Truva, collina di Hissarlik, nella moderna Turchia, a 4,5 chilometri dallo stretto dei Dardanelli. Fine del XII secolo a.C. Il forte vento spazza il mare. Blu su sfondo azzurro con piccoli punti neri all’orizzonte. Le navi se ne stanno andando dopo quasi dieci anni di assedio e feroci lotte. La guerra è vinta anche se ci sono state pesantissime perdite da entrambe le parti. Finalmente i punti neri spariscono definitivamente dalla vista. Un uomo anziano, con il volto arrossato dal sole e con una lunga barba, si volta e volge il suo sguardo verso la città. Le mura possenti ancora si ergono verso il cielo. Una figura emerge dalla sabbia della spiaggia: è un enorme cavallo di legno.
La causa più accreditata della guerra di Ilion tra troiani e micenei, che viene raccontata nell’Iliade di Omero e poi in parte nell’Odissea e nell’Eneide con il mito del famoso cavallo, fu il controllo dei Dardanelli per ottenere il monopolio del commercio tra il mar Nero e l’Egeo. Le caratteristiche geografiche di un territorio, e in questo caso il mare, hanno sempre avuto un’enorme influenza sullo sviluppo economico e sociale delle civiltà. Oggi l’80-90% del commercio globale si svolge via mare, grazie a circa 100.000 grandi navi da carico. Le rotte delle navi non sono però né infinite né libere: infatti passano per alcuni punti obbligati, che assumono, come in passato, un’enorme importanza geopolitica. Sono chiamati choke points e sono fondamentali per gestire il commercio mondiale. Questi ‘colli di bottiglia’ implicano costi nei processi economici che, a loro volta, impattano sui processi di sviluppo e sulla transizione.
I più importanti sono otto: il Canale di Panama, che taglia in due l’America centrale; lo Stretto di Malacca, nel sud est asiatico; lo Stretto di Gibilterra, tra il Mar Mediterraneo e l’oceano Atlantico; l’accoppiata Bosforo e Dardanelli, che permette il collegamento tra Mediterraneo e Mar Nero; il Capo di Buona Speranza, sulla punta meridionale dell’Africa, il Canale di Suez, che collega il Mediterraneo con il Mar Rosso e infine lo Stretto di Hormuz, fra Golfo Persico e Golfo di Oman. L’ultimo choke point è lo Stretto di Bab el-Mandeb, che significa ‘Porta delle lacrime’ o ‘Porta del lamento funebre’ in arabo, da ‘bab’, cioè ‘porta’ e ‘mandeb’, ‘lamento’. Si tratta di una piccola strozzatura geografica larga quasi 40 chilometri e lunga circa 130 chilometri. Separa il Corno d’Africa dalla punta meridionale della Penisola arabica che costituisce l’ingresso meridionale del Mar Rosso dal Golfo di Aden e dall’Oceano Indiano. Sul lato ovest dello stretto si trovano Eritrea e Gibuti, mentre lungo il lato orientale si affaccia lo Yemen. I recenti attacchi dei droni alle navi commerciali a Bab el-Mandeb da parte delle forze Houthi dello Yemen hanno di nuovo posto l’attenzione su questo check point: sono arrivate navi da guerra di diversi Paesi a pattugliare l’area, mentre molte navi commerciali hanno deciso di modificare le proprie tratte commerciali, preferendo la rotta più lunga e più costosa per raggiungere il Mediterraneo, circumnavigando l’Africa.
Infatti, secondo i dati dell’agenzia internazionale di stampa Reuters, per trasportare una merce da Rotterdam a Singapore, passando per il Canale di Suez e quindi Bab el Mandeb, sono necessari 26 giorni di navigazione. Se invece si sceglie il percorso più lungo, per il Capo di Buona Speranza, il viaggio si allunga di ulteriori 10 giorni. La differenza di costo ammonta a un milione di dollari per ogni viaggio di andata e ritorno, solo a causa dell’aumentata spesa per il carburante.
Oltre all’aumento dei costi si ha un rischio per la sicurezza energetica globale che dipende dagli stretti che circondano la Penisola Arabica e il Golfo. Dallo stretto di Hormuz passano oltre 20 milioni di barili di greggio al giorno e più di un quarto del commercio internazionale di gas naturale liquefatto (Gnl); oltre 6,2 milioni di barili di greggio e raffinati petroliferi attraversano Bab el-Mandeb: il 9% del petrolio commerciato via mare. Di questi, 3,6 milioni viaggiano verso l’Europa. Per il canale di Suez passa circa il 12% del petrolio mondiale e l’8% del Gnl. La media giornaliera delle navi che hanno attraversato Suez dopo gli attacchi da parte degli Houthi si è ridotta notevolmente. Ciò ha implicato importanti effetti economici fra cui un aumento dell’indice composito Drewry per i container di 61%, raggiungendo i 2.670 dollari per cassa da 40 piedi. Un incremento del 88% superiore alle tariffe medie del 2019. La rischiosità del transito ha comportato un aumento delle assicurazioni belliche fino all’1% del valore della nave, rispetto allo 0,7% della prima settimana di gennaio.
La combinazione di tutti questi elementi potrebbe favorire un aumento dell’inflazione e problemi di approvvigionamento lungo le catene di produzione. Torna in auge il tema della sicurezza energetica spesso minacciata da problemi di natura geopolitica che dipendono dal controllo delle risorse e degli scambi commerciali.
La problematica dei choke points rimarrà comunque presente anche nel processo di transizione energetica e, talvolta, potrà anche rallentarlo, aumentando i costi dei trasporti delle risorse necessarie per lo sviluppo delle tecnologie green. Anche perché il traffico attraverso questi punti nevralgici del commercio globale tende a essere sempre più precario a causa della instabilità internazionale e, anche, del cambiamento climatico: il transito nel Mar Nero sta subendo gli effetti della guerra russo-ucraina, mentre il Canale di Panama ha abbassato da 40 a 24 il numero delle imbarcazioni che possono transitare nel canale, a causa delle prolungate siccità. Ogni volta che una nave passa attraverso le tre chiuse del canale una quantità di acqua pari a 80 piscine olimpiche viene drenata dal lago Gatún, la fonte principale di acqua lungo le 50 miglia del canale. Riducendosi le piogge, si riduce l’acqua disponibile per il transito delle navi. Ci si trova quindi in un circolo vizioso crescente in cui un rallentamento della transizione energetica causata da alcuni colli di bottiglia, implica, a sua volta, un inasprimento degli stessi.
Bisogna quindi tenere conto anche degli aspetti geografici e geopolitici per poter gestire in maniera adeguata il problema. Anche se si vedono le navi allontanarsi all’orizzonte, non è detto che questo implichi necessariamente una vittoria.