Arne Naess. Siamo l’aria che respiriamo

Autore

Pasquale Alferj

Data

5 Febbraio 2025

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

6' di lettura

DATA

5 Febbraio 2025

ARGOMENTO

CONDIVIDI

Alpinista, filosofo, attivista norvegese, Arne Naess nasce a Oslo nel 1912 e nella stessa città studia, lavora e muore a 87 anni, nel 2009. Mai fermo, sempre in viaggio, ma con radici profonde nella sua terra. 

Nel 1933 dopo essersi laureato discutendo una tesi sul rapporto tra epistemologia e metodo scientifico, prosegue i suoi studi per il dottorato prima alla Sorbona, a Parigi, e poi a Vienna. Qui segue il seminario di Moritz Schlick, frequentato dal principale gruppo di discussione del ‘Circolo di Vienna’, punto di riferimento dei filosofi fautori della ‘conoscenza scientifica del mondo’ e noti soprattutto col nome di ‘neopositivisti’. Per Naess sarà un incontro fruttuoso che gli consentirà di conoscerli personalmente e di discutere con loro. Ama la tensione verso la chiarezza di queste discussioni che, precisa, ‘non sono dibattiti’. Sono un’esperienza che permea il suo intero metodo filosofico quanto a chiarezza analitica ma, differentemente dai neopositivisti, Naess attribuisce ai valori un ruolo fondamentale nella comprensione e nell’azione umana. 

Scrive: «Non esistono teorie e indagini senza valori. Anche quando rifiutiamo di esprimere i nostri, questo di per sé è già una scelta e un’espressione di valori». Nel 1936 discute la sua tesi di dottorato all’Università di Oslo sulla natura della verità, esaminando in particolare il concetto di coerenza come criterio per determinare la verità nelle teorie filosofiche. Sotto l’occhio vigile dei rappresentanti più importanti della Scuola di Vienna, partecipa nell’agosto del 1937 a Parigi al IX Congresso Internazionale di Filosofia, meglio conosciuto come ‘Congrés Descartes’, con una relazione sul concetto di verità a partire da una ricerca empirica. In un memorandum a Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, presente all’evento, lo nota e descrive Arne Naess come un giovane di 25 anni della buona borghesia norvegese che presenta la sua relazione con ‘sprezzante supponenza’. Nel 1938 Naess accetta il posto di ricercatore post-dottorato presso l’Università di Berkeley nel laboratorio di psicologia sperimentale diretto da Edward C. Tolman e parte per gli Stati Uniti. Viaggia molto. Frequenta altre università, partecipa a workshop e tiene conferenze. All’Università di Pennsylvania incontra Wolfgang Köhler, uno dei principali esponenti della psicologia della Gestalt al quale dobbiamo la nota affermazione «il tutto non è la somma delle parti». Ciò significa anche che noi organizziamo le nostre esperienze come ‘unità’ e non come una semplice somma delle parti. Possiamo vedere un’estensione di questo assunto nella visione di Naess di una natura in cui tutte le parti che la compongono sono interdipendenti.

L’anno successivo, a 27 anni, torna in Norvegia come direttore di un Dipartimento di Filosofia. A lui dobbiamo, in particolare, la definizione di ecologia profonda come movimento filosofico ed etico che invita a riconoscere il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi. Naess distingue tra ecologia superficiale, ‘riformista’ ed ecologia profonda, ‘radicale’. La prima si limita a lottare contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse, con l’obiettivo della salute e benessere delle popolazioni dei Paesi sviluppati, senza mettere in discussione il paradigma antropocentrico. La seconda è un movimento che si fonda su alcuni valori prioritari di tipo normativo («prescrizioni e non soltanto descrizioni e previsioni scientifiche») che possiamo così sintetizzare: Il pensiero ecologico rifiuta l’antropocentrismo, riconoscendo valore intrinseco a ogni essere vivente e affermando un’uguaglianza fondamentale tra tutte le forme di vita. La diversità e la simbiosi rafforzano la sopravvivenza e arricchiscono gli ecosistemi. La crisi ecologica è legata all’oppressione sociale, e superare le disuguaglianze è essenziale per un mondo più equo. La lotta all’inquinamento non deve generare altri danni ambientali o sociali. Gli ecosistemi sono complessi e imprevedibili, quindi ogni intervento umano va valutato con cautela. Infine, il decentramento decisionale è cruciale per tutelare l’equilibrio ecologico locale.

Il pensiero di Naess si nutre di un’antica pratica della cultura norvegese, la frieuftsiliy, la vita all’aria aperta. Da qui il suo amore per l’alpinismo che considera una pratica esistenziale e filosofica («La montagna non è da conquistare, ma da vivere. Ogni scalata è un dialogo con ciò che ci circonda e con noi stessi»). Le sue esperienze in montagna, in particolare sul monte Hallingskaarvet in Norvegia, sono fondamentali per l’elaborazione del suo pensiero. È qui che nel 1937 Naess crea il suo luogo, realizzando un desiderio che coltivava da quando, all’età di 10-11 anni, si era arrampicato per la prima volta su questo monte: una volta raggiunta la vetta, «sarebbe stata una cosa terribile scendere». È in questo luogo, a 1.500 metri, al quale sentiva di appartenere, che vuole vivere. Qui costruisce la sua baita spartana (senza elettricità, senza acqua corrente, senza riscaldamento centralizzato, ma ben fornita di libri), raggiungibile solo a piedi, salendo per due ore dalla stazione ferroviaria più vicina. In questa baita, che raggiunge una volta terminati i corsi a Oslo, svolge gran parte del suo lavoro filosofico creativo. Numerosi sono i filosofi che hanno fatto riferimento all’alpinismo nelle loro opere, pochi invece sono quelli che l’hanno praticato. Tra questi Naess e Ludwig Wittgenstein. Adatta a entrambi è un’affermazione di René Daumal: «Chi scala la montagna della conoscenza deve affrontare il peso del suo zaino, ma è solo svuotandolo del superfluo che raggiunge la vetta».

Dal 1939 al 1969 insegna filosofia all’Università di Oslo. Durante l’occupazione nazista è attivo nella resistenza e nel dopoguerra è impegnato in pratiche di ‘giustizia riparativa’ a partire da un ‘gandhismo’ militante. L’interesse per Gandhi risale all’adolescenza, affascinato dalle sue teorie e dalla sua attività non violente. L’interesse cresce negli anni Trenta-Quaranta fino a dedicargli un libro, scritto con Joahn Galtung (suo allievo, sociologo, matematico, pacifista e ‘pacificatore’, protagonista di numerosi processi di ‘mediazione’ in vari conflitti, conosciuto in Italia perché giovanissimo arriva in Sicilia a sostenere Danilo Dolci nelle sue denunce contro la violenza mafiosa), al quale ne seguono altri due. La centralità dell’insegnamento di Gandhi nel pensiero di Naess è pari a quella dell’insegnamento di Spinoza, Di quest’ultimo autore, letto e riletto con continuità, lo colpisce la visione dinamica della natura, con distingue tra ‘natura naturante’ e ‘naturata’. Questa distinzione, lungi dall’essere statica, irriga l’ecologia profonda che Naess elabora alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, mostrando la natura come processo in atto. Il termine naturans, participio futuro, suggerisce che la natura è sempre un farsi, un divenire aperto, mai compiuta una volta per tutte. In questo fluire, ogni ente – animato o inanimato – esiste solo in relazione agli altri, in una rete di interdipendenze che rende vano ogni tentativo di separare l’umano dal non umano. 

Negli anni Cinquanta-Sessanta viene coinvolto nei movimenti pacifisti e partecipa a diverse manifestazioni, in particolare contro il riarmo nucleare, tenendo fermo l’impegno etico per la non violenza e il rispetto per la vita. 

Nel 1968, all’età di 57 anni, dopo un lungo periodo di insegnamento, lascia l’Università per dedicarsi alla scrittura e alla causa ecologica con libri, articoli, conferenze, convegni e l’attivismo militante ispirato dalla lettura del libro di Rachel Carson, Primavera Silenziosa, uscito nel 1962 negli Stati Uniti, il cui successo segna la nascita di un’opinione pubblica attenta alle questioni ambientali.

Conseguente al suo impegno è l’arresto nel 1970 quando si incatena, assieme ad altri 300 manifestanti, alle rocce davanti alla cascata Mardalsfossen, una tra le risorse naturali più rilevanti d’Europa, per opporsi al progetto di costruzione di una diga e una centrale idroelettrica in grado di alterare radicalmente il luogo. L’azione è un successo. Diverso è invece l’esito dell’azione, iniziata nel 1978 e che si protrae fino ai primi anni Ottanta, contro la costruzione di una diga nel fiume Alta. Naess e altri attivisti ambientalisti si uniscono ai membri della comunità Sámi, ma nonostante l’occupazione del cantiere e una protesta ampiamente condivisa in Norvegia e condotta con metodi non violenti, la diga viene realizzata e completata nel 1987. È quindi tra i promotori di una delle prime lotte ecologiche internazionali, con la partecipazione di attivisti canadesi e di Greenpeace, da poco fondata a Toronto. Quando nel 1988 viene costituita la sezione norvegese dell’organizzazione, Arne Naess ne diventa presidente.

L’articolo seminale del 1973, in cui è condensato il pensiero che poi Naess approfondisce e sviluppa negli anni successivi, non trova una eco immediata nel dibattito che anima e fa crescere i primi movimenti ecologici dell’epoca. Sono gli anni in cui il Club di Roma pubblica il pamphlet sui ‘limiti della crescita’, sono già attivi movimenti come Granpeace e WWF, l’Earth Day coinvolge annualmente un milione di persone, sono operativi il Clean Air Act e il Clean Water Act. Sono anche gli anni in cui Naess frequenta spesso gli Stati Uniti e viaggia per conferenze e lezioni in varie università. Semina idee e lentamente cresce l’attenzione verso l’ecologia profonda. Negli anni Ottanta, non dà peso agli attacchi di Murray Bookchin, l’anarchico fondatore dell’ecologia sociale, malgrado le accuse di occultismo, ideologia new age, e la critica di apolitismo, nonostante le loro numerose affinità. Diverso è il suo atteggiamento con gli attivisti di Earth First!, che condividono la sua visione biocentrica della natura ma, pur riconoscendo il valore delle loro preoccupazioni, Naess critica i loro metodi estremisti, al limite della legalità, ‘anti-umanistici’.

Da queste premesse si può comprendere che Naess è un autore da leggere. La sua ‘ecosofia’ non è una teoria astratta, ma una pratica tra la nostra conoscenza profonda della realtà e le scelte pratiche che copiamo ogni giorno. Una forma di saggezza (politica?) che coincide con quella ‘compiuta maturità’ cognitiva ed emotiva che porta a identificarci «con tutti gli esseri viventi, senzienti o meno». Una maturità del Sé che implica il superamento dei nostri ego individuali. Un Sé espanso che include gli altri, persone e specie. È grazie a questo processo d’identificazione e alla crescita della maturità che il Sé viene allargato e approfondito. Scrive Naess: «Noi ‘vediamo noi stessi negli altri’. E la nostra autorealizzazione risulta ostacolata se l’autorealizzazione degli altri con i quali ci identifichiamo risulta ostacolata. Il nostro amor proprio lotterà contro quest’intralcio aiutando l’autorealizzazione degli altri». L’azione è l’unico rimedio contro la tristezza generata dalla miseria del mondo.

Leggi anche
Cultura
Freccette
4′ di lettura

Verdi parole. La retorica della sostenibilità sotto la lente linguistica

di Veronica Ronchi
Cultura
Viva Voce
3′ di lettura

Rebus antico

di Redazione
Cultura
Freccette
6′ di lettura

Riverbed di Olafur Eliasson: negoziare e riflettere la natura

di Andrea Mattiello
Scienza
Viva Voce

Il segreto dietro le farfalle nello stomaco

di Redazione
3′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Il mouth taping: dal serial killer a un trend TikTok

di Redazione
3′ di lettura
Tecnologia
Viva Voce

Il futuro della mobilità: l’idrogeno come pilastro della sostenibilità e dell’economia circolare

di Agnese Tumminia, Eleonora Zago
6′ di lettura
Cultura
Viva Voce

Rebus antico

di Redazione
3′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Il tè, un farmaco derivato dalla natura

di Redazione
4′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Dietro le quinte della nostra coscienza

di Redazione
4′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia