamenti nelle correnti oceaniche (a causa della disparità nella variabilità della temperatura nelle diverse regioni, del profondo mescolamento termico e dell’aumento dell’acqua dolce) porterà, come già sta accadendo, a un crescente cambiamento delle precipitazioni globali, con riscaldamento a lungo termine nell’emisfero sud e raffreddamento nel nord, a causa dell’asimmetria nella distribuzione della terra e dell’acqua in ciascun emisfero. Questa variazione delle precipitazioni, con ogni probabilità, scatenerà, tra l’altro, siccità e inondazioni di dimensioni e carattere imprevedibili, con effetti catastrofici per le popolazioni e per la biodiversità.

• Sulla terraferma, gli effetti di queste distorsioni possono portare a punti di non ritorno, con il proliferare di parassiti, decadimento floreale e incendi che trasformeranno le foreste in fonti di carbonio. La deforestazione dell’Amazzonia, che oggi raggiunge il 17%, colpisce gravemente l’umidità della foresta. Questo processo potrebbe trasformare il polmone principale del pianeta in un’ampia savana, che «rilascerebbe nell’atmosfera enormi quantità di CO2, finora immagazzinata negli alberi e nella vegetazione». Uno studio prevede che questo punto di non ritorno arriverebbe con una deforestazione compresa tra il 20% e il 25% dell’Amazzonia, che al ritmo attuale sarebbe raggiunta entro la metà di questo secolo. Tuttavia, la combinazione di disboscamento, incendi e riscaldamento globale potrebbe accelerare il processo in modo da arrivare a questo punto prima della fine di questo decennio. La fisica del cambiamento climatico affronta a malapena la dimensione sociale e politica di questa realtà scientifica, facendo solo notare che le regioni che stanno soffrendo più gravemente gli effetti della crisi climatica sono concentrate nelle zone equatoriali o tropicali che «meno hanno contribuito a causare questo riscaldamento» e hanno «minore capacità di mitigarne gli effetti». Le tragiche conseguenze che stiamo vivendo accelereranno, con conseguenze ancora più catastrofiche e imprevedibili, fenomeni drammatici come quelli dei rifugiati climatici, materia in cui l’Occidente ha una responsabilità inevitabile.

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