Coazione alla crescita. Intervista a Mathias Binswanger

Quali sono i meccanismi psicologici ed economici che impongono al sistema capitalistico di crescere per sopravvivere?

Autore

Edoardo Toffoletto

Data

12 Febbraio 2024

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7' di lettura

DATA

12 Febbraio 2024

ARGOMENTO

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«Coazione, coatto: clinicamente, tipo di condotte che il soggetto è spinto a compiere per una costrizione interna. Un pensiero (ossessione), un’azione, un’operazione difensiva, cioè una sequenza complessa di comportamenti sono qualificati coatti quando il loro non-compimento è percepito come se dovesse comportare un aumento d’angoscia.» Jean Laplanche e Jean-Bertrand Pontalis1

Da Hans Christoph Binswanger a Mathias Binswanger si tramanda la convinzione che il sistema capitalistico sia soggetto a una coazione alla crescita [Wachstumszwang] per cui ne va della sua stessa sopravvivenza. Come il padre H.C. Binswanger, anche il figlio Mathias argomenta elucidando i concetti fondamentali della teoria economica attraverso il linguaggio naturale, accompagnando tali riflessioni con le debite formalizzazioni matematiche, che si rivelano uno strumento ulteriore di un pensiero fondato sulla chiarezza dei concetti illustrati2.

Per questo motivo, ci si è rivolti a Mathias Binswanger per approfondire tanto il confronto con l’opera paterna, quanto il suo superamento o sviluppo nelle attuali ricerche.

Il concetto di coazione alla crescita

Edoardo Toffoletto – A titolo introduttivo, proviamo a chiarire il concetto fondamentale di coazione alla crescita, attorno al quale tanto l’opera di suo padre quanto la sua ruotano. 

Mathias Binswanger – La coazione alla crescita riguarda segnatamente l’economia capitalistica nella quale viviamo oggi da almeno duecento anni, cioè a partire dagli effetti della Rivoluzione industriale. L’economia capitalistica è caratterizzata dal fatto di essere anche un’economia monetaria. Pertanto, in un’economia monetaria le imprese devono ottenere profitti espressi in denaro e cioè guadagnare più denaro di quello che hanno speso, se vogliono sopravvivere nel lungo termine, pena l’impossibilità di restituire i loro obblighi di pagamento e finire quindi in bancarotta. Perciò si impone costantemente la necessità di ottenere profitti nel lungo termine. Ovviamente, in un’economia di mercato ci sono sempre imprese in perdita o che falliscono, tuttavia affinché un’economia risulti funzionante è anche necessario che la maggioranza delle imprese consegua profitti, cioè che possa costantemente guadagnare più denaro di quello speso. Qui già si impone la domanda su come tale meccanismo possa essere possibile. Ebbene, è necessario che affluisca il denaro e questo è il processo di creazione monetaria, che passa attraverso i prestiti delle banche commerciali, che in tal modo aumentano il denaro circolante. 

Tuttavia, anche questo non è sufficiente, poiché il solo aumento del denaro circolante comporterebbe l’inflazione. Pertanto, è necessario che una parte del denaro circolante venga impiegata produttivamente, cioè si converta tramite investimenti in capitale reale (macchinari, sistemi, robotica, computer ecc.), al fine di estendere le capacità produttive del sistema economico. Così tutte le economie di successo in realtà si sostengono tanto nell’aumento della quantità monetaria, quanto in una crescita dell’economia reale. Ora si impone nuovamente la domanda su come tale processo possa essere possibile, poiché inserendo nell’equazione anche l’economia reale la mancanza di crescita non implica il permanere in uno stato stazionario: si presenta appunto l’alternativa radicale tra crescita e recessione (Figura 1), che porta direttamente alla crisi. Infatti, non appena un paio di imprese smette di fare profitto, ciò si ripercuote in una riduzione degli investimenti, quindi di nuove tecnologie, e così via, comportando un effetto domino su tutti i fattori della crescita e inducendo una spirale della decrescita, cioè il circolo vizioso della regressione della produttività e dei consumi. Certo, c’è chi suggerisce che si possa investire quanto basta per coprire gli ammortamenti e quindi restare in un’economia stazionaria. Tuttavia, tale prospettiva non considera il fattore della competizione, che implica l’impossibilità di produrre i medesimi prodotti e le medesime quantità di anno in anno.

La competizione è dopotutto una dinamica anche voluta, nella misura in cui spinge gli attori economici all’efficienza e a offrire sempre migliori soluzioni per corrispondere ai bisogni umani, ciò che in fondo si usa chiamare progresso e sviluppo economico. Tuttavia, sarebbe errato considerare che la coazione alla crescita si radichi antropologicamente nell’insaziabilità dei bisogni umani o nell’avidità delle imprese, mai soddisfatte dei loro profitti. Al contrario, è un principio immanente nel sistema capitalistico, senza il quale non potrebbe funzionare: la crescita è coatta proprio in virtù del fatto che è la condizione di possibilità non tanto del benessere quanto della sopravvivenza stessa del sistema e del suo funzionamento. 

La questione ecologica alla luce della coazione alla crescita

E. T. – In questo contesto sarebbe opportuno comprendere quale relazione sussista tra la coazione alla crescita e la questione ecologica. A tale proposito, ricordo che a partire da un’idea di suo padre si discute in Germania di una possibile riforma fiscale ecologica, fondata sull’intuizione di tassare le esternalità negative piuttosto che il lavoro.

M. B. – La proposta di mio padre risale a un periodo antecedente alle idee sviluppate attorno al concetto di coazione alla crescita. Prima vi era l’idea che una misura come la riforma fiscale ecologica potesse risolvere molti problemi della questione ecologica, mentre in seguito all’elaborazione del concetto di coazione alla crescita l’efficacia di tale proposta è stata radicalmente ridimensionata. Contestualmente alla formulazione della riforma ecologica, l’idea della coazione alla crescita era una teoria ancora non vagliata, probabile, mentre a partire dagli anni novanta del secolo scorso mio padre si convinse che la coazione alla crescita fosse un dato di fatto. 

Pertanto, le tasse ecologiche o le diverse certificazioni per le imprese sono tutte misure per sganciare la crescita dallo sfruttamento della natura o comunque dalle emissioni climalteranti. Ovviamente, è d’obbligo chiedersi fino a che punto ciò sia effettivamente possibile. Gli obiettivi posti al 2030 e poi spostati al 2050 per il raggiungimento di una crescita climaticamente neutrale con il passare del tempo risultano sempre più dell’ordine dell’utopia o dell’idea regolativa. Inoltre, non bisogna dimenticare che l’intensiva elettrificazione dei trasporti, certo, consente di azzerare la produzione di CO2, ma le tecnologie richieste per l’aumento della produzione e lo stoccaggio di elettricità sono ad alto tasso di materiali, tra cui le terre rare. Pertanto, il problema dell’impatto ambientale della crescita in tal modo non fa che spostarsi su un altro piano, ma non sparisce. 

E. T. – A questo proposito, mi sono sempre interrogato sul fatto che la questione dell’entropia non fosse mai propriamente posta nel momento in cui si discute della questione ecologica, e lo spostamento dell’impatto ambientale su un altro piano ne è una prova esemplare.

M. B. – Certamente, ma l’entropia implica l’irreversibilità del tempo, cioè l’irreversibilità del fatto che ciò che si è distrutto o consumato non ritorna, ma questo porrebbe insormontabili problemi nel dare prezzi alle cose. 

E. T. – Molte teorie alternative che tentano di corrispondere alla questione ecologica non fanno i conti con la coazione alla crescita, ma vi sono altri pensatori o economisti che pongono tale problema, che quindi integrano nella loro teoria questo concetto?

M. B. – Finché gli economisti abitano il paradigma neoclassico, la questione della crescita è sempre posta, ma mai articolata, giacché il problema della crescita e dell’ambiente è inquadrato all’interno di una teoria economica che percepisce il sistema capitalistico come un’economia di scambio, pertanto fondata sull’andamento dei bisogni umani da soddisfare. In ultima istanza, secondo tale prospettiva, l’andamento della crescita sarebbe esclusivamente una questione antropologica e quindi potenzialmente riducibile a una scelta del consumatore. Per loro quindi non vi è alcuna coazione alla crescita. Ovviamente, il sistema capitalistico potrebbe sempre finire, come tutti i sistemi prodotti dall’uomo. Tuttavia, occorre anche pensare alle conseguenze di una tale eventualità, cioè una consistente diminuzione del benessere che tale sistema nel corso di due secoli è riuscito a produrre e accumulare. 

Dopotutto, è necessario osservare che non è mai facile implementare a livello economico-politico misure che impattino tale benessere, come è il caso della difficoltà qui in Svizzera di aumentare leggermente la tassa sulla CO2. In effetti, bisogna pensare in termini scalari, cioè le forme economiche alternative si possono testimoniare sempre a livello locale in nicchie, come è il caso delle produzioni agricole biologiche o di forme particolari di governance, che tuttavia sono sistematicamente finanziate o sovvenzionate dall’economia monetaria alimentata dalla coazione alla crescita. Così come anche mediamente i clienti di prodotti biologici sono consumatori il cui reddito proviene dal sistema capitalistico.

E. T. – In effetti, è molto interessante il fatto che la coazione alla crescita sia un fattore macroeconomico, cioè globale, e che in questo senso ogni forma di economia alternativa locale sarebbe perciò impensabile al di fuori di tale tendenza globale.

M. B. – Sì. Si può anche aggiungere che sono spesso e quasi esclusivamente prodotti agricoli e alcune forme di artigianato a essere suscettibili di rientrare in forme di economia locale e biologica, mentre alcuni prodotti altamente tecnologici e complessi non possono esimersi dall’inserirsi all’interno delle catene globali del valore.

Coazione alla crescita, spinta alla crescita e benessere

E. T. – A questo punto occorre forse fare una precisazione per distinguere meglio il concetto di ‘coazione alla crescita’ dalla ‘spinta alla crescita’ (Wachstumsdrang), che emerge a volte nel suo pensiero e mi piacerebbe farlo con una breve citazione che credo introduca bene la questione: «La coazione [Zwang] è stata appena esperita come tale nella precedente storia dell’economia capitalistica, poiché al contempo esisteva anche una spinta alla crescita [Wachstumsdrang3.

M. B. – In effetti, la questione della crescita come problema emerge soltanto in tempi recenti, cioè più o meno quando il Club di Roma pubblica il famoso documento sui limiti della crescita. Ma non solo. La coazione alla crescita immanente al sistema capitalistico risultava meno evidente per il semplice fatto che la crescita materiale coincideva perfettamente con l’aumento del benessere. In questo senso, la crescita stessa era qualcosa di attraente, cioè dava luogo a una spinta alla crescita e così la crescita era effettivamente alimentata dai bisogni dell’uomo. Lo scollamento tra la crescita e il benessere (Figura 2) – almeno nelle società a capitalismo avanzato – fa sì che la coazione alla crescita, cioè che la necessità del sistema di crescere per la sua stessa esistenza, conduca a un dilemma: non siamo più noi con i nostri bisogni e desideri a orientare la crescita, quanto piuttosto è il sistema stesso che ci costringe a fare e produrre sempre di più senza che sappiamo bene per quale fine.

E. T. – Per tale motivo, mi è sembrato pertinente pensare la coazione alla crescita nei termini freudiani di una nevrosi ossessiva (Zwangsneurose), proprio in virtù dello scollamento tra benessere e crescita e inoltre considerando la definizione di religione in quanto «nevrosi ossessiva universale dell’umanità4», la costrizione appunto a produrre sempre di più rientra perfettamente nello schema secondo cui la nevrosi collettiva di gruppo neutralizza la potenziale nevrosi individuale.

M. B. – Sì, io stesso ho associato la coazione alla crescita alla nevrosi ossessiva, o meglio il suo trasformarsi in una nevrosi ossessiva a partire dallo scollamento con la spinta alla crescita e quindi l’antitesi al benessere e alla felicità dell’essere umano all’interno delle società a capitalismo avanzato.

Note

  1. J. Laplanche e J.-B. Pontalis, Vocabulaire de la psychanalyse, Presses Universitaire de France, Parigi 1967, alla voce «Compulsion, Compulsionnel», p. 84.
  2. E. Toffoletto, L’economia secondo i Binswanger: tempo, immaginazione ed ecologia, in ‘Equilibri Magazine. Rivista per lo sviluppo sostenibile’, 13 novembre 2023, https://equilibrimagazine.it/economia/2023/11/13/leconomia-secondo-i-binswanger-tempo-immaginazione-ed-ecologia/
  3. M. Binswanger, Der Wachstumszwang. Warum die Volkswirtschaft immer weiterwachsen muss, selbst wenn wir genug haben, Wiley-VCH Verlag, Weinheim 2019, p. 59.
  4. S. Freud, Opere, a cura di C. Musatti, Bollati Boringhieri, Torino 1978, vol. X, L’avvenire di un’illusione, p. 473 e Il disagio nella civiltà, p. 629.
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