Noto fin dall’antichità per le sue proprietà tintorie e curative lo zafferano oggi rappresenta una delle spezie più conosciute e costose al mondo, da qui l’appellativo di ‘oro rosso’.
Tra i principali motivi che contribuiscono a far lievitare vertiginosamente il prezzo dello zafferano troviamo la complessità del metodo di raccolta totalmente a mano da effettuarsi nelle prime ore del mattino, la ridotta resa in quanto ogni fiore presenta solo 3 stimmi e l’elevato valore farmacologico.
Partendo da tali presupposti, nell’ambito delle best practices di innovazione agricola 4.0 e di sostenibilità ambientale volte a supportare il settore agrifood, in Val d’Agri è stata promossa la sperimentazione della coltivazione dello zafferano allo scopo di dimostrare i vantaggi in termini di resa, qualità e condizioni di lavoro, derivanti dalla coltivazione intensiva in ambiente controllato (fuori-suolo) rispetto alla tradizionale coltivazione in campo.
L’origine dello zafferano italiano
Ad oggi, i maggiori produttori di zafferano sono Iran, India, Grecia, Marocco e Spagna ma lo zafferano prodotto in Italia, seppur in quantità limitate, è considerato tra i migliori al mondo in termini di qualità e purezza.
In Italia, è attualmente prodotto come una coltura integrativa al reddito di altre produzioni. È presente in un numero limitato di regioni e solo in aree vocate distribuite in Sardegna, in Toscana, in Umbria, nelle Marche e in Abruzzo, nell’Altopiano di Navelli.
È proprio in Abruzzo che la coltura venne introdotta per la prima volta grazie ad un frate domenicano, appartenente alla famiglia Santucci di Navelli, che appassionato di agricoltura, di ritorno dal Sinodo di Toledo, nascose nel suo bastone una piantina di zafferano per poterla piantare ed avviare la coltivazione a Navelli.
In Spagna, la coltura fu introdotta dai conquistatori Arabi nell’VIII secolo e dalla Spagna lo zafferano venne poi diffuso in tutta l’Europa mediterranea 1.
Vavilov 2 indica il Medio Oriente, come sua probabile zona di origine 3, mentre altri autori suggeriscono l’Asia Minore o le isole greche a Sud-ovest.
Altri autori riportano che la pianta di Crocus sativus è stata probabilmente selezionata e addomesticata a Creta durante la tarda Età del bronzo. Da qui poi si è diffusa in India, Cina e Paesi orientali.
Sono diverse le testimonianze che attestano come lo zafferano sia una pianta molto antica: un papiro egiziano di Ebers del XV secolo a.C. è il primo documento che ne dimostra la sua conoscenza ed impiego.
Fra gli autori che fanno riferimento al croco, Ippocrate, Teofrasto, Galeno, Omero, Eschilo, Sofocle Virgilio, Ippocrate, Plinio e Ovidio, valorizzando in particolare le sue proprietà tintorie, culinarie e medicinali.
Ciclo vegetativo dello zafferano
Lo zafferano si ottiene dall’essicazione degli stimmi di un bellissimo fiore violaceo appartenente alla famiglia delle Iridacee. Si tratta di un croco, il cui nome scientifico è Crocus sativus L. o zafferano domestico, una pianta erbacea perenne e bulbosa tuttora sconosciuta in ambiente naturale ed indentificato come l’unico croco edibile.
Un bulbo atipico quello dello zafferano comune: chiamato cormo in botanica, si presenta ripieno di sostanze nutritive e avvolto da una serie di mantelli sottili di colore scuro chiamate tuniche.
Dal ciclo vegetativo annuale i bulbi, in fase dormiente durante l’estate, si risvegliano con la frescura settembrina emettendo dei getti, chiamati spate, che fuoriescono dal terreno come lame sottili color bianco. Dalle spate, lentamente, emergono le prime foglie.
Figura 2 – Cormo di zafferano | Figura 3 – Anatomia dello zafferano |
Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre il ritmo di crescita del Crocus diventa frenetico. Emergono i primi boccioli dai petali allungati che alla luce del sole si schiudono per rivelare il loro più grande tesoro: i tre stimmi di un rosso sgargiante.
Figura 4 – Le prime foglie emergono dal terreno | Figura 5 – Fioritura |
La fase più attesa è la raccolta. L’operazione avviene all’alba per evitare l’apertura dei fiori e la perdita dell’aroma e del colore dagli stimmi. Vengono raccolti singolarmente da mani esperte, nessuna forma di automazione è possibile.
In seguito, gli stimmi vengono separati a mano, processo noto come sfioritura, estrazione o monda, un’operazione molto delicata durante la quale i tre filamenti vengono meticolosamente separati dal resto del fiore. Successivamente gli stimmi vengono essiccati, processo che può essere effettuato in diversi modi: dall’essiccazione all’aria aperta o in stufa o essiccatore elettrico.
Questa procedura consente di conservare l’aroma ed il tipico colore rosso della spezia. Nell’essicazione lo zafferano perde 5/6 del suo peso e mantiene solo il 5-10% di umidità.
Il valore di questa spezia si può sintetizzare in pochi numeri: occorrono dai 200.000 ai 250.000 fiori e circa 500 ore di lavoro per produrre 1 chilogrammo di zafferano.
Una spezia medicamentosa
Gli stimmi dello zafferano contengono numerose sostanze aromatizzanti e coloranti al suo interno, più di 150. È infatti molto ricco di flavonoidi, antocianine, terpeni e carotenoidi. A quest’ultimo gruppo appartengono la zeaxantina, il licopene ed altri alfa-beta caroteni che danno allo zafferano alcune delle sue particolarità. Ad esempio, il colore giallo-oro che la spezia conferisce alle vivande è dovuto alla presenza di crocina; il suo peculiare sapore amaro deriva dalla picrocrocina, mentre il suo aroma è dato dal composto volatile safranale.
Accertate le sue qualità nel conferire colore, sapore ed aroma a cibi e bevande, di recente, è riemerso l’interesse scientifico per questa pianta e per le sue proprietà bioattive attribuite alle sue componenti principali e all’attività sinergica di tutti i composti presenti.
La presenza nello zafferano di una grande quantità di carotenoidi dota la spezia di notevoli attività antiossidanti e anti-radicaliche 4, in grado di rafforzare la risposta immunitaria e ridurre il rischio di malattie degenerative, quali cancro e malattie cardiovascolari, oltre a contrastare i disturbi del sistema nervoso e a migliorare l’umore 5.
In dosi farmacologiche, lo zafferano rivela un effetto citotossico selettivo sulle cellule maligne con un’inibizione dose dipendente della formazione delle colonie tumorali in vitro, mentre in numerosi studi in vivo va ad inibire la velocità di crescita tumorale aumentando le aspettative di vita6, 7.
Inoltre, alcuni biocomposti dello zafferano agiscono anche sulle cellule cerebrali. Gli antiossidanti riducono l’infiammazione e il danno ossidativo del cervello e agiscono sulla funzionalità dei neurotrasmettitori con un meccanismo specifico.
Infine, migliora l’umore e a riduce i sintomi depressivi aumentato i livelli di dopamina nel cervello senza modificare i livelli di altri ormoni cerebrali, come la serotonina.
Un’antica pianta medicale si trasforma così in un nuovo nutraceutico ricco di biocomposti sempre più richiesti dal mercato farmaceutico, nuovo settore di business rispetto al mercato agroalimentare.
Il progetto pilota
Partendo dalle criticità derivanti dalla coltivazione tradizionale dello zafferano, nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo svolte da FEEM in collaborazione con ALSIA-Agenzia Lucana di Sviluppo In Agricoltura, in Val d’Agri, è in corso una sperimentazione sullo zafferano per definire le migliori condizioni di coltivazione, attraverso un’analisi comparativa del sistema tradizionale al sistema idroponico al fine di:
- massimizzare la qualità e la resa di composti bioattivi negli stimmi di zafferano;
- migliorare il periodo di fioritura;
- ottenere più fiori da ogni bulbo dello zafferano.
Il lavoro è articolato in tre parti:
1) Comparazione delle tecniche di coltivazione – i bulbi sono stati immessi nel terreno e posizionati nelle canaline della serra idroponica lo stesso giorno al fine di seguire in parallelo il ciclo vegetativo;
2) Comparazione della qualità degli stimmi – utilizzando la metodica spettrofotometrica ISO3632 per l’analisi di crocine, picrocrocina e safranale;
3) Comparazione del contenuto in composti bioattivi – tramite cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC).
Dall’analisi preliminare dei risultati emerge che la coltivazione fuori suolo ha rese equivalenti per pianta rispetto alla produzione tradizionale, ma rese nettamente maggiori a parità di spazio occupato. Questa nuova tecnica colturale permetterà la crescita dello zafferano in ambienti e condizioni dove normalmente è molto difficile o impossibile coltivarlo.
Le concentrazioni dei composti caratterizzanti lo zafferano per potere aromatico, per potere colorante e potere amaricante (crocetina, α-crocina, picrocrocina e safranale) sono maggiori nello zafferano coltivato con tecnica fuori suolo, che nello zafferano coltivato in campo.
La qualità analizzata è comparabile a quella dello zafferano proveniente da coltura tradizionale. In entrambi i casi la spezia è di categoria I secondo lo standard internazionale ISO 3632-2011. Sebbene siano necessarie ulteriori conferme, i risultati preliminari sono incoraggianti, non soltanto per resa e qualità del prodotto, che oltre ad esaltare e arricchire una grande quantità di piatti è un ottimo nutraceutico dalla documentata efficacia, ma anche per la nuova tipologia di coltivazione fuori-suolo sperimentata altamente ecosostenibile.
Note
- J. S. Ingram, Saffron (Crocus-Sativus L), in “Tropical science”, 11 marzo 1969, pp. 177-184
- N.I. Vavilov, The Origin, Variation, Immunity and Breeding of Cultivated Plants, in ‘Chronica Botonica’, n. 13, 1951
- F. Tammaro, Saffron (Crocus sativus L.) in Italy, in Saffron book, CRC Press, 1999; p. 61-68.
- F.I. Abdullaev, J.J. Espinosa-Aguirre, Biomedical properties of saffron and its potential use in cancer therapy and chemoprevention trials, Cancer Detection and Prevention, Volume 28, n. 6,2004, pp. 426-432
- Ss Akhondzadeh, et al, Crocus sativus L. in the treatment of mild to moderate depression: a double-blind, randomized and placebo-controlled trial, in ‘Phytother Res’, n. 19, 2005, pp.148–151
- A. Bolhassani, et al., Saffron and natural carotenoids: Biochemical activities and anti-tumor effects, in ‘Bioch. et Bioph. Acta 2014’, pp. 20–30
- F.I. Abdullaev, Antitumour effect of saffron (Crocus sativus L.): overview and prospectives, Acta Hort, 2004, pp. 491–499.