Ricetta per un disastro: Katrina e New Orleans

Come il safe development paradox ha contribuito alle drammatiche conseguenze dell’uragano Katrina e quali insegnamenti possiamo trarne.

Autore

Alberto Gabino Martínez-Hernández

Data

7 Marzo 2023

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6' di lettura

DATA

7 Marzo 2023

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Adattamento

Crisi climatica

Economia

Governance

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In termini di impatti economici, l’Uragano Katrina è stato di gran lunga il peggior disastro naturale nella storia degli U.S.A. Secondo diverse stime, le perdite ad esso collegate ammontano a più di 200 miliardi di dollari e 1500 decessi, con migliaia di case distrutte tra Lousiana, Mississippi e Florida 1. È facile intuire quanto il ricordo di una catastrofe di questa portata sia rimasto impresso nella memoria collettiva.

Date tali premesse, lo scopo principale di questa riflessione è quello di dimostrare come la gravità di questo evento sia almeno parzialmente dovuta ad una serie di politiche poco accorte, poi sfociate in quello che può essere definito come safe development paradox. In quanto segue, una particolare enfasi verrà posta sul caso studio di New Orleans e sulla rilevanza che tale fenomeno può assumere nel processo di adattamento ai cambiamenti climatici. 

Durante il secolo scorso, alcune politiche del governo federale degli Stati Uniti hanno incoraggiato lo sviluppo di aree particolarmente vulnerabili alle inondazioni 2. L’idea alla base era quella di creare zone economicamente profittevoli rendendole più sicure per l’insediamento umano.

A tal fine, e in linea con il programma nazionale per l’assicurazione sulle alluvioni (NFIP), sono state attuate due strategie principali: lo stanziamento di fondi per la costruzione di infrastrutture costiere di protezione e l’implementazione di piani assicurativi per la gestione delle catastrofi.

Relativamente al primo punto, gli aiuti finanziari sono stati diretti sia a opere di salvaguardia da inondazioni e tempeste che al ripascimento delle spiagge; in relazione al secondo, invece, gli sforzi sono stati indirizzati verso la garanzia ai possessori di immobili della possibilità di accedere a prestiti a basso costo (per favorire la ripresa dei loro business), deduzioni fiscali pari ai danni non coperti da assicurazione e sussidi pubblici sulle assicurazioni per il rischio da allagamento. Sebbene, almeno in apparenza, queste politiche dovrebbero favorire l’adattamento agli eventi estremi, in alcune situazioni emblematiche non tutto è andato per il verso giusto, per usare un eufemismo. È questo il caso dei due distretti principali di New Orleans, Jefferson ed Orleans, che tra il 1978 ed il 2000 hanno subito la bellezza di 19 inondazioni e 18 uragani… quasi un evento all’anno 3. In tutta risposta, e proprio mediante le sopracitate politiche, il governo federale ha fortemente incentivato lo sviluppo urbanistico in tali aree, al posto di porvi dei drastici quanto necessari limiti.

Ad esempio, a seguito dell’uragano di Fort Lauderdale nel 1947 è stata finanziata la costruzione di una serie di argini per convertire delle zone umide, con un’estensione complessiva pari a 96 acri, in terreni produttivi. Oppure, nel 1965, poco dopo l’uragano Betsy 4, il governo ha sviluppato una vasta infrastruttura di protezione costiera (il Lake Pontchartrain and Vicinity Hurricane Protection Project): sorprendentemente, lo scopo di tale progetto non era la messa in sicurezza delle strutture esistenti ma, bensì, lo sviluppo ulteriore della regione. Infine, per completare il quadro, non si può non citare l’approvazione nel 1968 del National Flood Insurance Act, che ha permesso ad aziende e cittadini di assicurare le loro proprietà per danni da inondazione, possibilità che non era garantita da alcun ente privato in precedenza. 

Nonostante nei decenni tra il 1970 e il 2000 il ritmo dello sviluppo sia decisamente rallentato, esso non si è mai del tutto fermato. Nello stesso periodo, sono infatti spuntate circa 22.000 nuove unità abitative in quelli che erano un tempo acquitrini e paludi: nemmeno il complesso sistema di argini e infrastrutture protettive costruito nei decenni precedenti è servito a salvaguardare tale patrimonio dall’urto dell’uragano Katrina, venendo a sua volta sommerso in un beffardo scherzo del destino. 

Non vi è forse incarnazione più evidente del safe development paradox: le istituzioni, col pur nobile fine di proteggere un’area ad alto rischio, hanno inconsapevolmente contribuito a una delle peggiori carneficine nella storia del paese. Infatti, oltre a ridurre la vulnerabilità di un’area agli eventi estremi, le buone pratiche di pianificazione prescriverebbero tassativamente di contenere l’esposizione di vite ed asset nelle aree a rischio, e non è assolutamente saggio ignorare ciascuna di queste due facce della medaglia.

Come auspicabile, a seguito della vicenda, sono state avanzate diverse proposte atte ad assicurare di non ricadere mai più in questo circolo vizioso. Una prima idea è stata quella di modificare il Disaster Mitigation Act 5del 2000, per imporre un’estensione dei piani regolatori locali con progetti di mitigazione del rischio da aggiornare su base regolare: in pratica questo consentirebbe di vagliare come primo criterio, per qualsiasi investimento pubblico, il suo eventuale contributo alla riduzione del rischio ancor prima di un suo qualsivoglia possibile effetto sullo sviluppo economico.

In secondo luogo, è stato proposto di limitare la possibilità di beneficiare del già menzionato Flood Insurance Act da parte delle amministrazioni locali che non presentino un’adeguata pianificazione del rischio. Infine, è stata avanzata l’idea di modificare il medesimo atto legislativo al fine di rendere possibile la stipula di assicurazioni sulle inondazioni unicamente a livello comunitario, e non più individuale; in questo nuovo assetto, il premio dovuto e la copertura dipenderebbero dal grado di esposizione al rischio dell’intera comunità, stimolando fortemente i governi locali a perseguire politiche sostenibili in tale verso.

Il safe development paradox, presenta interessanti risvolti non solo sul piano empirico ma anche a livello puramente teorico. È infatti un chiaro caso di ciò che in letteratura viene definito come proprietà emergente. L’impiego di tale concetto è una costante nello studio dei sistemi complessi, sia nelle scienze sociali che in quelle naturali, e può essere rigorosamente definito come l’insorgere di nuove e coerenti strutture, pattern e proprietà durante il processo di auto-organizzazione di un determinato sistema. In parole povere, questa è l’idea che sottende il comune detto «il tutto è più della somma delle parti».

Per imprimere nella propria memoria questa definizione è sufficiente dare un occhio all’Immagine 1: le seppur caotiche direzioni del volo dei singoli uccelli appartenenti allo stormo risultano nell’armoniosa forma complessiva di una nuvola, ed è propria questa la cosiddetta proprietà emergente.

All’esatto opposto, ma al contempo rientranti a pieno titolo nella definizione di proprietà emergente, si possono collocare tutti i fenomeni in cui a emergere da una serie di comportamenti apparentemente razionali a livello individuale è una struttura caotica e del tutto inaspettata. Probabilmente lo avrete già intuito: proprio in questa seconda categoria si può classificare a pieno titolo il safe development paradox!

Fig. 1 Esempio di proprietà emergente

Per quanto riguarda la pianificazione dell’adattamento ai cambiamenti climatici, specialmente nelle zone costiere, la lezione che si può ricavare dal quadro tracciato è ormai evidente: le politiche più accorte dovrebbero abbandonare approcci unidirezionali e mono-settoriali per abbracciarne altri marcatamente multi-dimensionali, in grado di cogliere e sfruttare al meglio le interazioni che avvengono tra i vari attori del sistema considerato e nelle diverse scale geografiche e temporali.

Dunque, per riassumere, il caso di New Orleans è stato qui ampiamente analizzato al fine di fornire un esempio di una tematica estremamente attuale negli studi sui cambiamenti climatici: il safe development paradox. Nel case study affrontato, le politiche governative hanno contribuito involontariamente ad aumentare l’esposizione della popolazione ai rischi derivanti dagli eventi estremi.

Tuttavia, auspicabilmente, questo seppur drammatico evento ha permesso di dar vita ad una più ampia riflessione su tale problematica, che sembra potrà concretamente tradursi in efficaci interventi legislativi. Inoltre, questo esempio ha permesso di spalancare le porte a considerazioni di più ampio respiro sulla teoria delle proprietà emergenti e sui suoi risvolti in termini di policy making, confermando allo stesso tempo il vecchio adagio per cui «nulla è come sembra».

Note

  1. Met Office, U. K., Hurricane Katrina, 2020
  2. R. J. Burby, Hurricane Katrina and the Paradoxes of Government Disaster Policy: Bringing About Wise Governmental Decisions for Hazardous Areas, in ‘The ANNALS of the American Academy of Political and Social Science’, Vol. 604, 1, 2006, pp. 171–191.
  3. Hazards Research Lab., Spatial hazard events and losses database for the United States, Version 3.1 [Online database], Columbia, University of South Carolina, 2005 http://www.sheldus.org.
  4. Il primo uragano «da un miliardo di dollari»
  5. R. J. Burby , cit.
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