Il respiro della Terra

Il 2024 ha segnato un aumento di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali: eventi estremi e impatti ambientali crescenti sono ormai all’ordine del giorno

Autore

Sergio Vergalli

Data

4 Marzo 2025

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4' di lettura

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4 Marzo 2025

ARGOMENTO

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La notizia è che, secondo i servizi scientifici europei e statunitensi, il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale ed il primo anno solare a superare di 1,5°C i livelli preindustriali. Il problema è che questa non è una vera notizia perché questo risultato era ampiamente atteso. Da anni le emissioni di gas climalteranti e, in particolare, di anidride carbonica (CO2) stanno aumentando, inasprendo l’effetto serra ed andando ad incrementare il livello della temperatura globale. Ma facciamo un passo indietro…

1969, Osservatorio di Mauna Loa, Hawaii. Da un lato del vulcano si staglia una costruzione bianca con delle cupole. Sullo sfondo, bianco cotone di nubi che coprono il mare a perdita d’occhio. La costruzione sembra una cattedrale nel cielo che ascolta il respiro della terra. Un uomo con scriminatura da una parte, occhi svelti e passo deciso entra nell’edificio. Confabula con alcuni collaboratori e poi inizia a riportare alcuni punti su un grafico. Charles David Keeling, chimico statunitense, è stato un ricercatore nel campo della geochimica e della climatologia. Nel marzo del 1958 iniziò la rilevazione della concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera all’osservatorio di Manua Loa. Continuò questo lavoro per 50 anni. La curva di Keeling, che con perseveranza disegnò, mostra chiaramente che dal 1958 la concentrazione di CO2 è continuata ad aumentare: il primo giorno era pari a 313 parti per milione (ppm); nel 1969, quando l’uomo sbarcò sulla Luna, era di circa 324,6 ppm; nel 1989, quando cadde il muro di Berlino, il valore salì a 356 ppm. Fino al picco del 2024, pari a 422ppm. Nello stesso lasso temporale si è osservato un incremento della temperatura media globale.

Nel 1958, Dave Keeling iniziò le misurazioni di CO2 presso l’osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii. Questa pietra miliare è considerata l’inizio della ricerca moderna sul cambiamento climatico.

È oramai assodato, dalla maggior parte degli scienziati, che esiste una relazione diretta tra concentrazione di CO2 (ed altri gas climalteranti) e temperatura globale terrestre. Tuttavia il superamento della soglia di 1,5°C ha un significato speciale perché è uno degli obiettivi che gli Stati stanno cercando di rispettare attraverso gli accordi di politica climatica. Con l’Accordo di Parigi del 2015, le Nazioni hanno concordato di provare a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai tempi preindustriali, o almeno di mantenerlo al di sotto dei 2°C. Il dato è calcolato su un ventennio e quindi non basta lo sforamento di un anno per decretare il fallimento degli accordi. Tuttavia, questo numero, +1.5°C, rappresenta un importante promemoria simbolico che, salvo enormi cambiamenti nel clima o nell’economia mondiale, ci rammenta la strada che stiamo perseguendo. È importante dire che questo valore non è una vera soglia di tipo naturale: non implica che se dovessimo superarlo del tutto, il mondo cambierebbe completamente da un giorno all’altro. Rappresenta però un limite che l’uomo cerca di darsi perché, altrimenti, non c’è modo di contenere il processo. Se, per esempio, sappiamo che per motivi di salute dobbiamo metterci a dieta e nessuno stabilisce un peso da raggiungere e dei valori degli esami del sangue da controllare, cioè se nessuno ci fornisce alcuni limiti da rispettare, qual è l’incentivo a limitarci? In quale direzione? Il valore di +1.5°C, è un po’ come il limite di velocità in auto. Viene imposto per evitare incidenti e danni. Se in autostrada andiamo oltre i 130km/h siamo in contravvenzione. Ma se andiamo alla velocità di 129 km/h non prendiamo la multa ma il rischio alla guida è praticamente identico. I numeri delle politiche climatiche sono le soglie che i ‘dottori del clima’ ci danno per cercare di curare la Terra che ha una temperatura corporea che sta salendo ad una velocità troppo elevata.

I dottori stanno già osservando i segni della malattia, come viene riportato in molte ricerche e, in particolare, dagli studi del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC): ondate di calore sempre più intense e letali, aumento del livello dei mari, perdita di biodiversità, siccità più lunghe e tempeste più violente. Non si ha quindi un cambiamento repentino ma un inasprimento dei sintomi, che sono già presenti perché comunque gli esami del sangue della Terra stanno peggiorando. A una velocità che sta stupendo e preoccupando gli scienziati anche perché non sanno quando sarà raggiunto il punto di non ritorno e la malattia non sarà più curabile. A settembre, l’uragano Helene, negli Stati Uniti ha attraversato il Golfo del Messico, trasformandosi da tempesta tropicale in uragano di categoria 4 in poco più di un giorno. Questo processo di ‘rapida intensificazione’ è indicativo di un oceano che si riscalda. Le immagini dell’alluvione in Spagna (come quello in Emilia Romagna) ed il recente pesantissimo incendio in California, sono tutti i sintomi di un processo che sta andando, sempre più rapidamente, fuori controllo.

Troppo poco si sta facendo a livello globale e quindi non stupisce che, ahimè, stiamo superando la soglia di +1.5°C. E, se andiamo avanti di questo passo, supereremo altri valori (nel mirino c’è il valore +2°C). E questo gli scienziati lo sanno. Da anni. E da anni lo dicono. Quello che deve preoccupare non è esattamente il numero, +1,5°C, ma ciò che esso comporta, cioè i sintomi crescenti e talora cronici che la febbre della Terra sta mostrando. Gli obiettivi di temperatura rappresentano quindi delle barriere di protezione che l’umanità deve adottare per il bene delle nostre comunità, dei nostri ecosistemi e paesaggi.

Le soluzioni? Sempre quelle che si discutono da anni: per prevenire il problema dobbiamo adottare politiche di mitigazione, cioè ridurre le emissioni; se però è oramai troppo tardi, come la temperatura sta mostrando, dobbiamo intraprendere politiche di adattamento, come la costruzione di barriere per l’incremento del mare (il MOSE per esempio), lo spostamento delle città per non venir colpiti dagli uragani, ecc. Ma c’è una bella differenza tra evitare la malattia e curarne i sintomi, una volta che questa si presenta. Bisogna pertanto cercare di invertire la curva di Keeling, accelerando sugli investimenti. Perché a Mauna Loa la Terra ha iniziato a respirare male.

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