Il potere di imparare
Le illustrazioni sono state create da Carlo Muttoni, in arte MUT, per accompagnare l’Almanacco Equilibri 2025 ‘Il potere di imparare’.
Nel tentativo di interpretare la complessità dei contenuti dell’Almanacco Equilibri 2025, ho sperimentato una tecnica mista che fosse, essa stessa, una esplorazione a supporto del tema centrale della rivista: il potere di imparare.
Viviamo dentro un caleidoscopio, dove le discipline vedono cambiare continuamente i propri perimetri, in un incessante gioco di ibridazioni e innesti. Anche in passato l’arte e la scienza partivano dai giganti (donne e uomini) che ci avevano preceduto.
Oggi, però, il mondo dell’arte si fonde con la tecnologia, la matematica con la medicina, l’architettura organica con la biologia. Segni nuovi e diversi, a volte inaspettati, partecipano a creare nuove forme, geometrie e linguaggi. Ho quindi provato a mescolare nuovi e vecchi strumenti del mestiere: l’illustrazione a china, inizialmente su carta, è stata digitalizzata, ritoccata e data in pasto all’intelligenza generativa. Qui, con istruzioni che combinavano testo e contributi visivi (gli ormai celeberrimi prompt) ho elaborato immagini nuove, successivamente ibridate con stampe antiche, clip art e cliché di repertorio, selezionate tra i vasti archivi disponibili in rete. Mi sono ritrovato tra le mani un prodotto familiare e distante al tempo stesso. Ho provato a ripetermi che quanto realizzato era un lavoro mio.
In fondo, ho utilizzato strumenti a disposizione di tutti. Ma non è stato proprio così. Nell’era dell’AI (la cui intelligenza definirei aggregata, più che artificiale) lo strumento è dialogico, corale, partecipativo. Quel che ottengo è un prodotto di integrazione tra la mia idea e quelle che riempiono il mondo. Questo è uno dei miliardi di risultati possibili, un contenuto nuovo e originale, generato attingendo dall’immaginario globale. Grazie a una macchina che, teoricamente e praticamente, ha il potere di imparare. In questo straniante processo di collaborazione tra uomo e macchine pensanti, non mi sono sentito esautorato dal mio ruolo di progettista.
La cabina di regia rimane pur sempre in mano a chi progetta, almeno per ora. Dovremo, però, abituarci a un destino ineluttabile, che potrebbe anche essere più interessante: le creazioni dell’uomo si troveranno a competere con creature e modelli nuovi e diversi da lui. Non sarà una competizione bensì una condivisione. E l’autore, ancora più nitidamente di prima, diventerà co-autore.
– MUT

David et Goliath
Ebbene sì, in questa storia il Davide – il piccoletto, l’underdog, lo sfigatello che parte sfavorito – è il nostro pianeta. E Golia è la pletora di asteroidi che minacciano, da qui al 2880, di incrociare per caso la rotta di una certa graziosa pallina azzurra nel sistema di Sol, scatenando l’iradiddio. Roba da estinzione dei dinosauri, o peggio. Hanno nomi minacciosi – Bennu, o l’Apophis dio egizio della distruzione. Fortunatamente, la storia in cui questi colossi si spiaccicano sulla Terra dovrebbe restare chiusa in un cassetto cosmico e mai vedere la luce, con probabilità di impatti nell’ordine dello zero virgola qualcosa. Tuttavia, per quanto esigue, la NASA queste possibilità le monitora costantemente (e saggiamente). E se poi proprio dovesse servire un DART – letteralmente un ‘dardo’ da scagliare, acronimo di Double Asteroid Redirection Test – in tal caso, sotto con la fionda! L’abbiamo già provata, contro un Golia in miniatura. E a quanto pare, funziona.

Fast Capitalism
La road map della mobilità europea sembrava tracciata, senza se e senza ma: dalle vetture alimentate a fonti fossili dai classici motori endotermici a quelle elettriche, con la tappa intermedia delle ibride, sorta di cuscinetto hi-tech per aggiustare il tiro nell’immaginario collettivo e smussare gli spigoli di un così profondo cambio di paradigma. Ma la teoria non aveva fatto i conti con l’oste, ossia il consumatore. Imperterrito, specie in Italia, costui (e costei) continua a scegliere tutto fuorché l’elettrico. Per l’automobilista medio – abitanti di villette a parte – l’infrastruttura necessaria a caricare ogni giorno milioni di vetture è al momento un miraggio. Il risultato? L’attuale mercato dell’auto, più che il frutto di un illuminato masterplan, sta assumendo i contorni di un esperimento che ha del bizzarro, un Frankenstein un po’ boomer che riesce a farsi andare giù anche un pieno di GPL.

Artificial Stupidity
Non cade dal cielo e il suo costo – economico, sociale, ambientale – qualcuno lo deve pagare. Distogliere lo sguardo dai paraocchi dei facili trionfalismi (ma pure dei catastrofismi a buon prezzo) è utile per vedere l’Intelligenza Artificiale per come esiste oggi nella realtà: una rete di fabbriche private che producono migliaia di enormi data center specializzati in reti neurali, capaci di consumare come nulla fosse l’energia di dieci milioni di case. Ma soprattutto, uno step evolutivo preciso del capitalismo digitale dalle chiare tendenze oligopoliste e che, per via degli enormi investimenti di cui necessita, è obbligato a perseguire la realizzazione di un super-prodotto, con un valore economico tendente all’infinito, per ripagare dei fantamiliardi spesi. Ci furono dei vivi, dei morti e dei vivi, direbbe il poeta.

Food for Thought
Delle due, l’una. Continuiamo a metterci in fila e farci imboccare con un po’ di conoscenza premasticata da qualcun altro (il professore, ChatGPT, domani gli AI agents). Oppure ci rimbocchiamo le maniche e proviamo a tracciare il nostro percorso, mettendo al centro la necessità di perseguire un’educazione tagliata a misura delle nostre esigenze? Non riguarda mica soltanto gli scolari. Quel mondo lì è finito. Oggi e sempre di più domani, siamo e saremo ‘discenti a vita’. Ciò che si impara da giovincelli non dura più una carriera intera, come per i nostri nonni (e in parte pure per i nostri genitori). Ma non basta più neppure per la vita quotidiana e di relazione. Tendere il piatto e farselo riempire da altri non funziona più. Tocca imparare a cucinare.

Take Over
Un tempo l’obiettivo dell’istruzione era l’alfabetizzazione, oggi è l’alfabetizzazione digitale. Eccessivo? Mica tanto. Il modo di apprendere dei nativi digitali, e non soltanto a scuola, è radicalmente definito dall’essere immersi in un mondo multimediale, connesso, interattivo. Abbiamo riempito le scuole di lavagne interattive, e device su cui esercitarsi nei rudimenti della programmazione e del codice. Ottimo. Ma ora tocca prendere un bel respiro e chiedersi: chi è al servizio di chi? La tecnologia a nuove idee e modelli di apprendimento, che domande. O non è così scontato, a meno di investire energie dedicate e un bel gruzzolo di visione per innovare la didattica? Che poi ci sarebbero anche i docenti. Non tutti sono in possesso di competenze digitali per diritto divino (o generazionale). E a dirla proprio tutta, neppure ogni studente. Nuove sfide, vecchie-nuove questioni tuttora irrisolte, vedi alla voce: digital divide.

The Learning Planet
Si chiama interferometria a lunghissima base, ed è molto più eccitante del nome che le hanno appioppato. Serve a vedere e sentire nello spazio profondo, a farsi gli affari di quella pulsar o del tal disco protoplanetario. E magari a svelare qualche mistero del creato. L’umanità sta costruendo radiotelescopi sempre più grandi (in Cile, alle Hawaii) che estendono enormemente la nostra capacità di osservazione, fino al buco nero M87 a 16,5 milioni di parsec, un’eternità in anni luce. C’è poi il progetto dell’osservatorio spaziale a onde gravitazionali LISA (Laser Interferometer Space Antenna), con base di misurazione paragonabile all’orbita della Terra intorno al Sole. Nessuna organizzazione è in grado da sola di effettuare osservazioni su scale planetarie: per costruire tali prodigi è necessario unirsi in consorzi. Un po’ come se tutto il Pianeta stesse collaborando per apprendere qualcosa di nuovo dell’Universo. Vista così, scalderebbe il cuore persino nel gelido spazio stellare.

È Stato
Lo Stato, quello nazionale, che evoca potenza, controllo, l’autorità di modellare il destino dei popoli. Ma anche: participio passato di un verbo che significa rimanere, cessare il moto. E certo la spinta propulsiva degli Stati si è fiaccata. Le élite anglo-sferiche hanno creato un ordinamento di mercato dispiegato in ogni spazio vitale del Pianeta. Ed ecco il fenomeno della de-statualizzazione, la crisi dello Stato come istituzione e del concetto di sovranità. Ovunque è un fiorire di declinazioni di neo-patrimonialismo, l’altra faccia della medaglia: il sistema clientelare dell’Africa subsahariana, l’autoritario socialismo di mercato cinese, i paradossi dei regimi liberal-democratici in America Latina. Per dirla con Ortega y Gassett, l’ascesa di un’umanità irresponsabile che gode dei prodigi della tecnica senza freni morali. Un’Europa di dispotismi, conformismo e volgarità dilaganti. Oggi (quel)l’Europa è il mondo. Forse, lo Stato è stato.

Mental Pandemia
Tutti ne parlano, nessuno sa spiegarlo. Il malessere psicologico della Generazione Z sembra schermato da una sorta di principio di indeterminazione. Appena si prova a tracciarne il perimetro, svanisce. Non facciamoci sviare da questo apparente stato gassoso: soltanto in Italia, due milioni di bambini e adolescenti soffrono di malattie mentali: 1 su 5 della popolazione giovanile (!) Riduzione dell’attenzione e comportamenti borderline sono il pane quotidiano delle società avanzate. Colpa dei social, del covid, degli smartphone, dell’atomizzazione dei legami di comunità. Ognuno punta la propria freccia. Nel calderone ribolle una pozione di fattori economici, sociali, tecnologici, familiari, di relazione. Nessuno però riesce a distillarla, neppure a impastarla in uno straccio di quadro generale. La sfida è trasversale e a tutti i livelli manca l’abitudine (la visione, le capacità?) a trapassare le barriere delle nicchie specialistiche. Ma se non ora, quando?

Il Dopononlavoro
Il primo specialista a tempo pieno fu un lavoratore del metallo: utensili, armi, tra l’8000 e il 3000 a.C, età neolitica. Quindi minatori, artigiani, agricoltori. Combinate le competenze ecco le prime irrigazioni, che sfociano nella creazione delle grandi civiltà antiche. Per secoli l’attenzione al mondo del lavoro non cambia poi molto, finché non cambia tutto: la nascita della sociologia, la folle corsa del Novecento, le opzioni del nuovo millennio: una in cui sei tu a dire cosa fare al computer, l’altra in cui è il computer a dirlo a te. Le utopie ci servono per coinvolgere i cittadini nella progettazione del loro ambiente: l’infrastruttura software del mondo, il ‘pianeta latente’. E svettano quelle educative: apprendere è necessità vitale per ogni età e categoria sociale. Non più soltanto per sorreggere il lavoro, ma anche per riempire gli spazi vuoti lasciati dalla sua mancanza. Dimensione propria di una società che ha l’obbligo di educare e autoeducarsi in continuità.

Illitterates’ Casino
Al casinò delle disuguaglianze, come in tutti i tipi di casinò, vince sempre il banco. Ma in questo sono le inequalities cognitive a segnare il passo. L’asso nella manica, soffiare sui dadi o contare le carte sono sotterfugi che servono a poco o nulla. Ciò che davvero fa la differenza è la capacità o l’incapacità di apprendere, e dunque di adattarsi. È, questo, il potere di imparare. Un boost alla agency dell’individuo, alle sue possibilità di prevalere sulle crisi e sul superamento delle proprie competenze, al suo tramutarsi da entità passiva a agente attivo di un cambiamento. Nulla di più anacronistico del rien ne va plus! cognitivo. Si gioca tutto quanto lì, nella dimensione dell’apprendimento continuo. Il resto, soltanto lustrini da casinò.

The Elephant
La storia, in quanto disciplina, è fatta di fonti. E se esiste il sapere antiquario moderno, che alla materialità degli oggetti ha conferito pari dignità rispetto alle fonti testuali e letterarie, il merito è di Ciriaco d’Ancona. Un figlio di mercanti del Quattrocento legati alla Repubblica di Venezia, che tramutò i suoi viaggi commerciali in missioni di ricerca scientifica. Pellegrino, divulgatore, connettore di puntini tra i materiali visivi e le fonti antiche, capace di varcare i confini della pagina scritta per indagare il mondo antico in quanto manifestazione reale e materiale. Sul dorso di queste intuizioni ha generato (e tramandato) nuovi metodi e saperi. Secoli dopo, nella nostra epoca di fonti visive dell’autenticità radicalmente falsificabile, viene da chiedersi se l’elefante nella stanza sia la nostra impossibilità – ormai irreversibile? – di ricostruire l’origine di ciò che vediamo, come potè invece fare lui.

Antroposcene
Quanto siamo orgogliosi, noi Homines sapientes, di considerarci le uniche scimmie capaci di portare nel mondo arte, cultura, astrazione! Ce la siamo suonata e cantata per secoli, anche dilettandoci in confronti impietosi col Neandertal. Bella forza: scomparso 30 mila anni fa, non ha mai potuto dire la sua. Un cervello conservato da studiare non l’abbiamo. Ma alcuni studiosi hanno capito che con la tecnologia, del nostro vituperato parente possiamo modellizzare con precisione la scatola cranica. E farla parlare. Scoperte archeologiche recenti – la Grotta di Gorham a Gibilterra, la Roche-Cotard in Francia, la Cueva Des-Cubierta in Spagna – hanno fatto il resto, svelando un insospettabile senso del Neandertal per la messa in scena. Il quadro è ancora sfocato, ma il cambio di rotta è cosa fatta, alla scoperta dell’Altra Intelligenza. Stavolta senza farci condizionare da vanità e falsi miti.

The Sun Room
C’era una volta la distinzione tra fatti sociali e fatti naturali, così come ‘l’esenzionalismo umano’, che derubricava l’ambiente a semplice oggetto di studio delle scienze naturali. Poi è arrivato il cambiamento climatico, un fatto pubblico e globale di tale portata da polverizzare le confortanti ma incongrue barriere. Steccati entro cui cacciare la testa sotto terra come gli struzzi: si sono rivelati un’illusione, per giunta dannosa. Così ci siamo trovati il sole nella stanza, e brucia. Non è servito, né servirà, guardarlo direttamente, senza filtri. Piuttosto, come i confini tra artificialità e naturalità si sono allentati e ibridati, così sul climate change viviamo oggi in un mondo di negoziati: protezione, conservazione, modernizzazione ecologica, decrescita devono essere oggetto di dibattito. Avrà senso – e porterà risultati – soltanto se arricchito da un pluralismo scientifico e politico senza precedenti.

Progress
Immaginate di essere nel 2050 e di fluttuare sulla vostra navicella sopra la superficie della Terra. Con un’AI che governa i sistemi di bordo, avreste tutto il tempo di dedicarvi ad altro, come il tratteggiare i contorni di un futuro anteriore. Potreste quasi vedere, alla stregua di puntini luminosi nello spazio attorno a voi, la vertigine dei numerosi piccoli e grandi snodi e fatti storici che hanno lastricato il fallimento dell’uomo nel fronteggiare il cambiamento climatico. Le conseguenze distruttive, traumatiche, cambia-habitat. Ma anche le soluzioni adottate, pur tardive, il ruolo positivo dell’intelligenza artificiale nei tentativi di governare l’ingovernabile, fino alla svolta epocale della fusione nucleare: la tecnologia giunta finalmente al soccorso di una specie che ha rischiato di perdere per sempre il suo pianeta.

Off the Greed
La gestazione è durata anni. Estenuante, specie per chi aveva già imbastito progetti, raccolto consensi e si era arenato, in attesa dell’imprimatur statale. Finalmente le Comunità Energetiche Rinnovabili – gruppi locali di produzione e autoconsumo di energia pulita, con statuto e dedicato e relativi incentivi pubblici – hanno trovato posto nel quadro giuridico italiano. E adesso? Off the greed, lontane dalle vecchie logiche di profitto al primo posto, dovrebbero esserlo per costituzione: essere membri di una CER deve implicare benefici economici, ma soprattutto partecipare come cittadini al raggiungimento di obiettivi ambientali e sociali. Ora la sfida è farle sorgere nei fatti, sui territori, risolvere le sfide logistiche, tecnologiche, economiche, di rendicontazione e misurazione degli impatti. E farlo in modo che nascano già pronte a essere portate in the grid, integrate pienamente nel sistema elettrico nazionale.

Transition
E pur si muove! Davanti all’Inquisizione del cambiamento climatico, potremmo prendere a prestito le parole di Galileo. Rispetto alla sua verità inconfutabile, le nostre argomentazioni sarebbero più sfarfallanti, come una fiammella. Ma la tecnologia sta davvero accelerando la transizione, con il solare a tirare il gruppo. Germania: 57% di elettriche rinnovabili nel 2024, punta all’80% nel 2030 e alle emissioni nette zero già nel 2045. Portogallo e Danimarca: 75% e 80% di elettricità da rinnovabili. Spagna, 60%, e il piano di un sistema nazionale 100% pulito per metà secolo. UK: crollo del consumo di elettricità fossile al 35% già nel 2023. E la Cina, in anticipo di anni su tutti gli obiettivi di produzione di energia solare e eolica. Il boom dei sistemi di accumulo accompagna questi sforzi come un fido gregario. Ma si muove con coerenza anche la politica, cui spetta il compito di supportare e guidare questa accelerazione?

Capsules
Per lungo tempo abbiamo vissuto entro i confortanti confini di dualismi di cui conoscevamo il – o perlomeno, un – punto d’equilibrio: guerra/pace, urbanizzazione/crescita, esterno/interno, civilizzazione/natura. Ma il mondo mutato del 21esimo secolo è segnato proprio dai collassi globali di queste pillole di certezza. L’impresa è improba: fronteggiare il collasso della verità, del tempo, della persuasione di sè, del globo. E i loro effetti più evidenti: conflitti, insostenibilità del modello di crescita, soggettività svilita e schiacciata sul fine a scapito dell’accrescimento interiore, l’abbandono della Natura e la coazione a sfruttarla e domarla come unica modalità di relazione con essa. Cadute, momenti cruciali di attraversamento da cui siamo chiamati a emergere con nuovi paradigmi.

Weber’s Palace
Che scuola vogliamo, che scuola abbiamo. Lo scenario è contraddittorio, un palazzo dagli angoli disturbanti e le linee sfuggenti. Alle trite rassicurazioni di facciata della politica non corrisponde una centralità dell’educazione nell’azione pubblica. L’abbondante farina del Pnrr ha portato una moltiplicazione dei pani e dei progetti, ma non sappiamo cosa resterà esaurita la scorpacciata. Destinatarie di abbondanti rifornimenti di tecnologia, le scuole hanno ora bisogno di altro: una rivoluzione culturale, umana, per essere davvero laboratorio civile, flessibile, aperto all’esterno, con studenti e docenti ingaggiati a creare, insieme, una relazione viva con il sapere, oltre la scuoletta tribunale del compitino e della pagella. Più difficile ancora: tramutarla in dimensione quotidiana la cui energia di fondo tenda a ridurre e attenuare le diseguaglianze – cognitive, economiche, sociali – anziché subirle e vidimarle, come accade nel resto della società.
I testi di accompagnamento sono di Giuliano Di Caro.