Wolfgang Welsch – filosofo tedesco che ha concentrato il suo impegno filosofico nelle relazioni tra epistemologia, estetica e antropologia, a cavallo tra secondo e terzo millennio – spiega molto bene i cambiamenti in corso in Transculturality – the Puzzing Form of Cultures Today, saggio di apertura del volume Prospectives on a 21st century comparative musicology: Ethnomusicology or Transcultural Musicology? che introduce con uno sguardo filosofico-antropologico alla comprensione delle dinamiche culturali nel Secolo XXI. Il filosofo tedesco presenta un concetto di cultura appropriato alla contemporaneità ed in grado di poter rappresentare la cultura di oggi: la transculturalità. Partendo dal tradizionale concetto di cultura, Welsch prosegue con l’analisi delle più recenti nozioni di interculturalità e multiculturalità, concludendo con la descrizione dell’attuale spaccato storico.
Andiamo per ordine: è necessario definire l’origine del pensiero filosofico di cultura per valutarne le falle, sia strutturali sia concettuali, e per valutare l’inefficacia contemporanea.
Il concetto di cultura, teorizzato nel Secolo XVIII dal filosofo Herder, si basa su tre elementi fondamentali: l’elemento unificatore, l’elemento folkloristico e l’elemento separatore. Il primo prevede una omogeneizzazione sociale, vale a dire prevede che ogni cultura plasmi la vita degli individui rendendo ogni atto ed ogni gesto un esempio inconfondibile, cioè unificatore; il folklore è necessario ad un consolidamento etnico, e pertanto definisce implicitamente che ogni cultura debba essere sempre ‘cultura di un popolo’; il terzo elemento, quello più importante ed esplicativo del tradizionale concetto di cultura, chiarisce che ogni cultura in quanto cultura di un popolo deve essere distinta e rimanere separata dalle altre culture, ne consegue una netta delimitazione culturale verso l’esterno.
Per molti studiosi questa teoria è stata superata dalle dinamiche socioculturali contemporanee, che non possono più essere spiegate attraverso i tre elementi appena elencati. Il modello tradizionale di cultura, inoltre, tende ad una omogeneizzazione interiore, favorendo separatismi esterni; questo modus pensandi favorisce l’esclusione dello straniero, nonché colui che viene visto come ‘il diverso’, implementando comportamenti di razzismo culturale. Questo sistema, quindi, è inutilizzabile non solo per questioni strutturali, ma è soprattutto un pericoloso strumento che spiana la strada a conflitti politici e di genere.
Bisogna pensare in modo diverso. Per questo sono stati teorizzati altri due concetti per provare a spiegare le dinamiche culturali moderne e tentare, soprattutto, di risolvere le incrinature della prima definizione: l’interculturalità e la multiculturalità. In entrambi i casi è stato aggiunto l’elemento di reciprocità tra culture, ma non è stato sufficiente per spiegare le dinamiche contemporanee. Difatti, il problema più grande di queste due tesi più recenti è che si basano sul tradizionale concetto di cultura, ma le culture non possono essere concepite come delle sfere a sé stanti o come delle isole, perché in questo modo inevitabilmente nascono dei conflitti. Secondo il concetto di interculturalità queste sfere si completano, ma non interagiscono.
Emerge chiaramente l’elemento separatista, dunque il problema non è stato risolto. La multiculturalità, invece, prevede che diverse culture vivano all’interno di una società; ma anche in questo caso è evidente la teoria herderiana e si evince un forte carattere separatista, perché distingue le diverse culture facendole, però, convivere all’interno di una stessa realtà sociale.
L’elemento di reciprocità tra culture mette in luce gli atteggiamenti di tolleranza e comprensione nei confronti dell’altro, ma non è sufficiente ad una definizione corrente. Queste teorie sono fondate sul concetto del Secolo XVIII, che favorisce aspetti di ghettizzazione e di fondamentalismo culturale: la vecchia nozione culturale di omogeneità interiore e delimitazione esterna genera sciovinismo e stigmi etnici, che non possono più essere accettati nella società moderna. È necessario ammettere la pericolosità di questa teorizzazione. La descrizione delle culture come sfere a sé stanti o come isole oggi non è più possibile, perché le culture odierne non fondano più le proprie basi sull’omogeneità e sulla separazione, ma tendono a mescolarsi e a permearsi.
Welsch, per spiegare la permeazione culturale del Secolo XXI, introduce il concetto di transculturalità, dall’inglese cross-cultural, che indica l’incrociarsi di varie culture che generano reciproca influenza sui comportamenti individuali e collettivi. Infatti, la transculturalità opera su due livelli: un macro-livello che è rappresentato dalla società in toto ed un micro-livello che rappresenta il soggetto singolo all’interno del contesto socioculturale. Il macro-livello è eterogeneo: le culture oggi sono complesse perché si compenetrano e si intersecano, favorendo distinzioni interne e networking tra culture sempre interconnesse tra loro.
Le grandi e le piccole migrazioni e le comunicazioni immediate hanno favorito una permeazione dei diversi stili di vita culturali, che non finiscono più ai limiti geografici nazionali; gli articoli che una volta erano considerati esotici oggi sono a portata di mano, anche perché la rete globale delle tecnologie di comunicazione rende tutto immediato. L’ibridazione, dunque, è uno dei caratteri più importanti della transculturalità ed è la dimostrazione del sistema di interconnessioni culturali contemporaneo, che definisce che non c’è più nulla di autenticamente proprio.
La transculturalità agisce anche a livello individuale. Gli individui oggi sono ibridi culturali, la formazione di ognuno è data da molteplici e diverse influenze provenienti da qualsiasi luogo, sia reale sia digitale. Questo non deve essere confuso con l’identità nazionale, identità civica e identità personale sono due identità diverse: un ragazzo con passaporto indiano può non sentirsi indiano, magari vive in Italia da sempre e ha assimilato gli atteggiamenti del popolo italiano.
Il concetto di transculturalità non è un concetto del tutto nuovo. Nel Secolo XX Carl Zuckmayer se ne era occupato nell’opera teatrale Il generale del diavolo al fine di stabilire la nozione immaginaria di culture nazionali omogenee; e allora, secondo lo scrittore tedesco, dopo aver pensato agli antenati a partire dall’epoca di Cristo e aver descritto le interazioni sociali tra i diversi soggetti, afferma che «le nazioni si mescolavano come le acque delle sorgenti, dei ruscelli e dei fiumi che scorrono insieme in un unico grande ruscello vivente».
Questa descrizione realistica della genesi storica suggerisce la costruzione di un folk universale che rompe la finzione dell’omogeneità e l’idea separatista di cultura come stabilito dal concetto tradizionale di Herder. In questo modo traspare il carattere generale di ‘annessibilità’ culturale della transcultura, che dimostra come oggi sia necessaria una visione multiculturale e inclusiva, a discapito di una visione separatista ed esclusiva delle culture; è un carattere che induce a fare collegamenti e a evitare di delimitare l’espansione.
Eppure è proprio in questo fazzoletto d’ipotesi che si esprime il carattere arcadico e utopico di tale visione ‘transculturale’ del Terzo Millennio. Non possiamo infatti omettere l’eredità dialettica di chi forse meglio di tutti interpretò lo Zeitgeist pugnace del XXI secolo, ossia Samuel Huntington con il suo Scontro di civiltà (1996) – il quale delineava con chirurgica precisione le faglie delle guerre culturali per un’eterna battaglia di affermazione identitaria a livello globale. Come abbiamo purtroppo visto nel 2022, l’allievo di Huntington, Francis Fukuyama, ebbe infine torto nel gridare con voce troppo stentorea La fine della storia – titolo del suo celebre saggio (1992) – dato che tante guerre ancora scoppiano in ogni parte della nostra casa comune, financo nel vecchio continente.
Non già dunque democratizzazione e appiattimento di disagi e bisogni, nell’ottica di un villaggio globale post-ideologico, bensì mutati equilibri di potere tra le diverse civiltà che fanno esplodere, nel nuovo scacchiere geopolitico, ormai non più diviso a metà tra USA e URSS, una tragica e contagiosa Guerra di tutti. Questa Guerra di tutti (2019) è infatti il tentativo di Raffaele Alberto Ventura, uno degli assidui collaboratori di Equilibri Magazine, di sentitizzare e unire i pensieri dei due ‘maestri’: una battle royale sul filo del collasso globale, tra gloriosi risentimenti e sacra esposizione del benessere raggiunto 1.
Le fonti storiche dell’approfondita riflessione filosofica sulle dinamiche del mondo giungono, oltre che dallo scrittore Carl Zuckmayer, dai filosofi Nietzsche e Wittgenstein.
Nietzsche viene indicato da Welsch come il precursore del concetto di transculturalità perché, oltre ad aver teorizzato la teoria del soggetto come moltitudine – disse di sé stesso di essere ‘grato di ospitare […] non una sola anima immortale, ma molte anime mortali dentro’(citando forse inconsciamente il poeta Walt Whitman e le sue Foglie d’erba, dove cantava orgogliosamente di ‘contenere moltitudini’) – aveva preannunciato per l’Europa un processo di crescente mescolanza culturale, che pare essersi realizzato proprio nell’ultimo ventennio 2.
Il popolo europeo sta assumendo sempre più le stesse caratteristiche culturali, sostenendo la teoria secondo cui gli individui occidentali si sarebbero mescolati sempre più fino al punto di somigliarsi tutti tra loro. Così sta gradualmente arrivando un tipo di uomo essenzialmente sovranazionale e nomade e, come dice Nietzsche, un individuo che possiede fisiologicamente il massimo dell’arte e del potere dell’adattamento come sua distinzione tipica. In Menschliches, Allzumenschliches il filosofo tedesco aveva già affermato che «è necessario lavorare attivamente alla fusione delle nazioni», per eludere i concetti di nazionalismo, patria potestà e dipendenza dal suolo.
Wittgenstein, infine, a parere di Welsch, è l’unico filosofo ad aver teorizzato il concetto di transculturalità quando questa ancora non aveva un nome, dando un grosso aiuto per la comprensione del concetto trasversale di cultura. Secondo questo pensiero la cultura è totalmente slegata dal consolidamento etnico e da irragionevoli richieste di omogeneità, perché essa è insita connaturatamente nelle pratiche di vita: inoltre, prevede che alla base ci sia una interazione con l’estraneità e non solo la mera comprensione delle culture diverse. Wittgenstein sostiene che la cultura è, per la sua stessa struttura naturale, aperta a nuove connessioni ed imprese di integrazione. Questo concetto è idoneo a spiegare le dinamiche odierne.
In conclusione, il mondo in cui viviamo cambia continuamente sfumature e offre la possibilità di costruire il nostro individuo e quello che ci circonda attraverso meccanismi di scelta indipendente, permettendoci anche di mescolare le diverse culture esistenti, che siano esse vicine o molto lontane.
La transculturalità potrebbe apparire unificatrice delle culture, soprattutto nel periodo della globalizzazione, ma analizzando a fondo la cultura è possibile rintracciare nuove forme di diversità, risultato della permeazione delle dissimili culture e delle differenti forme di vita. La transculturalità, quindi, agisce sia attraverso processi di unificazione e mescolanza sia attraverso processi di distinzione e diversificazione: dalla globalizzazione al particolarismo folklorico, senza mai cedere alle sirene del relativismo culturale – costruendo piuttosto un’impalcatura solida ancorché multifocale, polifonica, caleidoscopica – costruita con mano multidisciplinare – plurale, e che abbraccia ma non si fa flettere dai flutti procellosi della ‘società liquida’.
Note
- Consigliamo, a tal proposito, per approfondire questi punti, la rubrica dello stesso Ventura, simbolicamente denominata Collassologia.
- Per approfondimenti consigliamo la lettura dell’aforisma 377 contenuto ne La gaia scienza (1882).