Maurice Halbwachs. Solo dentro la cornice sociale si forma la memoria dell’individuo

Autore

Roberto Di Caro

Data

19 Maggio 2023

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19 Maggio 2023

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PAROLE CHIAVE


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Ha un padre e una data di nascita, la nozione di ‘memoria collettiva’. L’anno è il 1925, il testo è Les cadres sociaux de la mémoire, l’autore è Maurice Halbwachs. Allievo di Bergson e di Durkheim all’École Normale Supérieure, redattore a ‘L’Année Sociologique’, gli amici di gioventù lo raccontano come un tipo perennemente distratto1, immerso com’è in ciò che di volta in volta lo appassiona: che sia la sua tesi di Diritto su espropriazioni e prezzi dei terreni a Parigi, gli inediti di Leibniz per studiare i quali passa un anno in Germania tra Hannover e Göttingen, la sua tesi in Lettere sui livelli di vita e la gerarchia dei bisogni della classe operaia che in estratto diventa un opuscolo del Partito socialista di Jean Jaurès contro la speculazione edilizia, lo studio di Marx e dell’economia politica a Berlino da dove scrive anche come corrispondente per ‘L’Humanité’, poi i numeri, la statistica, il calcolo delle probabilità2, fin quando nel 1919 succede a Georg Simmel alla cattedra di Sociologia dell’Università di Strasburgo.

Les cadres sociaux prende le mosse dalla singolare storia di una fanciulla trovata nei boschi di Châlon nel 1731 senza memoria alcuna della sua infanzia dopo un lungo viaggio in mare e un radicale cambio di contesto, per dire che «la memoria dipende dall’entourage sociale. È nella società che l’uomo acquisisce i suoi ricordi, li richiama alla memoria, li riconosce e li localizza». Indaga la differenza tra il sogno e la veglia, la memoria che «non fa rivivere il passato ma lo ricostruisce», i diversi modi in cui ciò avviene nei bambini, negli adulti e negli anziani.

A metà libro lo snodo decisivo. «Segnalato fin qua tutto ciò che di sociale entra nei ricordi personali, riconosciuto a che punto l’individuo anche in questo è dipendente dalla società, è naturale che consideriamo il gruppo stesso come capace di ricordarsi, e che attribuiamo una memoria alla famiglia e a qualsiasi altro insieme collettivo». Mette le mani avanti: «Non è una semplice metafora». Anzi. E nei capitoli finali indaga con puntiglio e dovizia di rimandi la memoria collettiva della famiglia, dei gruppi religiosi, delle classi sociali. 

È piuttosto estremo, Halbwachs, nell’esporre le sue tesi. Senza mezzi termini scrive: «Non basta mostrare che gli individui, quando si ricordano, utilizzano sempre dei quadri sociali. Si può dire altrettanto correttamente che l’individuo si ricorda collocandosi dal punto di vista del gruppo, e che la memoria del gruppo si realizza e si manifesta nelle memorie individuali»3.

La coscienza individuale «non è che il punto d’incontro dei tempi collettivi», la memoria individuale il crocevia delle memorie collettive plurime. Ma così, gli obbietta nella sua stessa cerchia lo psicologo Charles Blondel4, che fine fanno l’io, l’individuo, la soggettività, gli stessi ricordi individuali, se altro non sono che la proiezione e l’interiorizzazione di un quadro collettivo della memoria (più precisamente: della pluralità di quadri collettivi in cui, è Halbwachs ad affermarlo, un individuo è immerso abitando più entourages, famiglia, lavoro, amicizie, gruppi, ‘reti di solidarietà multiple’)? Qualcosa non quadra nelle pretese totalitarie, ‘imperialiste’, della sua ‘pansociologia’. Ancor più duro lo storico Marc Bloch5, che bolla come metafisica la nozione di ‘rappresentazione collettiva’, taccia l’amico di scarsa conoscenza storica del Medioevo e, soprattutto, di scambiare per verità una presunta memoria collettiva che in realtà è ricostruzione immaginaria, tradizione costruita assemblando illusioni e pseudo-ricordi, leggenda tramandata come storia.

Negli anni a seguire, nel ’30 in un lungo soggiorno come visiting professor a Chicago a studiare la segregazione urbana, dal ’35 in cattedra alla Sorbona, nel ’39 in Palestina a indagare La topographie légendaire des Evangiles en Terre Sainte, Halbwachs preciserà alcune sue formulazioni, facendo, a denti stretti, qualche concessione ai suoi critici: scrivendo per esempio che «l’espressione memoria storica non è una scelta felice, poiché associa due termini che si oppongono su più di un punto. In generale la storia comincia laddove finisce la tradizione, nel momento in cui si estingue o si decompone la memoria sociale»6. Resta il fatto che per lui le memorie collettive sopravvivono finché esistono e si riconoscono i gruppi entro il cui ‘quadro’ o ‘cornice’7 tali memorie (come pure quelle individuali) si costituiscono: elemento in più di attualità del suo pensiero, in ragione della radicale e instabile scomposizione e ricomposizione sociale cui oggi assistiamo, in forme che non è azzardato definire neo-tribali.

Nel ’44, appena nominato alla cattedra di Psicologia sociale al Collège de France, Halbwachs viene arrestato dalla Gestapo e internato a Buchenwald, dove muore nel 1945 tra le braccia del suo allievo, il futuro scrittore franco-spagnolo Jorge Semprún. La raccolta dei suoi lavori editi e inediti su La mémoire collective, in una prosa ricca di esempi e similitudini e racconti personali dei suoi viaggi, uscirà postuma nel 1950, per la cura di Jean Duvignaud e Jean-Michel Alexandre. In annesso, un saggio non privo di fascino, pubblicato nel ’39 sulla ‘Revue philosophique’, su ‘La memoria collettiva dei musicisti’, tessuta di figure suoni voci melodie ritmi contrappunti e canti popolari per le strade, e quelle note che quando le ascolti per la prima volta non riesci a tenere a mente perché «si sparpagliano come le perle di una collana il cui filo s’è rotto».

Note

  1. J.-M. Alexandre, Introduction  a M. Halbwachs, La mémoire collective, Presses Universitaires de France, 1968.
  2. M. Giosi, L. Tedesco, Maurice Halbwachs e la memoria collettiva, RomaTrE-Press, 2021; D. Guzzi, Per una definizione di memoria pubblica, in “Scienza & Politica” n.44/2011; T. Grande e L. Migliorati, Maurice Halbwachs. Un sociologo della complessità, Morlacchi, 2016.
  3. M. Halbwachs, Les cadres sociaux de la mémoire, Félix Alcan, 1925.
  4. C., Blondel, Recensione a Maurice Halbwachs, in “Revue philosophique”, 1926.
  5. M. Bloch, Mémoire collective, tradition et coutume, in “Revue de synthèse historique”, 1925.
  6. M. Halbwachs, La mémoire collective, cit.
  7. T, De Martin, Memorie in cornice. Note sul pensiero di Maurice Halbwachs, Università di Pisa, 2013, https://core.ac.uk/download/pdf/20526631.pdf. L’autrice suggerisce di utilizzare, in luogo di ‘quadri sociali’, il concetto di ‘cornice sociale’, «espressione forse più precisa e coerente, intesa come quel campo di saperi comuni e condivisi che ci permettono la costruzione di un mondo intersoggettivo in cui è possibile comunicare l’uno con l’altro». È esattamente la concezione contro la quale si scaglierà Karl Popper in Il mito della cornice Il Mulino, 1995: in difesa della possibilità, utilità e necessità «della reciproca comprensione tra differenti culture, generazioni, periodi storici» anche laddove «i partecipanti non condividano una cornice comune di assunzioni di base».
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