You’re just a memory (parte 3). La disintegrazione delle memorie collettive

Simultaneità, disordine cronologico interiore, il presente unico orizzonte di senso: la deriva neo-tribale dei social genera identità estreme. E l'Intelligenza artificiale ridisegna l'architettura delle nostre memorie.

Autore

Roberto Di Caro

Data

9 Ottobre 2023

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6' di lettura

DATA

9 Ottobre 2023

ARGOMENTO

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Time is out of joint.

WILLIAM SHAKESPEARE, Amleto

Tutto ciò che appartiene soltanto al presente muore con esso.

MICHAIL BACHTIN, Estetica e romanzo

You’re just a memory.

THE ROLLING STONES, Memory Motel

Il tempo è uscito dai cardini. Se la follia di Amleto è l’ossessione del passato, la nostra è quella del presente. La logica immersiva e imperante del tempo reale è l’irrealizzazione del tempo, nel suo dispiegarsi dal passato al futuro. Lo appiattisce come lo spazio per gli esseri bidimensionali immaginati da Edwin Abbott in Flatland, uno dei suoi geniali racconti matematici. Da ‘immagine mobile dell’eternità’, qual era il tempo per Platone, a ‘l’eternità in un attimo’, commedia romantica su Netflix e tatuaggio tra i più gettonati dai millennials. Presentismo (copyright François Hartog), ovvero quel regime di storicità in cui «un presente invadente e onnipresente non ha oltre orizzonte se non sé stesso, e fabbrica quotidianamente il passato e il futuro di cui, di volta in volta, ha bisogno».

Tutto questo, più o meno, è stato detto e scritto. Ma è solo l’aspetto più evidente. Dirompenti sono le sue implicazioni, e un ruolo preponderante vi giocano, al tempo della Rete, dei social e dell’Intelligenza Artificiale, i meccanismi della memoria, individuale e collettiva. A cominciare dalle manifestazioni di quello che possiamo indicare come disordine cronologico interiore.

PATOLOGIE. In psicopatologia il fenomeno è ben noto. Nel 1914 Charles Blondel (per citare l’amico e critico del Maurice Halbwachs cui dobbiamo la nozione di ‘memoria collettiva’) racconta in dettaglio in La conscience morbide sette casi di pazienti con profonde alterazione del regime dei ricordi: dall’inestricabile sovrapposizione di accadimenti in cui tale Charles vive «in una sorta di ritiro dal passato e dall’avvenire», alla «magnifica indifferenza» di una Gabrielle che ricorda in versioni ogni volta diverse, improbabili e incompatibili, giacché sono solo le sue angosce, del presente e per il futuro, a ridisegnare in libertà gli eventi remoti in cerca di cause immaginarie: «l’unica cosa che ella esige dal passato, puro pretesto, è di legittimare il presente». 

Ciò che non serve allo scopo lo si cancella, viene epurato. Patologia nel singolo, norma nelle dittature laiche e religiose, cancel culture nelle democrazie, nuova malsana etica della polizia woke per la repressione del vizio e la promozione della virtù.

ETEROCRONIE. Anche l’antropologia ha documentato eterocronìe del genere. Citando i resoconti del missionario anglicano W. Barbrooke Grubb, nel 1922 Lucien Lévy-Bruhl (che di Blondel era stato maestro) racconta in La mentalité primitive come tra i Lengua del Gran Chaco in Paraguay «il primitivo veda in sogno fatti che ancora devono verificarsi; questi sono al tempo stesso futuri, poiché li prevede per l’avvenire, e passati, poiché li ha visti in sogno e in quanto tali ai suoi occhi hanno già avuto luogo». Ciò implica precise responsabilità del sognato verso il sognatore. Dormendo ti ho visto rubare le zucche dal mio orto? Mi devi risarcire. Nel mio sogno hai tentato di uccidermi? Ho il diritto di provare a uccidere te, è legittima difesa. «Il mondo della sua esperienza, più complessa della nostra, ammette come simultanei dati che non possono coesistere nel nostro tempo e nel nostro spazio: ciò che gli Scolastici chiamavano multipresenza d’uno stesso essere», scrive Lévy-Bruhl. 

Simultaneità, multipresenza, sovversione delle tradizionali modalità di percezione e manipolazione di spazio e tempo: è l’esatta descrizione della rivoluzione che la Rete, fra nuove strepitose opportunità e paurose degenerazioni, ha prodotto nelle nostre vite. Che cosa succede dunque alle memorie collettive in questa condizione generalizzata di disordine cronologico interiore?

SIMULTANEITÁ. Una prima lettura ci fornisce qualche pezzo del puzzle. «Assegnando la memoria al computer, si perde la memoria interiore profonda»: così Franco Ferrarotti, uno dei padri della sociologia italiana del Novecento. Dice ‘computer’, intende la Rete con i suoi giganteschi server che custodiscono le nostre memorie digitalizzate. Quel trasferimento su un supporto esterno globale, a portata di clic, schiaccia il tempo personale in un eterno presente: in una sorta di disordine mnemonico e cognitivo, si affastellano attualità, passato, futuro immaginato e recitato sui social come già attuale, sogni esternati come realtà, spezzoni di passato riciclati come attuali. 

Non diversamente che nelle psicopatologie descritte da Blondel, o nei primitivi di Lévy-Bruhl con la loro esperienza «più complessa della nostra», gli algidi algoritmi di internet finiscono per disegnare un mondo magico in cui i tempi della nostra esperienza inciampano uno sull’altro in una simultaneità che stravolge qualsiasi architettura della memoria

Questo è però solo un primo aspetto della questione. E i contrappesi spostano il tiro alla nostra ricognizione. 

SUPPORTI. In fondo, da sempre depositiamo i nostri ricordi su supporti esterni. Diari, autobiografie più o meno romanzate, album di famiglia, foto delle vacanze: come negare che funzionano da eccellenti scalette per riattivare e rivivere i ricordi? Anche ora, nulla ci impedisce di usare la pagina instagram come mappa temporale delle nostre memorie. Dunque, che cosa è cambiato? Insieme al mezzo, al tipo di supporto utilizzato, è cambiata l’utenza, l’audience. Esponiamo in Rete le nostre esistenze al feedback di un uditorio non solo cento o mille volte più esteso dei quattro amici cui un tempo si infliggevano le diapositive dell’ennesimo villaggio turistico, ma quantificabile in numero di visualizzazioni, like, commenti. E, oltre un certo numero di follower, persino monetizzabile. Le nostre memorie sono merce; il feedback il tasso di cambio; reputation e accesso a beni materiali e immateriali il controvalore

Come anticipato quii social sono diventati molla e motore della vita reale, storytelling dell’esistenza che vorresti e che, per l’ossessione di rappresentarla e i vantaggi che ne puoi trarre, cominci davvero a vivere. Gli algoritmi definiscono e misurano ciò che Halbwachs scriveva cent’anni fa: come le memorie individuali e dunque le identità personali si costruiscono all’incrocio delle memorie collettive dei diversi entourages entro i quali si dipanano le vite delle persone.

Ma come si formano, in Rete, con quali criteri, meccanismi di selezione, capacità di durata e di duttilità, i ‘quadri sociali’ delle memorie collettive d’oggidì?

FRAMMENTAZIONE. La Rete è totalizzante, è vero. Database praticamente incancellabile delle nostre vite, profila, archivia e memorizza di noi tutto ciò cui ha accesso: gusti, predilezioni, interessi, acquisti, disponibilità economiche, autorappresentazione sui social, ricerche effettuate su Google, network di amicizie, ‘persone che potresti conoscere’, incluso ciò che noi abbiamo scordato, scartato o riaggiustato. Qualcosa di simile alla ālayavijñāna, la coscienza-deposito dove, per il buddhismo yogācāra, finiscono le tracce di tutte le nostre idee e azioni passate, semi di tutte le idee e le azioni a venire.

Ma l’effetto sulle dinamiche delle memorie collettive di questo accentramento delle memorie personali nel supporto unico globale della Rete è l’esatto opposto di una standardizzazione. A dispetto di tutte le ciance sul mainstream e il pensiero unico, la disintegrazione dei contesti comunitari tradizionali ha portato alla coagulazione in Rete di nuovi soggetti e ‘quadri sociali’ estremi. Costituzionalmente contro, labili ma fluidi, capaci di trasmigrare da un obiettivo (meglio: un bersaglio) all’altro, ieri no-vax, oggi filo-Putin contro ‘l’aggressione’ dell’Occidente, sempre contro l’evidenza iperdocumentata dei cambiamenti climatici. Indifferenti a qualsivoglia verifica fattuale. Retti da una inossidabile convinzione di possedere un sapere che tutti gli altri o non hanno o rifiutano di riconoscere come tale. «Soltanto la conoscenza che si possiede, e che altri non hanno, può essere condivisa con alcuni e mantiene uniti», spiegava Jung alla sua stretta collaboratrice Aniela Jaffé in una conversazione da lei annotata del 6 dicembre 1957: «Perciò presso i primitivi la comunità è sempre collegata anche al segreto. La comunità è una sorta di culto misterico».

TRIBU’. Jacob Chansley alias Jake Angelo, lo ‘sciamano’ dell’assalto al Campidoglio, riconosciuto affetto da schizofrenia transitoria e disturbo bipolare, incarna magnificamente, fin dal modo d’abbigliarsi, la deriva neo-tribale di molteplici nuove identità e memorie collettive costruite su internet. Lui sa. Loro sanno. Che l’uomo non è mai arrivato sulla Luna, che il Covid è stato inventato per ingrassare i profitti di Big Pharma e instaurare una dittatura mondiale per via sanitaria, dove si riuniscono i capi della setta satanica pedofila che controlla l’amministrazione americana, chi ne fa parte da Obama a Bill Gates a Hillary Clinton, come è stata rubata la presidenza a Donald Trump. Corrisponde a uno stato alterato di coscienza simile a quello indotto, negli sciamani veri, da droghe e allucinogeni, ma a lui e ai suoi accoliti basta internet e la condivisione in Rete: nulla alimenta lo spirito gregario più della convinzione di essere unici, alternativi, esclusi e discriminati.

Follie d’oltreoceano? Un recente sondaggio Swg ci informa che il 15 per cento degli italiani crede che la Terra sia piatta, il 17 (il 25 fra i cattolici praticanti) che l’Olocausto non è mai avvenuto, il 18 che i Rettiliani (i Visitors di un serial anni Ottanta) sono tra noi e governano il mondo, il 29 che lo sbarco sulla Luna era un set cinematografico. Tutto ‘dimostrato’ in Rete, naturalmente. È lì, nello spazio digitale, che ormai nascono i soggetti collettivi e come un blob si gonfiano le loro memorie. Ma non è lì che restano e muoiono.

SRADICAMENTI. La Francia a ferro e fuoco, mille edifici in fiamme, auto, cassonetti, banche, autobus e servizi pubblici e monumenti alla Shoah, assaltate le municipalità di città grandi e piccole, saccheggiati migliaia di negozi, asili, scuole, biblioteche, centri commerciali, un miliardo di danni, attacchi coordinati sui social, e morti, e arresti, ottocento, quasi metà di minorenni, dopo l’uccisione del 17enne Nahel Merzouk a Nanterre il 27 giugno. La rabbia delle banlieues, di quei ‘territori perduti della République consegnati dall’incuria o dall’incapacità delle istituzioni alle bande criminali e ai gruppi islamici radicalizzati. Giovani di terza e quarta generazione. Sradicati, alla lettera senza radici. L’Islam consuetudinario dei paesi delle famiglie d’origine è la memoria di padri e madri e nonni, non la loro. Francesi solo sui documenti d’identità, nel loro presente communautaire di emarginazione subìta e di separazione cercata, la loro identità senza passato né futuro la scaricano da Internet, sulle reti dei predicatori di un Islam integralista e terrorista: che riempie un vuoto, spaccia un passato immaginario fondato su una presunta interpretazione letterale del testo sacro, dispone per loro un futuro ora da casseurs, domani da shahid, ‘martiri’.

Quanto più è artefatta e fasulla, una memoria collettiva, tanto più è pericolosa, cieca, distruttiva.

INCOGNITE. I sistemi di Intelligenza artificiale generativa sono le sole entità in grado di accedere quasi all’istante all’intero schedario di memorie disponibili in Rete: ciò cambia le modalità di utilizzo delle memorie. Hanno iniziato a produrre esse stesse memorie, tecnicamente indistinguibili da quelle umane: ciò altera il meccanismo di accumulazione e diffusione delle memorie. Gli avatar in Rete (già si ‘intervista’ Leonardo da Vinci e si ‘dialoga’ con persone che non ci sono più) alimentano grazie alle AI immortalità digitali e personalità virtuali in evoluzione nella memoria globale del web

La statua sensibile immaginata a metà Settecento da Étienne Bonnot de Condillac per spiegare la nascita delle sensazioni, e della memoria come ciò che segna il passaggio dalla passività del sentire all’attività del confrontare e giudicare, sta prendendo corpo nei computer organoidi, hardware a neuroni umani anziché a silicio, costruiti a Baltimora dall’équipe del biochimico Thomas Hartung. Il prossimo passo, detto assembloide, integrerà cellule coltivate da staminali della glia e dell’ippocampo: nel nostro cervello, sono le ausiliarie e il registro della memoria a lungo termine. La condizione della coscienza di sé. Dell’identità. Del pensiero.


Leggi anche «You’re just a memory (parte 1). Le mirabolanti avventure della memoria collettiva».

Leggi anche «You’re just a memory (parte 2). Le disavventure della memoria collettiva».

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