Crisi che vivono all’interno di altre crisi. Queste, in sintesi, le parole riportate dai media per descrivere la situazione in Siria e Turchia dopo il recente evento sismico che ha devastato la Turchia meridionale e centrale e la Siria settentrionale.
Il database EM-DAT1 stima che, a causa dei terremoti avvenuti in Europa nel periodo 1950-2022, ci siano stati più di 70.000 morti e più di 13 milioni di persone colpite a cui, sfortunatamente, devono essere aggiunte le circa 40.000 morti provocate dalle recenti scosse in Turchia e Siria.
Turchi e siriani vivono in una regione dove i terremoti sono frequenti e, nonostante ciò, costruiscono infrastrutture e insediamenti senza (spesso) tenerne conto. Tra le ragioni di tale apparente noncuranza vi è il fatto che, in molte aree recentemente deturpate dal terremoto, la guerra pesa come un macigno, proprio come accade nella città siriana di Aleppo.
Anche prima del terremoto la situazione, in gran parte della regione, era critica, con milioni di sfollati a causa della guerra civile, infrastrutture fatiscenti e la diffusione di un’epidemia di colera. L’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha stimato un totale di 306.887 civili uccisi tra il 1° marzo 2011 e il 31 marzo 2021 in Siria a causa del conflitto2 3.

Parallelamente l’ultimo rapporto IPCC ha confermato la gravità degli impatti prodotti dai cambiamenti climatici4. Uno studio recentemente pubblicato su Lancet5 riporta che, nel mondo, più di 5 milioni di decessi all’anno sono stati associati a temperature estreme. l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che, tra il 2030 e il 2050, ci saranno circa 250.000 morti in più all’anno a causa del cambiamento climatico6.
La regione del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente, che comprende Siria e Turchia, è un importante hotspot per i cambiamenti climatici. Una recente analisi ha rilevato una tendenza media di aumento di temperatura di 0,45°C per decade per il periodo 1981-2019, quasi doppia rispetto alla tendenza globale per lo stesso periodo (0,27°C di aumento di temperatura per decade)7.
Negli ultimi decenni nella stessa regione, oltre ai cambiamenti nelle condizioni di temperatura media, la frequenza e l’intensità degli eventi estremi ad alto impatto, come severe ondate di calore, sono aumentate. Durante un’eccezionale ondata di caldo nell’autunno del 2020 sono stati battuti record di temperatura in diverse aree del Medio Oriente, inclusa la Siria. Secondo alcune proiezioni climatiche la regione del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente continuerà a riscaldarsi, nel corso di questo secolo, con un tasso di aumento maggiore rispetto ai tassi globali. Attraverso i secoli una delle cause principali delle guerre è stata la scarsità delle risorse, spesso provocata dalla situazione climatica.
Le condizioni meteorologiche estreme provocate dai cambiamenti climatici danneggiano le economie, riducono la produzione agricola e intensificano le disuguaglianze tra i gruppi sociali. Tali fattori contribuiscono all’aumento dei rischi di conflitti e guerre civili. Secondo alcune stime nel corso dell’ultimo secolo la variabilità climatica ha influenzato tra il 3% e il 20% il rischio di conflitti armati, che aumenterà ulteriormente con l’intensificazione dei cambiamenti climatici8.
Una stima basata sull’opinione di esperti del settore riporta che un aumento di circa 2°C della temperatura media globale, rispetto ai livelli preindustriali, aumenta il rischio di conflitto con una probabilità del 13%, che sale al 26% in uno scenario di riscaldamento di circa 4°C.
Nell’ultimo secolo si sono verificati cambiamenti anche nel ciclo idrologico, con una riduzione delle precipitazioni medie e un aumento della frequenza e intensità della siccità. Un rapporto UNESCO del 2019 riporta che tra il 2010 e il 2018 si sono verificati 263 conflitti legati alle risorse idriche9.
La devastante guerra civile iniziata in Siria nel marzo del 2011 è il risultato di complessi fattori interconnessi, tra i quali, oltre alle scatenanti cause politiche e religiose, si possono annoverare problemi associati alla variabilità climatica e alla disponibilità e all’uso dell’acqua dolce10.
Esiste, infatti, una forte connessione tra la siccità che colpì la Siria tra il 2006 e il 2009 e la guerra civile del 2011. Il crollo della produzione agricola spinse un milione e mezzo di persone dalle campagne verso le periferie delle città, dove, al contempo, si registrò un repentino aumento delle malattie infantili legate a problemi di alimentazione. Tali dinamiche rappresentarono un innesco della rivolta contro il regime, che sfociò in guerra civile, poi egemonizzata dallo Stato islamico. Le lotte per l’acqua permeano la storia del Medio Oriente. L’acqua è al centro dell’assedio di Gaza, con il fiume Giordano a rappresentare la grande posta in palio per Israele e i palestinesi. Anche il bacino idrico del Tigri-Eufrate è interessato dalla guerra dell’acqua, che provoca tensioni tra i tre principali stati ‘co-ripariali’, Siria, Turchia e Iraq.
Dai tempi delle civiltà mesopotamiche non è cambiato molto: la dipendenza dall’acqua persiste, così come i relativi conflitti per accaparrarsene la provvigione. La disputa sulla ripartizione delle risorse idriche fra Siria, Turchia e Iraq, sul tavolo dei negoziati fin dagli anni Sessanta del Novecento, si è conclusa senza un accordo sostanziale. Un esempio di come l’acqua diventi un’arma è la strategia di espansione usata dall’ISIS che, negli anni 2014 e 2015, ha sequestrato diverse dighe nel bacino Tigri-Eufrate controllandone così le risorse idriche11. La recente opinione che l’epidemia di colera che sta affliggendo la Siria e i confinanti Paesi sia scaturita dal fallimento delle autorità turche nel garantire un’adeguata fornitura idrica nel tratto a valle del fiume Eufrate costituisce un altro esempio di come la gestione dell’acqua impatti fortemente sul benessere di queste popolazioni12.
Un considerevole numero di politologi ed esperti di relazioni internazionali contemporanei concorda sul fatto che la principale causa delle guerre future sarà la scarsità delle risorse idriche e, pertanto, le notevoli variazioni nella disponibilità dell’acqua, conseguenti al cambiamento climatico, appaiono ancora più preoccupanti.
Per tutti questi fattori si sottolinea la necessità di aumentare sensibilizzazione e consapevolezza sull’implementazione di azioni di adattamento al cambiamento climatico, soprattutto in contesti di post-catastrofe, simultaneamente afflitti da guerre, come nel caso della Siria.
Le popolazioni che vivono in aree colpite da conflitti sono più vulnerabili agli impatti legati al cambiamento climatico, sia perché hanno a disposizione mezzi più esigui per rispondervi, sia perché in tali zone vengono spesso distrutte risorse fondamentali, tra cui le infrastrutture critiche e i servizi ecosistemici13.
Un ulteriore elemento di ostacolo all’implementazione di misure di adattamento al cambiamento climatico è rappresentato dal sostegno, spesso scarso, da parte di privati, istituzioni nazionali, o internazionali. I donatori, per loro stessa natura, avversano il rischio di fornire ingenti contributi finanziari nelle zone colpite da conflitti, a causa dell’imprevedibilità delle circostanze, tendendo invece a dare priorità ai finanziamenti in Paesi che presentano una governance stabile (alcuni paesi, tra cui la Siria, ricevono molti meno investimenti destinati all’adattamento rispetto alla media mondiale)14.
Sebbene il potenziamento delle risposte ai cambiamenti climatici, come per esempio i sistemi di allerta precoce, sia una delle strategie di riduzione del rischio di catastrofi, gli Stati colpiti da conflitti presentano notevoli difficoltà ad attuarne l’implementazione e, nei casi in cui l’implementazione ha luogo, vi è la quasi totale assenza di monitoraggio dell’efficacia e delle lezioni apprese.
L’attuale ricerca scientifica, focalizzata sulle risposte di adattamento al cambiamento climatico in aree particolarmente vulnerabili, in quanto afflitte da guerre e disastri naturali, sta delineando una serie di azioni da mettere in campo. In primo luogo vi è la necessità di aumentare lo sforzo delle organizzazioni internazionali in termini di aiuti umanitari e finanziari da destinare alla materia, sia come supporto alla ricerca che alle misure da implementare. Dovrebbero anche essere colmate le lacune nelle informazioni disponibili sulle attività di adattamento, in particolare su settori critici come aree urbane, sanità, infrastrutture e sistemi di allerta precoce.
Viene poi suggerito un maggiore coinvolgimento dei ricercatori locali sia al fine di una migliore appropriazione dei risultati delle misure di adattamento implementate da parte del territorio, che per una più precisa individuazione delle aree di studio prioritarie per il Paese. Il radicamento della ricerca sul territorio consente una visione ottimale dei problemi, più abile nell’identificare le domande di ricerca, di progettare studi puntuali, di sperimentare le conseguenze delle misure e informare le azioni successive sulla base delle conoscenze e dei feedback locali, aumentando, in ultima analisi, le opportunità di apprendimento e di costruzione della resilienza.
Infine sono necessari studi esaustivi sull’efficacia e sul successo dell’adattamento nelle aree colpite dal confitto. Sostenere, documentare ed esaminare l’impatto delle misure di adattamento implementate sarà la chiave di lettura necessaria nei prossimi anni, che risulteranno sempre più caratterizzati dall’aumento dei rischi climatici.
Note
- EM-DAT|The International Disasters Database. https://www.emdat.be/index.php.
- Queste sono le persone uccise come risultato diretto delle operazioni di guerra. Questo non include i civili morti a causa della perdita dell’accesso all’assistenza sanitaria, al cibo, all’acqua potabile, che devono ancora essere stimati.
- United Nations Human Rights Office of the High Commissioner. https://www.ohchr.org/en/press-releases/2022/06/un-human-rights-office-estimates-more-306000-civilians-were-killed-over-10.
- IPCC, AR6 Synthesis Report Climate Change, 2023. https://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/
- H. Khraishah, B. Alahmad, R. L Jr Ostergard, A. AlAshqar, M. Albaghdadi, N Vellanki, … e S. Rajagopalan, Climate change and cardiovascular disease: implications for global health, in “Nature Reviews Cardiology”, 2022, pp. 1-15
- WHO (World Health Organization). https://www.who.int/health-topics/climate-change#tab=tab_1.
- G. Zittis, M. Almazroui, P.Alpert, P. Ciais, W. Cramer, Y. Dahdal … e J. Lelieveld, Climate change and weather extremes in the Eastern Mediterranean and Middle East, in “Reviews of geophysics”, 60(3), 2022.
- K. J. Mach, C. M. Kraan, W. N. Adger, H. Buhaug, M. Burke, J. D. Fearon,… e N. von Uexkull, Climate as a risk factor for armed conflict. Nature, 571(7764), 2019, pp. 193-197
- United Nations (UN) (n.d.), UN World Water Development Report 2019: ‘Leaving no one behind’, https://www.unwater.org/news/un-world-water-development-report-2019-%E2%80%98leaving-no-one-behind%E2%80%99
- P. H. Gleick, Water, drought, climate change, and conflict in Syria, in “Weather, climate, and society”, 6(3), 2014, pp. 331-340.
- S. W. Al-Muqdadi, Developing strategy for water conflict management and transformation at Euphrates–Tigris basin, in “Water”, 11(10), 2037, 2019
- United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) Syria: Parties to Conflict Aggravate Cholera Epidemic, 2022, https://reliefweb.int/report/syrian-arab-republic/syria-parties-conflict-aggravate-cholera-epidemic-enartrku
- Servizi che emergono dalle interazioni positive tra ecosistemi e società, con benefici per entrambi e per l’intero sistema socio-economico ed ecologico. Vedi C. Giupponi, Venezia e i cambiamenti climatici – Quale futuro per la città e la sua laguna?, Rizzoli, Milano, 2022
- A. Sitati, E. Joe, B. Pentz, C. Grayson, C. Jaime, E. Gilmore,… ed E. C. de Perez, Climate change adaptation in conflict-affected countries: A systematic assessment of evidence, in “Discover sustainability”, 2(1), 2021, p.42.