Murray Bookchin: noi siamo la natura che si difende

Murray Bookchin Date: 1988 Place: Antioch, Yellow Springs, Ohio Photographer: Janet Biehl at the Institute for Social Ecology

Autore

Pasquale Alferj

Data

30 Ottobre 2025

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5' di lettura

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30 Ottobre 2025

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Politica

Storia

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Murray Bookchin nasce nel 1921 a New York, figlio della diaspora ebraica russa. Cresce a Brooklyn, in una casa dove la politica è pane quotidiano: la nonna racconta della preparazione e della fallita rivoluzione del 1905, la madre milita nell’IWW. A nove anni è già nel partito comunista americano come pioniere, poco dopo entra nella Lega giovanile. Parla per strada, arringa i passanti, non ha ancora diciott’anni. Frequenta le scuole pubbliche e quelle di partito, prende il diploma ma non va all’università. Si forma da solo, legge voracemente, diventa meccanico ed elettrotecnico. Troppo giovane per andare a combattere in Spagna, segue da lontano la guerra civile, e quando legge Orwell, Omaggio alla Catalogna, capisce che il comunismo sovietico non è la risposta. La firma del patto Ribbentrop-Molotov nel 1938 ne sancisce la conferma. Aderisce al Socialist Workers Party trotzkista, scopre la vita di gruppo, le lotte interne, la durezza delle scissioni, ma anche la disciplina dell’analisi. Ha una mente ‘prensile’ che assimila velocemente.

Va a lavorare in fabbrica, prima in fonderia, poi alla General Motors. Entra nei sindacati, partecipa agli scioperi del 1944-46, vede la forza collettiva ma anche i suoi limiti. Il ‘Trattato di Detroit’ segna la resa: la classe operaia vuole salari e stabilità, non la rivoluzione. Verso la fine degli anni Cinquanta, intuisce che la società capitalista non è più quella analizzata da Marx, le cui ‘contraddizioni fondamentali’ fondavano la prospettiva rivoluzionaria.  In questo periodo, l’incontro decisivo è con Josef Weber, militante trotskista in esilio (poi ex), teorico della regressione: la classe non è più il motore della storia dissolta qual è nell’integrazione capitalista.  Weber lo introduce alla lettura della Scuola di Francoforte, di Adorno e Horkheimer, un filo critico che resterà costante. Aderisce al ‘Movimento per una Democrazia di contenuto’ di Weber e inizia a collaborare alla sua rivista Contemporary Issues. Qui Bookchin pubblica i primi articoli sull’ecologia. Nel 1962 esce il suo primo libro, Our Synthetic Environment. È un j’accuse contro i pesticidi, anticipa Primavere silenziose di Rachel Carson di pochi mesi, ma il suo testo passa quasi inosservato. Bookchin loda la Carson per la ‘magia del suo stile’.

Dopo la morte di Weber sceglie l’anarchismo. Negli anni Sessanta frequenta la controcultura e influenza, anche se con rapporti conflittuali, la New Left. Conosce Ginsberg, diventa amico di Judith Malina e del Living Theatre. Viaggia in Europa. Incontra quello che resta dei Provos ad Amsterdam e i Situazionisti a Parigi. I primi volevano un’alternativa al capitalismo. Una volta eletti proposero di vietare le auto nel centro e offrirono bici bianche ai cittadini. Quando Bookchin arrivò ad Amsterdam i Provos si erano appena sciolti, vittime del loro stesso successo. Non è più fortunato con i secondi. Incontra i Situazionisti, ma non sono interessati al suo anarchismo, giudicano confusa la sua idea di ‘ecologia sociale’, non condividono le sue ‘alleanze’ politiche. Viaggiando in Francia incontra i vecchi militanti anarchici ancora in ‘esilio’, vuole ogni dettaglio sulle comunità libertarie dalla Catalogna all’Aragona. È di nuovo a Parigi durante il maggio ’68. Alla fine degli anni Sessanta si trasferisce nel Vermont con un gruppo di newyorchesi a lui vicini. Aprono un caffè comunitario, s’inseriscono nella vita cittadina, partecipano alle assemblee pubbliche. I rapporti con Bernie Sanders, sindaco socialista, sono tesi ma leali. Le divergenze riguardano il modo di intendere le ‘assemblee cittadine’, ancora vive nella coscienza locale, come riattivarle e articolarle. Fonda l’Istituto per l’ecologia sociale, insegna in diverse università, scrive senza sosta. Diventa per tutti ‘il più ecologo tra gli anarchici e il più anarchico tra gli ecologi’1. Ma il senso della sua vita è chiaro: un militante che attraversa tutto il Novecento, sempre inquieto, sempre alla ricerca di un punto di svolta.

È utile sottolineare gli aspetti più salienti del suo pensiero. Il primo concerne l’ecologia sociale. Per Bookchin l’ecologia è sempre ‘ecologia sociale’, non generica difesa della natura. La sua convinzione profonda è che l’idea di dominio della natura discende da quella di dominio dell’uomo sull’uomo. La relazione che l’uomo ha instaurato con la natura è basata sullo sfruttamento. L’ecologia sociale cerca di creare delle nuove relazioni sociali basate sulla cooperazione, la solidarietà e la libertà. Questi valori devono diventare la base stessa della società e delle istituzioni. L’ecologia sociale, secondo Bookchin, non ha nulla a che vedere con l’ambientalismo, «che non mette in discussione la premessa basilare della società presente e cioè che l’uomo deve dominare la natura», ma si preoccupa solo di sviluppare «tecniche che riducano i rischi connessi a una spoliazione avventata dell’ambiente». 

L’incessante rinnovamento tecnico cui assiste a partire dalla seconda metà del Novecento, porta Bookchin a vedere nella tecnologia un potente alleato dell’ecologia sociale. Per lui la tecnologia non è un insieme di strumenti neutri, ma espressione di un modo di pensare razionale e, al tempo stesso, un rapporto sociale. Non è solo applicazione della scienza, ma modo di organizzare la società. Murray ha letto Horkheimer (in particolare L’eclisse della ragione) e Marcuse. Quest’ultimo, negli anni Sessanta è un punto di riferimento della New Left americana. L’uomo a una dimensione è citato nei suoi articoli. Incontra Marcuse, discute e polemizza con lui, ne assimila la critica della società tecnologica che in larga parte condivide. Dissente da lui quando questi afferma che la tecnologia ‘non può essere separata dall’uso cui è adibita’ e che la società tecnologica è un sistema di dominio già all’opera nel momento in cui le ‘tecniche sono concepite ed elaborate’. La sua tesi è che oggi disponiamo di molte conoscenze scientifiche e la tecnologia, essendo ‘socialmente determinata’, può essere selezionata e orientata. La sua formazione tecnica gli permette di individuare – già nei primi anni Sessanta – fonti energetiche e dispositivi in grado di ‘riequilibrare’ il rapporto uomo-natura: il sole, l’eolico, le pompe di calore, lo sfruttamento delle maree. Cruciale, nel suo discorso sulle ‘tecnologie liberatorie’, è il contesto istituzionale: solo istituzioni partecipate, autogestite e decentrate possono guidare le tecnologie verso fini liberatori, trasformando la forma mentis tecnica di dominio a strumento di emancipazione sociale ed ecologico. 

Un secondo aspetto è lo scontro con la deep ecology americana, in particolare con il movimento Eart First!2. Bookchin si batte contro l’idea che la natura incontaminata valga più dell’uomo. Accusa i suoi avversari di misantropia, di razzismo. Non sopporta il malthusianesimo, la retorica della sovrappopolazione, la nostalgia di una wilderness separata, la negazione dell’unicità degli esseri umani (scrive spesso ‘siamo la natura diventata consapevole di sé stessa’). Per lui la vera ecologia è storica, politica, implica una trasformazione dei rapporti sociali. Il conflitto è acceso, polemico, segna la differenza tra una critica sociale e un culto della natura.

Terzo aspetto è il municipalismo libertario che poi muta nome in ‘comunalismo’, con evidente riferimento sia ai Comuni medievali sia alla Comune di Parigi. Qui bisogna risalire al 1936, alla guerra civile spagnola che Bookchin osserva da lontano e a colpirlo è la vita civile nei territori in guerra. Gli anarchici organizzano fabbriche, trasporti, campagne, ma anche l’approvvigionamento delle città. Tutto gestito dal basso. Consigli di fabbrica, consigli di quartiere, assemblee cittadine, non Stato. Riprendendo dagli anni Sessanta, Bookchin osserva i movimenti, le lotte, le proteste. Riflette sulle nuove forme di azione sociale. Pensa a una nuova forma di democrazia, che poi è la stessa che riappare ogni volta che si riaprono spazi di effettiva partecipazione non verticale ma orizzontale alla vita sociale cittadina (quartieri, assemblee, città federate).

Nel 1972 scrive un articolo che mette in subbuglio il mondo anarchico. Si intitola Spring offensive, Summer Vacations. La tesi è chiara: bisogna partecipare alle elezioni locali, non per prendere il potere, ma per costruire istituzioni nuove. Il testo fa scalpore. Tra i critici c’è anche Judith Malina, fondatrice del Living Theater. Amica di una vita, ma contraria. L’elettoralismo, anche se solo locale, è per molti un tabù. Ma lui insiste: non vuole vincere le elezioni, vuole trasformare il Municipio, per renderlo spazio democratico di tutti i cittadini. Bookchin ha visto molte rivoluzioni fallire, il potere crollare e poi ritornare, peggiore, più autoritario, perché manca un’alternativa pronta. Una struttura, un’istituzione nuova, che funzioni, che coinvolga.

Il Municipalismo Libertario di Bookchin si fonda su assemblee, partecipazione diretta, revocabilità del mandato degli eletti, cittadini che si incontrano, si conoscono, si scelgono, si responsabilizzano. L’educazione politica quotidiana è centrale. I rivoluzionari, scrive, devono aiutare gli altri a diventare tali. Inizialmente pensa a un contro-potere esterno al Municipio. Poi capisce che si può agire anche dentro le istituzioni, a livello comunale. Lo Stato non si prende, ma si ‘svuota’, sostituito da federazioni di Comuni liberi. Idee che Bookchin deriva da Proudhon e Bakunin, dal socialismo municipale, dall’anarchismo europeo. Dal primo riprende l’idea del Comune autonomo, con assemblee come strumenti di governo progressivo, da Bakunin deriva la tensione radicale: l’obiettivo di abolire lo Stato, ma anche la convinzione che il Municipio è la base della libertà, della politica vera e soprattutto dell’autonomia. Non ignora il dibattito europeo tra fine Ottocento e primi Novecento, in particolare quello italiano. Non solo il Socialismo Municipale, riformista, con la municipalizzazione dei servizi e la gestione diretta delle risorse, ma anche quello radicale, anarchico, di Camillo Berneri, di cui condivide il Federalismo Libertario con al centro sempre il Municipio. Una struttura non statale, una società politica in opposizione al mercato che dilaga incontrollato. Negli anni Settanta osserva molti esperimenti. Partecipa al Montreal Citizens’ Rassemblement. Segue i Provos di Amsterdam che chiedono la devoluzione dei poteri ai quartieri. Negli Stati Uniti nascono piccole municipalità autonome che spingono per assemblee cittadine e mobilitazioni sui Municipi. Bookchin osserva, scrive e interviene. Ma è in Germania che ripone più speranze. Partecipa al dibattito che porta alla nascita dei Verdi. Interviene nelle riunioni, tiene conferenze, presenta i suoi libri. Discute con anarchici, marxisti ed ecologisti. Sostiene che la partecipazione è importante, ma solo a livello municipale. Nessun salto al governo federale o al parlamento nazionale. Perde perché vince un’altra linea, più moderata e realista: partecipazione totale alle elezioni, dal Municipio al Bundestag. Niente devoluzione del potere, nessuna assemblea di quartiere, niente Municipalismo, solo Partito. Nell’agosto del 1985 scrive a un corrispondente italiano: «voglio impedire che Cohn-Bendit e gli altri ‘sponti’ di ieri trasformino i Verdi in una squallida appendice dell’SPD.» Ma è esattamente quello che succede. Joschka Fischer è già in parlamento nel 1982 e nel 1985 diventa Ministro dell’Ambiente in Assia con SPD. Fine del sogno? No. Per Bookchin i sogni cercano sempre la loro realtà. Partecipare alle elezioni municipali è tattica, non strategia. Innesca una devoluzione dei poteri ai quartieri, alle assemblee municipali, verso l’autogestione generalizzata. Esercita un potere ‘destituente’ per aprire a una nuova fase storica ‘istituente’3.

Note

  1. Per chi vuole una biografia completa, il libro di Janet Biehl è la bussola (Ecology or catastrophe. The life of Murray Bookchin, Oxford University Press, New York, 2015).
  2. La posizione di Arne Naës è più complessa e sui punti specifici che Bookchin contesta a suoi seguaci americani cfr. https://equilibrimagazine.it/cultura/2025/02/05/arne-naess-siamo-laria-che-respiriamo/
  3. Sull’influenza di Bookchin su Abdullah Öcalan e il Municipalismo e l’ecologia sociale adottati dal PKK nel Kurdistan siriano si rimanda a: AA.VV., Rojava. Una democrazia senza Stato, Elèuthera, Milano, 2017.
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