You’re just a memory (parte 1). Le mirabolanti avventure della memoria collettiva

Riscritture, reinvenzioni, miti. Le memorie collettive artefanno quelle individuali e definiscono la nostra relazione con quell'elastico tra passato e futuro che è il tempo.

Autore

Roberto Di Caro

Data

3 Luglio 2023

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5' di lettura

DATA

3 Luglio 2023

ARGOMENTO

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Notre passé dépend tout entier de notre présent et change perpétuellement avec lui. Il prend immédiatement la forme des vases dans lesquels notre pensée d’aujourd’hui le recueille. Il est contenu dans notre mémoire, et rien n’est plus variable et plus impréssionnable, rien n’est moins indépendant que cette mémoire, alimentée et travaillée sans cesse par notre coeur et notre intelligence.

MAURICE MAETERLINCK

Suona come un ossimoro, ‘memoria collettiva’. Cosa c’è di più individuale della memoria, di più personale dei ricordi? Se anche due sole persone assistono a un avvenimento, è quasi impossibile che i loro resoconti coincidano: un’intera branca disciplinare, la Psicologia della testimonianza, per definire lo statuto giuridico della nozione di verità spazia dalle false memorie in buona fede alle memorie indotte, terreno processuale scivoloso e accidentato quant’altri mai. Neppure al singolo individuo è dato ricordare uno stesso evento sempre allo stesso modo: ogni qual volta torniamo a ciò che è stato, noi ricombiniamo i fatti accaduti, le emozioni provate, le cose viste, i profumi che ci hanno avvolto, le parole dette, ascoltate, immaginate. Rimaneggiamo, ricostruiamo, reinventiamo: è così che funziona il nostro cervello. Egregiamente sintetizzata nel 1902 in Le temple enseveli da Maeterlinck (che aveva letto Materia e memoria di Bergson uscito sei anni prima), la tesi l’ha formulata su base scientifica il biologo poi neurofisiologo Gerald Edelman nel suo Neural darwinism, del 1987, e da allora è stata confermata nelle sue linee generali da una copiosa messe di sperimentazioni, ricerche e scoperte nel campo delle neuroscienze, tuttora in forte progredire. Dunque: ciò che neppure al singolo è dato, come potrebbe mai essere appannaggio di un gruppo, una comunità, una collettività?

Invece. Se attorno alla memoria individuale, come già scrivevano Agostino, Locke e Hume, ruota la sfuggente definizione dell’identità personale, sono proprio i suoi modelli di funzionamento a fornirci le mappe per una ricognizione sugli analoghi meccanismi operativi della memoria collettiva: qualunque cosa si intenda con tale locuzione, giacché la faccenda è tuttora assai dibattuta, ed è un bene che lo sia. Mappe tanto più necessarie oggi che, come vedremo, con il dilagare dei social media l’esternalizzazione della memoria di ciascuno di noi su quella sorta di pozzo globale dei ricordi che è diventata la Rete ha già prodotto un salto di paradigma paragonabile solo a Gutenberg: e quando un’altra rivoluzione si profila, per via dell’accesso illimitato e pressoché immediato a tale memoria totale da parte di sistemi di Intelligenza Artificiale, i cui margini di rischio, anche estremo, sono ancora tutti da comprendere, a detta dei loro stessi inventori.

Come quella individuale, cangiante versatile adattativa, la memoria collettiva è un incessante lavorìo di modificazione, riscrittura, reinvenzione del vissuto, rimozione ed emergenza del rimosso, bilanciamento tra la rammemorazione e l’oblio, reificazione alterazione falsificazione, manipolazione esterna o autoindotta o inconscia, nostalgia rimpianto perdita, manutenzione ordinaria dell’identità e suo potenziale sfaldamento, sempre in agguato. Dai modi ai fini: come in quella individuale, la posta in gioco nella memoria collettiva è la definizione delle coordinate della nostra relazione con il tempo, quell’elastico tra il passato e il futuro che a fasi alterne noi tendiamo o allentiamo e a volte si sfilaccia fino a spezzarsi. Precipitandoci in un presente senza spessore né memoria né proiezione alcuna.

ORIGINI. Svezzati come siamo a pane e cogito, usi a ragionare muovendo dall’individuo, abbiamo perso di vista il fatto che la memoria nasce collettiva. Figlia di Urano e Gea, Cielo e Terra, Mnemosine, personificazione della memoria, giace nove notti con Zeus e genera le nove Muse, incarnazione di tutte le arti. E cos’altro sono lirica e musica, tragedia e commedia, danza e canto, elegia e mimica, se non le forme della narrazione e rievocazione collettiva, lei per prima, Clio, la musa della storia e dell’epica, «colei che dà fama ai mortali oltre la morte»? Questo era, per i Greci, la memoria: celebrazione pubblica dell’eroe, perpetuazione dell’esempio a gloria o a disdoro e stigma, costruzione del mito. E nel doppio movimento «della soggettivazione della realtà esterna e della oggettivazione del mondo interiore», ha scritto Umberto Galimberti, «per il mito non c’è mondo che non si risolva nella visione collettiva del mondo, per cui in ogni mito è possibile leggere una determinata fase di sviluppo della coscienza sociale collettiva».

Quanto alla moderna nozione di ‘memoria collettiva’, l’anno è il 1925, il testo fondativo è Les cadres sociaux de la mémoire, l’autore è Maurice Halbwachs, filosofo, sociologo, ricercatore sul campo, psicologo sociale, giornalista, persino statistico: ne abbiamo scritto qui. In sunto, per lui la memoria dipende dall’entourage sociale, entro il cui quadro o cornice l’individuo acquisisce, richiama, riconosce i suoi ricordi ed è in grado di comunicare. Il singolo partecipa di più entourage (famiglia, lavoro, amicizie, classi sociali, gruppi religiosi, reti di solidarietà) e la sua memoria è il crocevia delle memorie collettive di cui è partecipe. Una memoria collettiva sopravvive finché esiste e si riconosce il gruppo entro il cui quadro tale memoria si costituisce.

Dunque: come nascono le memorie collettive? Da dove viene, come un tempo accadeva col mito, la loro forza di coesione di un agglomerato sociale o ideale? Quali fattori ne garantiscono dapprima la permanenza e poi la trasmissione da una generazione all’altra? Quali ne provocano la dispersione, la dissoluzione, l’oblio?

ARTIFICI. Sospetta e infida appare la memoria a uno spirito geniale ma spietato come Blaise Pascal. Nei suoi Pensieri ne discetta nel paragrafo Le facoltà ingannatrici, insieme ai sensi, le passioni, l’abitudine, l’amor di sé e, sua bestia nera, l’immaginazione, «superba potenza, nemica della ragione», che «ingrandisce le piccole cose fino a riempircene l’anima, e con temeraria insolenza rimpicciolisce le grandi sino alla sua misura». La liquida in una frase, un rigo appena: «La memoria è necessaria per tutte le operazioni dello spirito», chiosando in nota: «il quale è perciò soggetto a tutte le incertezze e le eclissi di essa».

Il fatto è che la memoria intrattiene dei segreti e non sempre commendevoli commerci proprio con il desiderio e con l’immaginazione. Un dizionario etimologico d’antan, quando ancora era usuale rifarsi al sanscrito, riporta la radice smâr-ami, mi ricordo, desidero, smar-anam, ricordo, desiderio, smar-as, amore, e l’antico prussiano er-mirit, immaginarsi. Ricordiamo ciò che è stato, ma anche, nello stesso impasto e con labili linee di demarcazione, ciò che vorremmo fosse stato e ciò che, di solito in buona fede, ci immaginiamo sia stato.

Quando a condividere, confermare, alimentare (e talora indurre) questa opinabile commistione di fatti realmente accaduti, desiderio, immaginazione e falsificazione che struttura i nostri ricordi abbiamo attorno a noi un entourage, un gruppo, una comunità, ecco allora che solida come la roccia diventa una memoria collettiva, quasi impossibile scalfirla, un’eresia metterla in discussione. Tale è la loro potenza evocativa e simbolica.

FUNZIONI. La Bastiglia, il 14 luglio 1789, era difesa da 82 invalidi e 32 soldati svizzeri; l’assalto dei rivoltosi, che lasciarono sul terreno cento morti, cominciò per un equivoco; la fortezza, stipata di polveri da sparo, non saltò in aria solo perché due degli invalidi lo impedirono a miccia già accesa; dei sette prigionieri liberati, quattro falsari si dileguarono, due folli furono portati in trionfo e internati il giorno dopo nel manicomio di Charenton, l’ultimo, un conte maniaco, se la filò nelle sue terre. Ma ai ‘Vainqueurs de la Bastille’, presto riuniti in associazione, l’Assemblea Costituente riconobbe patente, decorazione, armi e uniforme, e da allora il 14 luglio è in Francia la festa nazionale. Fu subito mito, e di fondazione. Tre anni e mezzo prima della decapitazione del re Luigi XVI sulla pubblica piazza.

Come nei ricordi personali ossessivi e paranoici, accanto al registro della rammemorazione che mitizza l’accaduto vale per le memorie collettive anche quello del risentimento, che enfatizza l’ossessione della perdita e la traduce in odio e rivalsa. La narrazione della ‘Vittoria mutilata’ dal Trattato di Versailles, espressione dannunziana del ’18 divenuta rapidamente ‘quadro sociale della memoria’ delle associazioni di reduci, ex-combattenti e nazionalisti, si estese a percezione corrente e immaginario collettivo in strati sempre più larghi della società italiana, e rivestì un ruolo chiave nella nascita dei Fasci di combattimento nel ’19, nell’avvento del Fascismo e nelle sue successive avventure espansioniste e colonialiste.

Le memorie collettive sono un’arma. Uccidono. Fanno vittime. Artefanno le memorie individuali, giacché si finisce per cibarsi di quelle altrui, di introiettare ricordi anche di ciò che non si è vissuto in prima persona. Al netto di alcune sue estremizzazioni, non aveva torto Maurice Halbwachs a sostenere che identità e memoria personale sono (anche) il crocevia di identità e memorie collettive, spontaneamente formatesi o costruite ad arte.

RISCRITTURE. La sostanza di verità di una memoria collettiva è quella che un caustico Nietzsche non ancora trentenne, Su verità e menzogna in senso extramorale, attribuiva a qualunque verità: «Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, trasferite e abbellite, e dopo un lungo uso paiono a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le memorie sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria». 

Il naturale e fisiologico lavorìo sui ricordi implica dei limiti oltre i quali l’oscillazione diventa stravolgimento, patologica mistificazione dell’accaduto: fino alla paranoia complottista e maniaco-ossessiva alla Qanon, che negli States conta ormai milioni di seguaci, decine di milioni di simpatizzanti, alcuni deputati e senatori del Gop.

Nient’affatto scontati sono, tuttavia, gli esiti quando provi a scandagliare l’estesa e ineguale terra di nessuno tra un’accettabile fluidità mnestica nella norma e lo sgretolamento di fatti e logica in ricostruzioni che stravolgono il senso degli accadimenti riportati alla memoria, fino alla follia. Il poeta che trasfigura il passato e l’esperienza vissuta, e getta con ciò uno sguardo inedito e spiazzante sul mondo, lo bolleremo forse come un falsario? Achmatova, Cvetaeva, René Char, Sylvia Plath, Neruda, il lettore stili la sua lista secondo predilezione, e Brodskij che sognava di erigere monumenti «all’inventore di un motore che va con gli scarti dei ricordi»: tutti a processo per falsa testimonianza?

Allo stesso modo, c’è un livello alto di riscrittura delle memorie collettive che spiazza la percezione corrente, fa riemergere dalle brume di un passato dimenticato stimoli e suggestioni, ridisegna la nostra sensibilità, apre spiragli per immaginare diversamente la vita individuale e sociale. Si pensi alla riappropriazione del ruolo misconosciuto che le donne hanno avuto in scoperte scientifiche, avventure imprenditoriali, lotte politiche e sindacali, creatività artistica e letteraria, attraverso i ricordi delle protagoniste e di chi le ha conosciute. O al diffuso recupero di tradizioni artigianali, gastronomiche, culinarie e comunitarie che hanno fatto la fortuna di interi territori e varie startup, dalle ricette delle nonne alle tecniche artigianali di produzione e disegno di tessuti in disuso come l’ortica. Sogno di uno sviluppo altro e sostenibile, alla Greta Thunberg, per alcuni; reminiscenza localistica, sentimentale, conservatrice, persino reazionaria, alla maresciallo Pétain, per altri; e Pasolini nel mezzo, tirato per la giacca.

Sottile è lo strato di ghiaccio sul quale pattiniamo discettando di memorie collettive. Come vedremo ragionando sul ‘lato oscuro della forza’ di tale nozione.


Leggi anche «You’re just a memory (parte 2). Le disavventure della memoria collettiva».

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