Perché dobbiamo parlare del collasso

Collassologia - Ep. 1 - l'Osservatorio sulle crisi della modernità di Raffaele Alberto Ventura e Alessandro Leonardi.

Autore

Alessandro Leonardi, Raffaele Alberto Ventura

Data

5 Settembre 2022

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3' di lettura

DATA

5 Settembre 2022

ARGOMENTO

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Da secoli, anzi da millenni, l’umanità fantastica sulla fine del mondo: segno che indubbiamente ci piace giocare a spaventarci. Lo dimostrano, in tempi recenti, i tanti blockbuster cinematografici che nella catastrofe trovano un motore narrativo. Eppure la fine del mondo non arriva mai: semmai decadono le dinastie, soccombono i popoli, si sgretolano le città, muoiono le civiltà… Di queste fini più terrene ci parlano le apocalissi dietro il velo escatologico, rendendo assoluto quel che è solo relativo, universale il particolare.

Ponendo queste apocalissi al cuore degli immaginari religiosi, l’umanità ne ha fatto degli strumenti preziosi di coesione e di coordinamento. Le apocalissi sono reali perché producono effetti reali: come gli dei.

Moderni immaginari del collasso

I moderni immaginari del collassoclimate change, minacce alla biodiversità, picco delle risorse, crisi geopolitiche, supply chain disruption, etc. – sono qualcosa di diverso?

La tentazione è quella di rassicurarci pensando che già mille volte avevamo previsto la fine di tutto, e invece siamo ancora qui; la verità è che oggi siamo di fronte a qualcosa di antico ma anche profondamente nuovo. Antico, certo: la consapevolezza che l’agenda dei collassi segna il ritmo della storia, ciclo dopo ciclo. Ma anche nuovo, appunto, perché i cicli a disposizione non sono infiniti: dal 1945 l’umanità ha creato la premesse per la propria autodistruzione con l’invenzione della bomba atomica e la possibilità concreta di un inverno nucleare, mentre l’incessante sviluppo ha reso manifesto che le risorse del pianeta sono limitate e che l’industrializzazione ha effetti irreversibili sull’ecosistema.

La Collassologia

Segnali preoccupanti giungono da diverse discipline e da una meta-disciplina che si propone di coordinarle tra loro, la «collassologia» appunto. In pochi decenni la popolazione mondiale è triplicata obbedendo agli imperativi di crescita dei modelli macroeconomici dominanti, non tenendo conto delle variabili impazzite imposte da un sistema planetario estremamente complesso, potente, rapido e tremendamente instabile allo stesso tempo. L’illusione di controllo data dal sapere tecnico-scientifico, unita al fatto di aver sempre evitato il peggio, ha generato una falsa tranquillità che è sfociata in un fideismo pressoché religioso. Ma questo fideismo è anche un obbligo imposto dalle dimensioni, quasi oniriche, raggiunte dalla nostra civiltà tecnologica, dove nel 2050 circa 10 miliardi di persone vorranno anzi dovranno avere determinati beni e comfort, onde evitare il dilagare del caos che sorgerebbe dalla conclusione di un ciclo di modernizzazione plurisecolare. Una conclusione che potrebbe essere rapidissima, anche solo il tempo di lanciare una serie di missili in risposta a un casus belli pretestuoso.

Gli immaginari del collasso possono sembrare fantasiosi, ma molto più fantasioso sarebbe non riconoscere l’unicità di quest’epoca. Perché unica è la scala delle catastrofi. Ora che il nodo di Gordio si è stretto, potremmo mai scioglierlo?

Il collasso definitivo e i suoi effetti

La prospettiva del collasso ‘definitivo’ è paradossalmente la più rassicurante, oltre che la più cinematografica, perché ci consegna l’illusione di un punto finale. Ma le linee di tensione ormai manifeste possono interagire tra loro in modi imprevedibili, trascinarsi lentissimamente o paradossalmente equilibrarsi a vicenda, come una recessione globale che rallenta il ritmo dello sfruttamento delle risorse: è avvenuto nel 2020. Di fronte a una crisi è sempre possibile guadagnare nuovo tempo e rimandare il problema.

Ma a che prezzo? Quali nuove ineguaglianze si renderanno necessarie per contrastare il sovraconsumo di risorse, quali restrizioni delle libertà, quali nuove malattie fisiche e sociali ci toccheranno?

Più che una previsione, quella del collasso è appunto una prospettiva che permette di spiegare i fenomeni attualmente in corso: perché accade quel che accade, perché facciamo quel che facciamo. Il collasso è un attrattore escatologico che spiega il presente, come una forza che ci risucchia o un astro che muove le maree. Il capitalismo non è mai finito, ad esempio, ma le varie teorie sul collasso del capitalismo hanno spiegato e anticipato molti fenomeni, a partire dall’aumento delle scale di produzione per contrastare la caduta del saggio di profitto.

Nello stesso modo la  prospettiva del collasso struttura le nostre decisioni, alimenta paradossalmente il suo incedere, ma allo stesso tempo potrebbe aprire le porte a nuove visioni, figlie ribelli del vecchio ordine, sufficientemente «adattive» per sfuggire alla gabbia d’acciaio della modernizzazione.

Ecco perché dobbiamo parlare del collasso: perché i suoi effetti li stiamo già vivendo, e questo basta a renderlo reale.

Leggi anche >> Il fallimento delle politiche di sostenibilità (Ep. 2 Collassologia)

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