Crescita: quanto e come. Riflessioni sul libro di Vaclav Smil

Una serie di pensieri nata da un dialogo tra Luciano Canova e Ilenia Romani su Vaclav Smil. Una crescita senza fine non è sostenibile per una realtà fatta da risorse finite.

Autore

Luciano Canova, Ilenia Romani

Data

17 Gennaio 2023

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6' di lettura

DATA

17 Gennaio 2023

ARGOMENTO

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Cos’hanno in comune uno scienziato Ceco emigrato in USA, che si costruì la propria casa negli anni ‘80 all’insegna dell’efficienza energetica e dell’autonomia alimentare, e che ancora oggi si rifiuta di possedere un telefono cellulare, con l’imprenditore dei tempi moderni per antonomasia, Bill Gates, il fondatore di Microsoft, da sempre incluso nella classifica Forbes delle persone più ricche del mondo? 

Tutto e niente.

Tutto perché sono entrambi avidi lettori: il primo, Vaclav Smil, professore emerito di scienze ambientali all’Università di Manitoba, si aggira sui 100 libri letti all’anno; il secondo sui 50 (e le statistiche ci dicono che l’americano medio ne legge 4). Di libri, Smil ne ha scritti più di 40, molti dei quali inseriti nelle ‘Gates Notes’, la celeberrima lista dei consigli di lettura di Bill Gates, ammiratore a tal punto dei prodotti di Smil da scriverne sistematicamente le prefazioni. 

Allo stesso tempo i due non potrebbero essere più agli antipodi perché, oltre alle traiettorie di vita parecchio divergenti, Smil si auto-definisce un ‘europeo pessimista’, a cui contrappone esplicitamente il ‘tecno-ottimismo’ di Bill Gates. 

Un video di YouTube di meno di un minuto e mezzo (link qui) ritrae i due mentre discutono dei limiti della crescita, un assaggio di una discussione più ampia che proviamo a riproporre in questa sede, usando come trampolino di lancio proprio uno degli ultimi libri di Smil, Crescita – Dai microrganismi alle megalopoli, edito in Italia da Hoepli.

Nel libro, Smil affronta in modo scientificamente rigoroso (ci sono quasi 100 pagine di riferimenti bibliografici) e quantitativo (alcune sezioni assomigliano ad un manuale ingegneristico) la tematica della crescita, nelle sue forme naturali, sociali e tecnologiche. Insomma, un libro sulla crescita, in ogni senso – come definisce Gates. 

L’autore mostra a suon di dati e di grafici come la crescita sia stata un obiettivo di sopravvivenza, sia implicito sia esplicito, per tutta l’evoluzione dell’uomo, come individuo e come specie. Una crescita sicuramente vantaggiosa, ma anche angosciante: interessante notare come essa sia sempre accompagnata da aggettivi prescrittivi, ‘troppo lenta’, o ‘eccessiva’.

Da qui le nostre enormi aspettative di continua crescita nel futuro, l’intenzione di continuare su una traiettoria esponenziale (senza nemmeno essere in grado di concepirla in un modo matematicamente corretto), incuranti del fatto che per quanto esponenziale e infinita possa essere la nostra civiltà, per molti diversa e migliore rispetto a quelle precedenti, essa operi comunque all’interno dello stesso vincolo: non è niente di più di una componente della biosfera, quell’involucro così altamente fragile e resiliente all’interno del quale esseri viventi che si fondano sul carbonio possano esistere. 

Dimentichi che la terra sia una bellissima astronave, i Sapiens si sono forse convinti della superabilità di ogni limite cadendo vittime del canto della sirena di un’innovazione tecnologica che è il mare in cui nuotiamo: la rivoluzione digitale. Ma Smil dedica una sezione molto ben documentata per spiegare quantitativamente perché la legge di Moore (in base alla quale la capacità computazionale di un computer raddoppia ogni 18 mesi circa) sia al meglio una regola con una validità circoscritta al mondo della programmazione, non generalizzabile a tutti gli artefatti e i processi realizzati artificialmente dagli esseri umani.

La pietra su cui Smil scolpisce i suoi argomenti poggia su un’evidenza incontestabile: tutte le transizioni umane sono state lente. Quella energetica verso un mondo decarbonizzato dovrebbe essere velocissima e rischia di non poterlo essere per i limiti intrinseci dei tempi del cambiamento: infrastrutture, reti di distribuzione, produzione e consumo, abitudini di comportamento. Quello energetico è un sistema complesso che ha di fronte una sfida epocale.

Smil definisce dunque quello che secondo lui è il compito più gravoso e rischioso in termini evolutivi che l’umanità si trova ad affrontare: riuscire a rendere compatibile la crescita con la conservazione di lungo periodo dell’unica biosfera di cui disponiamo, obiettivo che ritiene – piccolo spoiler – altamente improbabile da raggiungere. 

Il ragionamento dell’autore è di un pessimismo così lineare da essere disarmante: quale può essere il destino della moderna civiltà ad alta intensità energetica, con una popolazione in continua crescita, con elevati fabbisogni materiali, e impatti ambientali sempre più rilevanti? L’estinzione. 

Smil si spinge a profetizzare che l’era della singolarità non arriverà, né una precoce terra formazione di Marte che ci permetterebbe di colonizzare un altro pianeta, né tantomeno il disaccoppiamento crescita/risorse. Su quest’ultimo punto emerge con prepotenza quella che definiremmo la visione monastica conservatrice pessimista apocalittica dell’autore (ed è anche lo snodo in cui le visioni di Smil e Gates iniziano a divergere – e anche quelle degli autori di questo articolo). È vero che in termini assoluti (di emissioni, inquinamento, impatto ambientale) l’economia globale non ha (ancora) mostrato una tendenza verso una crescita più lenta, ma in termini relativi sono stati fatti passi importanti verso una maggiore sostenibilità (emissioni per unità di PIL). Combinando un tipo di cambiamento tecnologico verde (ad esempio relativo alle energie rinnovabili), con comportamenti individuali sempre più responsabili, unendo strategie di mitigazione ed adattamento, si potrebbe ancora trovare una via d’uscita.

Gli strumenti ci sono e le azioni per implementarli pure: su questo, proponiamo la visione di un altro libro, il suggestivo romanzo Ministry for the future di Kim Stanley Robinson. È il racconto evidence based di un mondo che va incontro ai costi della crisi climatica ma che è capace pure di provvedere a un sistema di soluzioni che arginano il problema e consentono a Sapiens di continuare a fare quello per cui si è evoluto nei millenni: andare avanti.

Sicuramente è difficile aspettarsi un declino precoce della domanda globale di risorse (energia inclusa), ma è anche vero che praticare un ascetico pessimismo, o ascetismo pessimista, non è soluzione realistica o realizzabile (per lo meno, non per tutti). Da questo punto di vista ci permettiamo di lanciare una provocazione: il modello della a-crescita non è forse il vezzo intellettuale di una classe agiata che può permettersi di rinunciare a ciò che ha ampiamente acquisito nei secoli?

Non è un caso che Bill Gates riconosca a Smil non tanto la capacità di prevedere il futuro (che di fatto consiste nell’estinzione di massa del genere umano), quanto quella di ricostruire e documentare il passato. Molti altri pensatori e scienziati sociali forniscono alternative più praticabili e meno disfattiste di Smil.

Da economisti, proponiamo l’interessante pensiero di Kate Raworth (con l’economia della ciambella) o di Tim Jackson (post-crescita). In particolare, la forza dell’economia circolare sta nella rottura del circuito lineare, che è anche il punto debole del pensiero di Smil: una visione deterministica che non vede altro destino per il consumo dello spreco. Rigenerare, ricondizionare, ripristinare: trasformare il rifiuto in un input di produzione genera soluzioni che valorizzano le strategie collaborative tra esseri umani.

Simbiosi industriali, riuso, sono le nuove parole di un rapporto tra economia e società fondato su un’antropologia ottimista e non negativa. Un contesto in cui, nonostante tutto, il futuro è un mondo da guardare con il segno +. Che non è necessariamente quello della crescita, ma dello stare meglio e della fioritura umana.

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