L’acqua e la vita rappresentano un legame indissolubile sul nostro pianeta. Tutte le attività, che siano sociali, produttive o ricreative, richiedono e utilizzano una grande quantità di questa fondamentale risorsa, dalla quale dipendono a livello globale il benessere della popolazione, l’economia, la politica e lo stato dell’ambiente.
A causa del costante aumento della domanda, la scarsità di acqua sta diventando una minaccia per lo sviluppo sostenibile della società. A questo si sommano gli effetti dei cambiamenti climatici che stanno accrescendo la pressione sui corpi idrici naturali, rendendo alcuni territori più vulnerabili a fenomeni di scarsità idrica.
Oltre all’uso civile, l’acqua svolge un ruolo cruciale soprattutto in agricoltura; infatti, circa il 70% delle fonti idriche naturalmente disponibili al mondo è destinato al settore agricolo che, quindi, si configura come il più grande utilizzatore di acqua123.
Ciononostante, in Europa i metodi di coltivazione tradizionale, in campo aperto, sono i più utilizzati ed ampiamente estesi, soprattutto nell’area mediterranea. In Spagna meridionale, ad esempio, l’80% dei raccolti è realizzato con tecniche colturali in pieno campo 4. Tali metodi, però, oltre ad impiegare quantitativi di acqua e di fertilizzanti molto maggiori rispetto alle effettive esigenze delle piante 5 6, non riescono attualmente a soddisfare la crescente domanda di cibo 7.
Eppure, metodi di coltivazione alternativi sono ormai una realtà, come le colture fuori suolo (Fig. 1). Associate all’impiego di sensori e sistemi intelligenti di gestione delle pratiche colturali (Smart Agriculture), eco-friendly e competitivi sul mercato, sono in grado di promuovere un uso più efficiente delle risorse assicurando, nel lungo termine, una maggiore produzione con elevata qualità, nonostante l’avanzare dei cambiamenti climatici. In generale, il sistema fuori suolo è basato sulla coltivazione in ambiente protetto, tipicamente serre, in cui le piante sono allevate su substrati inerti, e posizionate all’interno di un sistema idraulico che consente il flusso di soluzioni nutritive a contatto diretto con l’apparato radicale. Le serre possono essere munite di sensori ambientali e per la gestione colturale, così da essere gestite in modo automatizzato (Fig.2). La coltivazione idroponica può raggiungere livelli di produzione molto alti poiché è svincolata dai cicli colturali e dalle stagioni, non è influenzata da eventi climatici avversi e può essere più facilmente difesa da insetti e patogeni. La coltura protetta ed i sistemi di controllo ed automazione garantiscono la standardizzazione delle operazioni colturali e delle procedure, favorendo l’adozione di buone pratiche agricole 8. In Europa, tale metodo è diffuso nei Paesi centro-settentrionali, primo fra tutti l’Olanda, poi Francia, Belgio, Inghilterra, Germania, Danimarca, caratterizzati da sistemi colturali più intensivi 9. Nel nostro Paese queste tecniche hanno trovato impiego soltanto negli ultimi anni. Si riscontrano alcuni esempi di specializzazione concentrati soprattutto in Sicilia, Sardegna, Campania, Lazio, Liguria, Toscana, Puglia, Basilicata e Veneto, orientati prevalentemente verso la coltivazione su substrato (98% delle colture) di ortive (come pomodoro e fragola), piante ornamentali ed aromatiche 10 11.
Attualmente si sta assistendo al passaggio da sistemi fuori suolo aperti, ampiamente impiegati nei Paesi del Mediterraneo, a sistemi a ciclo chiuso, i quali grazie al recupero, reintegro e riciclaggio della soluzione nutritiva, evitano l’inquinamento e l’eutrofizzazione di suolo ed acqua causati dal rilascio in ambiente di drenaggi 12, conseguenti alle coltivazioni a ciclo aperto.
Ad esempio, il vertical farming, per il cui modello è stata stimata una crescita media annua del 24,6%, rappresenta la miglior innovazione tecnologica a ciclo chiuso per assicurare risparmio idrico, risparmio di suolo, qualità e sicurezza degli alimenti, aumentandone i tassi di produttività di circa 70 volte.
Negli ultimi anni ha destato particolare interesse all’interno della comunità scientifica l’impiego di sistemi di coltivazione idroponica a ciclo chiuso che utilizzano le acque reflue come soluzione nutriente, e che consentono di ottenere elevate rese di produzione agricola impiegando meno area utile, meno acqua e meno sostanze nutritive, già contenute direttamente nel refluo 13. Le rese di produzione e la qualità del prodotto agricolo risultano, infatti, maggiori rispetto alla classica irrigazione con acqua dolce. Nei Paesi Comunitari, dove la ridotta disponibilità idrica interessa soprattutto le regioni del Mediterraneo, le Istituzioni hanno promosso l’adozione di un approccio integrato per garantire una gestione più efficiente delle risorse. In quest’ambito le acque reflue e il loro riutilizzo per scopi irrigui rivestono un ruolo di importanza strategica, in quanto permettono di preservare quantitativamente e qualitativamente 14 le risorse, offrendo una fonte alternativa ed affidabile di approvvigionamento.
I reflui urbani sono infatti ricchi in macro (N, P, K), meso (Ca, Mg, S) e micronutrienti (B, Zn, Mn, Mo, Fe, Cu), che rappresentano elementi nutrizionali utili alla crescita e allo sviluppo delle piante. La disponibilità idrica costante associata alla disponibilità di elementi nutritivi rappresenta la maggiore potenzialità agronomica delle acque reflue, ragion per cui vengono impiegate da molti anni in agricoltura e attualmente sono principalmente utilizzate in tutte le regioni aride del mondo per la fertirrigazione. Ad esempio, in Pakistan circa il 26% della produzione nazionale di verdure avviene impiegando acque reflue per scopi irrigui; ad Hanoi, la capitale del Vietnam, l’80% della produzione di verdure in aree urbane e peri-urbane è effettuata impiegando acque reflue diluite ed in Israele viene riutilizzato a scopi irrigui circa il 50% del volume di acque reflue complessivamente prodotto nel Paese 15. A livello europeo sono pochi gli esempi applicativi, concentrati prevalentemente nella parte settentrionale del continente, come in Olanda, dove la promozione della simbiosi tra idroponica e riutilizzo dei reflui ha dimostrato che è possibile ottenere un prodotto di elevata qualità sfruttando efficientemente le risorse disponibili (nutrienti, anidride carbonica e calore/energia) messe a disposizione da un rifiuto 16 17. Ne è un esempio anche il progetto Suskult 18 realizzato nel distretto di Ruhr in Germania grazie al quale, mediante la realizzazione di un impianto pilota con tecnologia idroponica, è possibile produrre 40 tonnellate di ortaggi all’anno impiegando acque reflue depurate.
L’idroponica consente anche la crescita di colture industriali per la produzione di energia o materiali ad elevato valore aggiunto in modo tale da attrarre anche le industrie di trasformazione non alimentari. Dunque, la coltivazione di specie officinali e ad uso medicinale ben si inserisce in questo contesto, presentando però uno spiccato carattere innovativo e intercettando un settore economico di valore.
Attualmente, infatti, la coltivazione intensiva di piante officinali è una realtà marginale, in quanto più del 75% di quelle commercializzate al mondo viene raccolto per crescita spontanea. In Europa, però, e soprattutto per le specie di maggiore impiego, si sta sviluppando un sistema agroindustriale basato prevalentemente sulla coltivazione in pieno campo, la quale è fortemente concentrata in un numero molto limitato di paesi, tra cui la Polonia (32% della totale superficie investita), la Bulgaria (17%), la Francia (13%), l’Italia (7%), la Finlandia (6%) e la Spagna (5%) 19.
In Italia, il settore delle officinali è in espansione con un tasso di crescita medio annuo superiore al 12% 20. In Basilicata il settore delle erbe officinali offre molte potenzialità di sviluppo con un incremento della superficie investita pari al 51,9% per il periodo 2000-2010. Tuttavia, la maggior parte delle aziende italiane che coltivano officinali presenta un livello di specializzazione inferiore alla media ed una dimensione molto bassa, nonostante i prodotti derivanti dalle specie officinali destino un interesse sempre maggiore e una sempre maggiore richiesta sul mercato, tanto da avere una notevole valenza economica sia per i produttori che per le compagnie farmaceutiche. Nel 2012, infatti, è stato stimato per l’Italia un valore del mercato all’ingrosso pari a 74 milioni di euro, mentre l’esportazione ha generato degli introiti pari a 413 milioni di euro.
Le piante officinali, inoltre, rivestono, nell’ambito dei programmi comunitari, e in particolare nelle misure dei Programmi di Sviluppo Rurale delle regioni dell’Italia centrale, un ruolo di fondamentale importanza per veicolare e garantire il miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale e l’accrescimento del valore aggiunto dei prodotti ad essi annessi.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi non è praticabile ottenere i principi attivi dalle piante spontanee in quanto non sufficienti alla richiesta del mercato. Questo limite produttivo potrebbe essere superato proprio grazie alla coltivazione in serra, meglio ancora se la serra in questione è idroponica.
Se alla coltivazione delle officinali affianchiamo le tecnologie dell’idroponica e anche i vantaggi derivanti dall’impiego di acque non convenzionali per la formulazione della soluzione nutriente, abbiamo chiuso il noto cerchio alla base della bioeconomia. Infatti, gli indubbi benefici di un tale approccio circolare sono facilmente deducibili.
La coltura in serra, ovvero un ambiente protetto climaticamente e controllato, con tecnica fuori suolo, consente di ottenere rese maggiori e destagionalizzate, con prodotti privi di quegli additivi insalubri sia per le piante che per l’ambiente. Inoltre, e non di poco conto, tali coltivazioni possono essere condotte anche su suoli marginali (siti industriali, aree urbane o peri-urbane) o non idonei alla normale coltivazione, con caratteristiche fisico-chimiche scadenti. In altre parole, potrebbero essere un utile strumento di rigenerazione e di riqualificazione di aree degradate.
Un ottimo esempio di circolarità è rappresentato dall’acquaponica (Fig. 3). È una pratica nota fin dall’antichità (Medio Oriente, Cina, Messico) che unisce l’allevamento di specie acquatiche alla coltivazione fuori suolo, ovvero l’acquacoltura all’idroponica, in un perfetto sistema simbiotico a ciclo chiuso.
I nutrienti fondamentali per la crescita delle piante vengono forniti dall’allevamento del pesce, di cui queste sostanze costituiscono i principali prodotti di scarto. In questo sistema, elementi come l’azoto e il fosforo, derivanti sia dall’escrezione e dalle deiezioni dei pesci che dalla decomposizione del mangime non ingerito, possono venire assorbiti dalle radici delle piante in coltura che si trovano direttamente immerse nell’acqua. L’acqua, così fitodepurata dalle piante, può tornare alla vasca dei pesci e ripetere il ciclo.
A livello economico, se si unisce l’allevamento ittico di specie pregiate alla coltivazione di piante officinali i cui prodotti sono ad alto valore, si creano filiere innovative e si aumenta la redditività delle imprese agricole. La simbiosi perfetta! A titolo di esempio, si potrebbe considerare l’allevamento della Carpa Koi (Cyprinus carpio), specie ittica ornamentale (valore all’ingrosso: circa 80,00 € per un esemplare di 30 cm e di 3-4 mesi di età), unita alla coltivazione di Rosa Damascena, il cui olio essenziale è particolarmente apprezzato (25.000 €/L). Al lettore il compito di “tirare le somme”.
Note
- R. Connor et al., Warter in a changing world, terza edizione, 2009
- A. K. Plappally e J. H. V Lienhard, Energy requirements for water production, treatment, end use, reclamation, and disposal in “Renew. Sustain. Energy Rev.”, vol. 16, no. 7, pp. 4818–4848, 2012
- World Bank, Water Resources: Improving services for the Poor, no. settembre 2010
- P. Caballero e M. D. De Miguel, Costes e intensificaciòn en la hortofruticùltura Mediterránea, in J.M.Garcá (a cura di), La Agric. Mediterránea en el Siglo XXI, Caja Rural Intermediterránea, Cajamar, pp. 222–244, 2002
- Solo il 30–50% di azoto e circa il 45% di fosforo viene effettivamente assorbito dalle colture, mentre la restante parte viene rilasciata nell’ambiente.
- D. Tilman, K. G. Cassman, P. A. Matson, R. Naylor e S. Polasky, Agricultural sustainability and intensive production practices, “Nature”, vol. 418, no. 6898, pp. 671–677, 2002
- Eurostat, Superficie investita da colture, 2016, https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/submitViewTableAction.do.
- Y. N. Chow, L. K. Lee, N. A. Zakaria e K. Y. Foo, New emerging hydroponic system, “Sic”, vol. 2, no. gennaio 2017, pp. 1–4
- E. van Os e C. Stanghellini, Diffusion and environmental aspects of soilless growing systems, in ‘Italus Hortus’ 8 (6), p. 1-15 (in Ital., vol. 8, 2001)
- A. Reyneri et al., Un sistema agricolo recente: colture idroponiche in serra, https://www.waterandfoodsecurity.org/scheda.php?id=12
- R. Tesi, Colture fuori suolo in orticoltura e floricoltura, Ed. Edagricole, Milano, 2002
- Generalmente composti per il 31% da nitrati e per un 48% da potassio, da soluzione nutritiva e volumi di lisciviazione, pari a circa il 20-35% della soluzione nutritiva somministrata
- G. N. Al-Karaki, Utilization of treated sewage wastewater for green forage production in a hydroponic system, in ‘Emirates J. Food Agric.‘, vol. 23, no. 1, pp. 80–94, 2011.
- Il trattamento delle acque reflue urbane rappresenta un tema cruciale per le ripercussioni sulla qualità dell’acqua che viene restituita all’ambiente
- J. Cheng, T. E. Shearin, M. M. Peet e D. H. Willits, Utilization of treated swine wastewater for greenhouse tomato production, in “Water Sci. Technol.”, vol. 50, no. 2, pp. 77–82, 2004
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- S. T. Magwaza, L. S. Magwaza, A. O. Odindo e A. Mditshwa, Hydroponic technology as decentralised system for domestic wastewater treatment and vegetable production in urban agriculture: A review, ‘Sci. Total Environ’, vol. 698, 2020
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- Eurostat, Superficie investita da colture, 2016, https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/submitViewTableAction.do
- A. Finizia et al., Piante officinali in Italia: un’istantanea della filiera e dei rapporti tra i diversi attori, ISMEA, 2013, pp. 1–218