In questo secondo articolo cerchiamo di spiegare il concetto di decarbonizzazione e come esso sia strettamente interconnesso alla transizione energetica.
Per farlo, volgiamo il nostro sguardo verso la Spagna. Osservando dall’alto il sud della Andalusia, vicino alla città di Almeria, possiamo vedere un’enorme distesa di serre, la più grande concentrazione al mondo. Costruite su un’estensione di 40mila ettari, garantiscono ogni anno la produzione di un enorme quantità di ortaggi destinata al mercato europeo. Torneremo in futuro in altri articoli su questo fenomeno. Per ora soffermiamoci sulla singola serra. Essa è in grado di catturare la luce del sole, convertendola in calore in modo da far crescere le piante all’interno. I gas serra, si comportano in modo simile a livello di atmosfera. La loro azione naturale crea le condizioni favorevoli alla vita sul nostro pianeta. Sorge però un problema quando la quantità di gas (lo spessore del vetro della serra) risulta essere troppo elevata: ciò comporta un eccessivo surriscaldamento dell’ambiente.
Le attività economiche umane hanno aumentato negli anni, e in modo progressivo, la concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, contribuendo all’insorgere dei problemi relativi al cambiamento climatico. L’anidride carbonica (CO2) rappresenta l’80% dei gas serra, a livello europeo, rilasciati in atmosfera; il metano (CH4) è il secondo gas, con l’11% sul totale.
Cerchiamo ora di comprendere meglio il problema.
Cambiamo luogo e spostiamoci nella nostra cucina. Apriamo il rubinetto e lasciamo scorrere l’acqua. Piano piano il lavandino si riempie. Il flusso che esce è come l’anidride carbonica prodotta dalle attività economiche. Io scarico del lavandino è ciò che viene definito ‘pozzo di assorbimento’, cioè un sistema in grado di assorbire carbonio. Per dare l’idea, i pozzi di assorbimento naturali sono le foreste, gli oceani e il suolo. Maggiore è la quantità che si accumula nel lavandino (lo stock), maggiore è l’aumento della temperatura. A un certo punto l’acqua rischia di uscire dal lavandino (il nostro Pianeta), riversandosi a terra. Se ciò avviene, purtroppo la temperatura è troppo alta e il cambiamento climatico ha causato un danno irreversibile.
Come possiamo fermare questo processo? Facendo in modo, a un certo punto, che la quantità che sgorga dal rubinetto sia la medesima che esce dallo scarico, evitandone quindi la fuoriuscita dai bordi del lavandino (gli scienziati hanno identificato la soglia massima da non superare pari a un aumento medio globale della temperatura fra 1,5°C e 2°C). Questo è ciò che viene definito ‘emissioni zero’ (o neutralità carbonica) e consiste nel raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio. L’Unione Europea si è prefissa tale obiettivo per il 2050.
Nel 2019, le emissioni globali di CO2 hanno superato più di tre volte (38.0 Gt) la capacità totale di assorbimento dei pozzi naturali. Da quanto abbiamo finora detto si comprende che il termine ‘decarbonizzazione’ significa letteralmente riduzione di carbonio. Una delle chiavi è la ‘decarbonizzazione energetica’. La produzione e l’utilizzo di energia rappresentano, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, oltre il 75% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE, circa un terzo del quale attribuibile ai trasporti. La quota rimanente di emissioni proviene per circa il l’11% dall’agricoltura e il 9% dai processi industriali e di utilizzo del prodotto.
La via dell’efficienza energetica
Il processo di decarbonizzazione deve focalizzarsi sulla riduzione del rapporto fra le emissioni di gas serra e la quantità di energia consumata in un dato Paese (la cosiddetta efficienza energetica o carbonica). Per ottenere questo risultato si può ridurre il ‘flusso di uscita del rubinetto’, scegliendo fonti fossili con un minor contenuto di carbonio, come per esempio il gas naturale. La CO2 (per unità di energia prodotta) rilasciata in atmosfera dal gas naturale è del 40% più bassa rispetto al carbone e del 20% rispetto al petrolio.
Una soluzione più efficace è ovviamente quella di sostituire le fonti fossili con quelle rinnovabili, quali l’eolico, il fotovoltaico e le biomasse, oppure con il nucleare. Tuttavia, come vedremo nei prossimi articoli, il passaggio alle nuove fonti rinnovabili non procede in modo spedito come dovrebbe (l’Italia dovrebbe installare 7GW annui. Nel 2020 solo 0,8GW) e il passaggio dalle fossili deve procedere necessariamente in maniera graduale.
Un’ulteriore strada è quella di impiegare le tecnologie che impediscono il rilascio di CO2 nell’atmosfera, come, per esempio, i sistemi di depurazione dei fumi degli impianti industriali. Si può inoltre anche agire sullo ‘scarico del lavandino’, sia a livello naturale, aumentando o ripristinando i pozzi di assorbimento naturali, come gli alberi o le alghe, oppure in maniera artificiale attraverso tecnologie in grado di ‘catturare’ l’anidride carbonica già presente nell’aria imprigionandola e stoccandola.
È evidente quindi come la transizione energetica sia strettamente interconnessa al concetto di decarbonizzazione. Identificare una chiara e condivisa definizione di quest’ultima è cruciale per il raggiungimento degli obiettivi preposti. La strada è tracciata: tenere stabile il livello nel lavandino. Le stime del costo globale oscillano fra i 5 ed i 9 trilioni di dollari annui.
Tuttavia la quantità di acqua non è uguale per tutti gli Stati: quelli più sviluppati ne hanno di più perché è da più tempo che la raccolgono. Essi hanno iniziato a risparmiare l’acqua, migliorando la efficienza energetica. I paesi in via di sviluppo hanno invece molta più sete. La complessità della sfida che ci attende deriva quindi dall’intervento che queste ‘diverse mani’ possono avere insieme sul rubinetto, con l’auspicio che la spinta sia sempre nella medesima direzione.