Non piove. Non c’è vento. Un odore forte di metallo che sa di ferro fuso penetra le narici dei 19 astronauti attualmente dentro la Stazione spaziale internazionale detta ISS.
Non è una allucinazione olfattiva e non è causata da disfunzioni del sistema nervoso. Succede ogni volta che dopo essere rientrati da una passeggiata spaziale, alcune molecole specifiche, gli idrocarburi policiclici aromatici (ipa), rimangono appiccicate alle tute, all’attrezzatura o alla semplice valigetta degli strumenti scientifici. Gli Ipa sono rilasciati dalle stelle morenti, fluttuano nello spazio per finire anche nelle comete, nei meteoriti e nelle polveri interstellari ed emanano un odore di metallo rovente, gomma bruciata, gas di scarico, carne alla griglia.
Come si sta dentro una stazione spaziale internazionale? Tre macchine lavorano instancabili e senza interruzioni per controbilanciare gli effetti della poca gravità. Per inciso, non esiste posto nell’Universo a gravità Zero! Si beve la stessa acqua ogni giorno, grazie al Water Recovery System che riesce a riciclare il 93% dell’acqua generata lassù, ovvero principalmente il sudore e l’urina prodotti dai suoi abitanti.
Si viaggia a 29.000 km orari e si orbita la terra ogni 90 minuti. Al suo interno c’è una ‘cupola’ con sette finestre, dalla quale gli astronauti possono osservare 16 albe e 16 tramonti al giorno. Ogni giorno. Tutti i giorni. Alla ISS si possono attraccare contemporaneamente otto navicelle. Le navi cargo che trasportano rifornimenti, carichi utili per esperimenti scientifici sono quattro.
Costruita nel novembre 1998, la ISS non è stata solo un’impresa ingegneristica, ma anche il frutto di una collaborazione pacifica e proficua tra le agenzie spaziali globali. La novità è che quando verrà dismessa nel 2030, saranno i privati a costruire la nuova stazione. Probabilmente Vast, una società californiana che ha presentato al Congresso internazionale dell’astronautica (Iac) a Milano lo scorso novembre un progetto chiamato Haven-2, il successore della Stazione ISS. Ma sarà Elon Musk, che si è assicurato il contratto di 843 milioni di dollari per lo sviluppo di un veicolo capace di deorbitare, cioè distruggere la ISS, in sicurezza, entro il 2030.
È in atto una potente e sbalorditiva privatizzazione dell’industria spaziale, i cui protagonisti sono i tycoon di una industria mondiale stimata intorno ai 600 miliardi. Si chiama new space economy e sta, nel bene e nel male, cambiando il futuro delle missioni spaziali.
In che modo i privati influenzeranno il futuro della nostra specie nello spazio? Quali rischi e pericoli corriamo? E quali benefici ne ricaviamo?
Per Sumi Williams e Butcher Wilmore, i due astronauti della Nasa, approdati alla stazione ISS il 5 giugno a bordo della navicella spaziale privata Boing Starliner è stato un viaggio di solo andata. Perdite di elio, problemi tecnici e malfunzionamento dei propulsori hanno fatto in modo che lo Starliner ripartisse senza di loro, lasciati – come due naufraghi su un’isola – nella stazione spaziale a 400 chilometri dalla Terra perché in gioco c’era la loro sicurezza.
Ma Sumi e Butcher sono fortunati, un’altra navicella, questa volta privata, li riporterà a casa. In passato non sarebbero ritornati affatto o avrebbero dovuto attendere almeno otto anni, il tempo necessario per la progettazione e la costruzione di una nuova navicella.
Grazie alla competizione feroce e spasmodica tra produttori di dispositivi spaziali, rientreranno a bordo della capsula Dragon della società Space X di Elon Musk. Poco importa che il loro obiettivo fosse di rimanere lassù solo otto giorni. Di fatto sono nello spazio ormai da otto mesi. E chissà quanto ancora a lungo ci rimarranno. Il recupero previsto a Febbraio 2025 è stato posticipato di qualche mese.
La stazione spaziale non è esattamente un luogo human friendly. Mentre la mancanza di ossigeno è nota a tutti, i rischi letali legati alla presenza di radiazioni ionizzanti sono tra quelli meno conosciuti perché meno ‘visibili’ immediatamente. Agli ospiti della stazione spaziale sono sufficienti tre mesi per accumulare una dose di radiazioni simile a quella che, per effetto del fondo naturale, un italiano, per esempio, accumulerebbe in quasi 54 anni.
Come tutti i naufraghi Sumi e Butcher stanno affrontando l’ineffabile che travolge chi, all’improvviso, si ritrova a fare i conti con la condizione imprescindibile del navigare e dell’esplorare.
Quando si viaggia nello Spazio il ritorno sulla Terra è previsto ma non è scontato.
La memoria va all’Apollo 11. Una missione a prova d’errore? No. Apollo 11 fu un azzardo. È noto che Richard Nixon aveva già pronto il discorso da leggere alla Nazione nel caso in cui la missione si fosse conclusa con la morte degli astronauti. Il contigency speech previsto per l’occasione, un tributo poetico all’equipaggio dell’Apollo, non è stato per fortuna mai letto. Il suo contenuto, lasciava aperta la possibilità che l’uomo sarebbe ritornato sulla Luna e allo stesso tempo che gli astronauti Neil Amstrong e Buzz Aldrin sarebbero stati pianti da ogni uomo sulla Terra.
L’astronauta odierno è una singolarissima figura di tecnico-scienziato. Un atleta. Un professionista. Ma anche un testimonial sotto contratto. Un protagonista dentro un reality show nel quale ci viene raccontato e mostrato come dorme, mangia, respira, fa il bucato, vota, allena i muscoli. Questo lo fa assomigliare sempre più a un ‘brand ambassador’, a un personaggio che si fa garante della credibilità di un marchio, associando la propria immagine a questo ultimo e incrementandone la popolarità e-o l’affidabilità.
La conquista commerciale dello spazio sta per caso spazzando via quel senso della conquista umana provato quando l’astronauta Amstrong è sbarcato sulla luna? La missione Apollo 11 ha portato non un uomo sulla Luna, ma l’umanità intera. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità. Alla sfida tecnologica i tre uomini hanno aggiunto la sfida di rappresentare l’umanità e riuscire a far sentire ogni uomo sulla Terra parte di quell’unico ‘passo dell’uomo’. Una forma di umanità priva di intenti belligeranti perché la conquista della Luna è riuscita a far apparire i confini tra le Nazioni e gli abitanti troppo insignificanti per decidere le sorti dell’Universo. Altri tempi.
Oggi parrebbe non esserci alcuno spazio per questo sentimento.
Nella nuova ‘corsa all’oro’ della space new economy prevale su tutto l’interesse commerciale. Insieme all’ego dei suoi Tycoon e alla politica del più potente. Oggi la capacità e l’espansione umana nello spazio e il futuro ‘multi-planetario’ della nostra specie dipendono e riguardano il ruolo decisivo che stanno assumendo le grandi Corporation.
Dal piano simbolico, ovvero la conquista dello spazio come accelerazione della storia e partecipazione di tutti, stiamo per atterrare dentro il solito paradosso commerciale: la sua realizzazione è possibile solo per pochi o, addirittura, per pochissimi. Se arruolare il settore privato potrebbe non essere sufficiente a cambiare il senso di universalità che in molti ancora percepiscono nella nuova missione della Nasa, presto, con alla sua guida un ‘privato’ eccellente – il miliardario Jared Isaacman – le cose potrebbero cambiare.
Che coincidenza, Jared Isaacman e Elon Musk si conoscono bene e collaborano da anni. Polaris Dawn è il nome del loro più recente progetto. Un programma che prevede tre missioni nello spazio per testare tute astronaute extraveicolari.
Elon Musk oltre porre una seria sfida al mercato degli operatori satellitari con la sua costellazione di satelliti Starlink, finora composta da 6.011 satelliti è convinto di poter realizzare una colonia marziana di 80.000 abitanti entro pochi anni.
Il costo delle spedizioni umane su Marte calerebbe drasticamente se facessimo a meno della necessità di riportare gli astronauti sulla Terra. Un biglietto di sola andata, in sostanza, costa meno di un’andata e ritorno.
Un pianeta altro della Terra sarà un posto meno atroce dove vivere?
L’umanità è quel sentimento universalmente riconosciuto che identifica ognuno di noi e ci rende simili. Riconoscere che la specie umana è ‘unica’, ‘eccezionale’, non significa che essa lo sia da ogni punto di vista né, tantomeno, che gli esseri umani siano moralmente superiori alle altre creature viventi.
Diventare ‘più umani’ o ‘meno umani’ dipende dalla capacità di aggiungere alla sfida tecnologica il sentirsi parte di quell’unico ‘passo per l’uomo’. La condizione umana è precaria e nessuno può accedere a una piena umanità da solo, agendo per conto proprio. Soprattutto l’umanità non è un dato di fatto, ma una potenzialità.