Animali e piante fantastici e dove trovarli a Milano

Siamo ormai invasi dalle specie aliene. Spesso competitive, voraci e aggressive, crescono a spese della fauna e flora locali e sono tra le principali cause della perdita di biodiversità.

Autore

Andrea Bellati

Data

6 Agosto 2024

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6' di lettura

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6 Agosto 2024

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Milano, Barona, il mio adorato quartiere, un sabato pomeriggio di una tarda primavera. Clima monsonico, caldo umido: nubi aggressive si addensano livide in agguato sopra lo skyline di Buccinasco. Colpiranno in serata, lo dice il meteo. Passeggio per il parco vicino a casa, attraverso i piazzali con il cemento sbriciolato dalle radici degli alberi che mi hanno visto bambino. È lo stesso parco dove giocavo da piccolo, c’è una foto che mi ritrae con i compagni di quarta elementare scattata proprio qui, tra questi alberi.

Siedo su una panchina all’ombra, una nuvola di insetti molesti, presto, mi circonda. Ne stendo un paio a schiaffi, sollevo un cadaverino e ne osservo la livrea a strisce bianche e nere. Un cosino feroce di nemmeno due milligrammi che viene dall’altra parte del mondo. E sì perché mica sono le nostre, dico, non sono zanzare italiche. Quelle, le Culex pipiens fanno il turno di notte, pungono a partire dal crepuscolo. Queste qui, invece, sono diurne, si danno il cambio con le Culex così che non si resti mai, ci mancherebbe, senza la giusta dose di pizzichi. La zanzara diurna è la Aedes albopictus, la tigre bianca e nera arrivata dall’Estremo Oriente pare con le navi cargo, nascosta nell’incavo umido degli pneumatici prodotti laggiù. Un clandestino che nell’Europa Meridionale si è trovato benissimo. La zanzara tigre è solo una tra le migliaia di specie alloctone che hanno trovato una casa accogliente dalle nostre parti.

Le specie alloctone, o aliene, sono quegli organismi, animali, piante, funghi e batteri introdotti artificialmente in un altro posto, magari lontano e diverso dal luogo di provenienza. Alcuni sono stati introdotti perché buoni da mangiare, altri perché sono belli e ornamentali, qualche specie è arrivata perché ritenuta utile, altre invece sono arrivate in modo accidentale, magari nascoste tra le merci, come la zanzara tigre. Basta guardarci attorno per vederne moltissime. Chiudo gli occhi, le robinie in fiore profumano l’aria. La robinia è un alieno di vecchia data. I primi semi di Robinia pseudoacacia giunsero in Francia dal Nord America e nel 1601 Jean Robin, botanico di Enrico IV, li piantò in un giardino della Rive Gauche, con vista su Notre Dame. Quella prima robinia è ancora lì, in piazza René Viviani, è l’albero più vecchio di Parigi e fiorisce puntualmente ogni primavera da oltre quattrocento anni. Alessandro Manzoni la apprezzava tantissimo, ne decantò le lodi e la volle per alberare i viali della sua villa di Brosuglio.

La robinia si contende con l’ailanto il primato di albero più invasivo. Ma quella dell’ailanto è una storia diversa. L’ailanto, (Ailanthus altissima) è alto fino a 20 metri, arriva dalla Cina ed è tra le piante più infestanti perché si accontenta di poco, cresce rapidamente, è incontrollabile ed è pure maleodorante. Perché abbiamo importato un simile mostro? Nella seconda metà dell’800 un’epidemia di pebrina colpì i bachi da seta allevati in Europa. La pebrina uccide i bachi ma prima li riempie di puntini neri, simili a grani di pepe, appunto. Fu un disastro economico soprattutto per le numerose famiglie contadine italiane che con la bachicoltura arrotondavano i miseri proventi delle attività agricole. Mentre Louis Pasteur cercava una cura, fu sperimentata una sericoltura alternativa: dalla Cina importarono il bombice dell’ailanto (Samia cyntia), una gigantesca e splendida farfalla, e il nutrimento per i suoi bruchi: l’ailanto. La seta del bombice è di qualità piuttosto scarsa, niente a che vedere con il tessuto frusciante prodotto dal baco da seta, che pure lui comunque è cinese. L’economia del bombice non decollò ma Pasteur trovò la cura e i bachi tradizionali guarirono; oggi, di quella storia, ci resta qualche rara farfalla gigante e una pianta invasiva che cresce ovunque.

Ci sono piante aliene così bene integrate nell’ambiente che le ospita da esserne diventate la foto sulla carta d’identità, come il fico d’india per la Sicilia. Opuntia ficus-indica viene dal Messico, commerciata e venerata dagli Aztechi, giunse in Europa con Cristoforo Colombo nel 1493. Il fico d’India non era prezioso per i frutti: dalle femmine di Dactylopius coccus, un piccolo insetto parassita della pianta, si ottiene la versione naturale del rosso carminio, un colorante utilizzato nell’industria alimentare e cosmetica, già noto agli Aztechi e oggi conosciuto come E120. Dona un bel colore rosso alle caramelle, ai dolci e ai liquori… Pensateci la prossima volta che mangiate la zuppa inglese.

Nei viali e nei parchi delle nostre città cresce l’albero più antico del mondo: il suo nome in giapponese significa ‘albicocca d’argento’, è il Ginkgo biloba, ultimo rappresentante di una stirpe incredibilmente resistente, un albero maestoso con le foglie a ventaglio e i frutti dorati. Il ginkgo è sulla Terra da 270 milioni di anni e sopravvisse alla spaventosa estinzione di massa del Permiano (250 milioni di anni fa). È un fossile vivente, talmente forte da sopravvivere alla bomba atomica: sei esemplari di ginkgo tornarono a fiorire a Hiroshima dopo la catastrofe nucleare. Per il grande Goethe la foglia bilobata del ginkgo era un simbolo dell’amore: ne incollò una su una lettera destinata a una giovane amante.

Ci sono moltissime piante aliene intorno a noi e anche tanti animali. Alcuni sono stati liberati volontariamente per far divertire pescatori e cacciatori. Come il persico sole, il pesce gatto, e poi la minilepre, il fagiano e in tempi antichi il daino. E poi c’è il più grande di tutti. Una notte seguii un gruppo di giovani Capitani Achab a caccia del pesce siluro (Silurus glanis) nelle acque del Po. Come la Balena Bianca di Melville, i siluri più vecchi e grandi portano i segni delle catture, le cicatrici lasciate dagli ami dei pescatori che li hanno prima portati a riva e poi liberati dopo il consueto trofeo fotografico. I miei amici ne pescarono uno di oltre due metri e 80 kg di peso. C’è chi giura di averlo visto trascinare cagnolini sul fondo o di aggredire bagnanti, ma il siluro non è un omicida: è un vorace predatore di pesci, di uccelli acquatici e gamberi. Mangia tutto, troppo, e cresce a dismisura. Nei grandi e freddi fiumi d’origine, il Danubio, il Dnepr e il Don, il siluro resta di dimensioni ragionevoli, in area mediterranea non va in ‘letargo’ e mangia tutto l’anno: risultato, ci sono anche bestie quarantenni di quasi tre metri e un quintale e mezzo di peso.

Ha lo stesso sguardo ebete del siluro, la stessa bocca larga ma ha quattro zampe perché è un ranocchio, si chiama xenopus (Xenopus laevis) ed è africano. È stato uno degli animali più utilizzati in laboratorio. Per esempio, è stato il primo animale clonato, nel 1958 da Sir John Gurdon che per questo ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 2012. Ma non solo, xenopus è stato il principale strumento del test di Hogben, il primo test di gravidanza della storia. Tra il 1930 e il 1950, il biologo inglese Lancelot Hogben iniettava l’urina delle signore pazienti nelle femmine di xenopus: se le donne erano incinte le rane, stimolate dagli ormoni, deponevano le uova in poche ore. Dai laboratori scappò qualche rospo e da allora, xenopus invade i laghetti e rende la vita difficile alle rane locali, soprattutto in Sicilia.

Questi che ho raccontato sono casi di successo, però capita che gli organismi alieni non si adattino e muoiano. Ma se ce la fanno si moltiplicano senza tregua e diventano invasivi perché i predatori naturali, i malanni e i parassiti sono rimasti nel paese d’origine. Spesso si tratta di specie competitive, voraci, aggressive che crescono a spese delle specie locali. Lo scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis), simpatico animaletto da compagnia, è fuggito dalle gabbie e minaccia la sopravvivenza di quello rosso nostrano (Sciurus vulgaris), perché è più grosso e bellicoso quindi toglie al rosso il cibo e i luoghi dove riprodursi. A Milano sono scomparsi i passeri: colpa dei pappagalli verdi? Può darsi.

©Raffaella Cazzani

Stessa cosa fa la tartarughina degli acquari (Trachemys scripta) che viene dal sud degli Stati Uniti. Diventa grossa come una pentola e fa il mazzo alle nostre tartarughe palustri. E sempre dagli USA arriva il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) che ha portato quasi all’estinzione il nostro gambero di fiume (Austropotamobius pallipes). Allevato all’inizio degli anni ’90 sulle rive del Lago di Massaciuccoli, il gambero rosso della Louisiana non diventò un affare gastronomico e deluse le aspettative dei Forrest Gump toscani. Dal lago lucchese il crostaceo fuggì per diffondersi in tutto il Centronord: la sua aggressività lo ha reso un competitore imbattibile e l’adattabilità ne ha fatto un campione di sopravvivenza nelle acque inquinate della Pianura. La nutria (Myocastor coypus) fu importata dal Sud America e allevata come animale da pelliccia tra gli anni ’60 e ’70. Con la crisi del settore, la pelliccia di ‘castorino’ passò di moda e molti allevamenti si liberarono degli animali semplicemente aprendo le gabbie. Oggi la nutria è tra le 100 specie più invasive al mondo.

Le specie aliene sono tra le principali cause della perdita di biodiversità a livello globale. Hanno un ruolo chiave nel 60% delle estinzioni di piante e animali. E non solo, le alloctone causano gravi perdite economiche. Le specie invasive hanno un costo complessivo di 423 miliardi di dollari all’anno. Leggo questo dato nel nuovo rapporto scritto dalla Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e Servizi Ecosistemici (IPBES) pubblicato di recente. Per fare qualche esempio: la cimice asiatica (Halyomorpha halys) ha devastato i campi e i frutteti di 48mila aziende italiane con un danno che secondo Coldiretti già nel 2020 superava i 740 milioni di euro. La cimice mangia di tutto, in Italia attacca oltre 300 piante coltivate e spontanee.

©Raffaella Cazzani

La xilella è un batterio purtroppo molto noto, è arrivato dal Costa Rica e ha distrutto gli uliveti del Salento. La Vespa velutina è un grosso calabrone che viene dall’oriente e fa strage di api da miele. Il punteruolo rosso è un coleottero che distrugge le palme ornamentali deturpando i viali di molte città del Sud. In Europa ci sono oltre 10mila specie aliene e l’Italia è uno dei paesi più colpiti. Nel Mediterraneo, per esempio, ci sono molti organismi dei mari tropicali e subtropicali anche a causa del riscaldamento globale. L’ultimo arrivato, o meglio, l’ultimo caso più noto è il granchio blu, un crostaceo con le chele bluastre che arriva dalle sponde occidentali dell’Atlantico e fa strage di molluschi, addio spaghetti alle vongole. Gli alieni rappresentano anche un problema sanitario. L’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia), pianta di origine Nordamericana, è un potente allergene, così come il caucasico panace di Mantegazza (Heracleum mantegazzianum). La zanzara tigre è un potenziale veicolo di patogeni pericolosi che provocano la febbre di Dengue e la Chikungunya. Che fare per arginare l’invasione? L’eliminazione totale, l’eradicazione di una specie non è facile, anzi, è praticamente impossibile una volta che l’organismo si è bene adattato al nuovo ambiente. Occorre evitare l’importazione e fare attenzione alle introduzioni accidentali. La FAO propone di mangiarli; il granchio blu è ottimo da estinguere col sugo, l’ho provato, è vero, lo dice pure il suo nome scientifico: Callinectes sapidus, cioè saporito!

Anche le specie già presenti in un ambiente possono diventare invasive. La tropicalizzazione è un fenomeno diffuso, l’aumento delle temperature globali amplia l’areale di molti organismi che conquistano mari e terre prima invalicabili perché freddi. Così il vermocane (Hermodice carunculata), 30 centimetri di verme marino urticante dal colore fiammeggiante (è detto anche verme di fuoco), si è diffuso dalle sponde più calde del Mediterraneo meridionale fino alle nostre acque. A Milano friniscono le cicale e sui muri i gechi cacciano insetti. Non sono animali alloctoni, sono molto italiani, ma da qualche anno trovano anche al Nord un clima accettabile. 

Tolgo il pasto caldo alle zanzare e proseguo la passeggiata. Intanto ascolto il parco e rifletto: quanto è cambiato il panorama zoologico da quando da bambino bazzicavo questo luogo… Per le mie figlie, oggi è normale sentire le cicale, sorprendere i gechi, porgere noci agli scoiattoli grigi e vedere pappagalli e ibis sacri volare sopra le case. Interessante la storia dell’ibis sacro (Threskiornis aethiopicus). Grosso uccello limicolo, con un’elegante livrea bianco-nera e un becco lungo e sottile, era l’animale sacro al dio Tot, protettore del sapere nell’antico Egitto. Fuggì dai giardini privati dove era allevato come specie ornamentale, si è adattato benissimo alle risaie padane e, ironia della sorte, sulle sponde del Nilo è praticamente estinto.

Può un fungo alieno microscopico cambiare la storia del mondo? La peronospora distrugge le patate ed è originaria dell’America Latina, come le patate. La patata era l’alimento base in Irlanda e quando la peronospora colpì l’isola, l’intera popolazione conobbe una terribile carestia. In 4 anni, dal 1845 al 1849, uccise un milione di persone e ne costrinse altrettante a emigrare in massa in Canada e negli Stati Uniti. Complessivamente, l’Irlanda perse il 25% della popolazione tra morte ed emigrazione. Tra gli irlandesi emigrati in quegli anni ci furono anche gli avi dei Kennedy e di Barack Obama.

La vita prorompe e invade, ma come dice sempre un mio caro amico zoologo, la vita va dove può e dove si trova bene si moltiplica. È naturale. Bè, a ben vedere, non abbiamo fatto e facciamo ancora così anche noi, Homo sapiens?

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