Acqua, una visione industriale

Autore

Giuseppe Santagostino

Data

7 Ottobre 2022

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4' di lettura

DATA

7 Ottobre 2022

ARGOMENTO

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Al di là della facile retorica sui beni primari necessari per la sussistenza dell’uomo, è a tutti evidente che la nostra civiltà nasca e si sviluppi proprio a partire dall’attività di accumulazione e conservazione del grano nei magazzini centrali e dell’acqua con l’impiego di dighe e la sua distribuzione per mezzo di canali.

Il ruolo centrale della diga come magazzino (e della forza di gravità come motore della distribuzione attraverso condotte e canali) ha attraversato tutta la civiltà occidentale raggiungendo l’Italia, in particolar modo l’Arco Alpino e la Pianura Padana, dove continua ad essere fondamentale nella produzione idroelettrica, ovvero la produzione di energia rinnovabile prevalente ancor oggi in Italia 1. Mentre ha parzialmente diminuito la sua importanza continua nella produzione agricola, proprio a partire dalla Pianura Padana, essendo intervenute modificazioni strutturali come l’abbandono delle marcite, che richiedevano circolazione lungo tutto l’anno ad eccezione dei fermi manutentivi, e la coltivazione del riso in asciutta per gran parte della maturazione. L’utilizzo agricolo delle acque risulta così concentrato in un periodo ristretto dell’anno, spesso entrando in conflitto con gli altri utilizzi (produzione idroelettrica e raffreddamento centrali termoelettriche) e con la necessità di mantenere livelli minimi nei grandi bacini lacustri: si pensi alla grande intensità d’acqua richiesta dalla coltura del mais, realizzata con tecniche di allagamento dei campi o con getti e pivot ad alto consumo 2.

Le trasformazioni avvenute in agricoltura si sono sommate alla progressiva urbanizzazione che ha cancellato o tombinato una quota considerevole di canalizzazioni 3 : ad oggi le canalizzazioni principali lombarde assommano a oltre 4000 km, mentre il restante reticolo idrico minore, che assolve alla distribuzione agricola, raggiunge i 20000 km 4.

In particolare la città di Milano, posta al centro dei principali sistemi di canalizzazione lombardi, nel suo incessante sviluppo urbanistico ha cancellato o tombinato il 40% del suo reticolo preesistente, il che se da un punto di vista agricolo ha avuto limitati effetti essendo scomparse anche le campagne al cui servizio tali canali erano stati realizzati. Così non si può dire per la funzione non certo secondaria di ricezione delle acque piovane o in quello emergente di ricezione superficiale degli abbassamenti di falda necessari per mantenere asciutti i manufatti sotterranei e, non ultimo, l’evidente scompenso nell’intero sistema distributivo, cosa che ogni milanese può contemplare con il necessario sconforto quando identifica brandelli di perduti canali in mezzo a qualche parco cittadino o riempiti di sporcizia ai bordi di qualche strada poco curata.

In realtà il sistema dei canali lombardi, e di quelli milanesi in particolare, al di là dell’utilizzo agricolo non ha mai avuto una singola funzione specifica ma si presenta, già dalla sua ideazione, come un complesso sistema industriale agito principalmente dalla forza di gravità, il vero motore gratuito e rinnovabile su cui possiamo contare da sempre: irrigazione, trasporto, energia meccanica per il raffreddamento o il funzionamento delle macchine industriali, energia per i mulini, oltre alle funzioni urbane non ultima quella solo in apparenza anti-ecologica di  ricettore degli scarichi.

Infatti la particolare tipologia milanese composta da tre fiumi a scarsa portata e andamento torrentizio come Olona, Seveso e Lambro accanto ad altri invece puramente torrentizi, ha integrato nel suo sistema idraulico urbano il sistema dei Navigli e del reticolo connesso, sia nell’adduzione di acqua ma anche nella ricezione degli scarichi, un tempo solo organici, che a loro volta attraverso la rete meridionale (principalmente il Lambro Meridionale, nascente dalla confluenza dell’Olona e di uno scolmatore del Naviglio Grande, della Roggia Vettabbia, tratto terminale del Torrente Nirone,  e il Redefossi, a sua volta tratto terminale del Seveso) portavano acque ricche di fertilizzante alla campagna 5.

Questo sistema complesso e organico viene spezzato dalla urbanizzazione e dalla industrializzazione che ne alterano le funzioni originali sostituendo il precedente meccanismo  gravitazionale con i più performanti motori a combustione e poi con la corrente elettrica, rende trascurabile la funzione trasportistica,  impiega sistemi di pompaggio dal sottosuolo per adduzione potabile e raffreddamento e, nel contempo, inquina con materiale inorganico il sistema degli scarichi che, a questo punto, veicolano verso la campagna acqua non più idonea 6 7; per l’attuale stato delle acque sotterranee si veda quanto indicato dall’ARPA 8 per la Città Metropolitana di Milano.

Se a  ciò si sommano l’uso intensivo della chimica in agricoltura e lo sversamento di molte sostanze chimiche nel terreno derivanti dalle attività industriali più inquinanti, si comprende immediatamente la necessità di abbassare in modo importante il livello di prelievo delle acque potabili ben oltre la prima falda.

Su tutto si inserisce in modo prepotente  l’urbanizzazione progressiva che lastrica i suoli, interrompendo l’assorbimento locale delle acque e demandando spesso ai sistemi fognari non sempre sovradimensionati come occorrerebbe per assolvere questi compiti ‘innaturali’,  proprio lo smaltimento di acque sostanzialmente pulite, come pulite si rivelano anche le acque di falda eliminate superficialmente per la difesa dei manufatti sotterranei, spesso veicolate anch’esse nei sistemi fognari: ho calcolato in circa 200 mln di metri cubi/anno la quantità di acque parassite presenti in fognatura al momento della depurazione nell’intero sistema milanese.

La rottura dell’equilibrio idraulico del territorio vede una contemporanea frantumazione delle competenze di governo, che si specializzano per funzione e per ambito: il sistema idrico (adduzione e trattamento fognario) su scala provinciale con gestori dedicati, i Consorzi di Bonifica per la gestione delle acque irrigue assieme a Consorzi privati, le autorità di bacino per la gestione dei fiumi principali, i singoli Comuni competenti per le caditoie stradali e la manutenzione dei tratti, spesso tombinati, dei canali e dei fiumi.

Lo stato attuale, aggravato dalla concentrazione delle piogge e dai prolungati periodi di assenza delle stesse,  rivela dunque sia un evidente disequilibro idraulico nelle zone urbanizzate di pianura, mentre la stessa urbanizzazione spopola le montagne appenniniche e alpine dove genera rimboschimento indiscriminato che azzera l’antropizzazione ordinata dei suoli (strade, scoli e canalizzazioni) e crea dissesto idrogeologico destinato a riversare a valle parte dei suoi effetti nocivi,  sia un complesso e scarsamente coordinato sistema di governo idraulico del territorio.

E’ abbastanza evidente che una simile situazione di complicato disordine chieda un nuovo ordine che sia prima di tutto funzionale, ovvero che riallinei e renda organiche le necessità di città, campagna e montagna in un disegno unitario, nel contempo rispettoso dell’economia nella gestione del bene e del mantenimento di un’ecologia del sistema idraulico complessivo.

Perché ciò avvenga occorre industrializzare in modo moderno gli utilizzi dell’acqua, ovvero rendere alle aree interessate un ambito idraulico che possegga in sè le ragioni del suo equilibrio: proveremo a disegnare questa possibile industria dell’acqua, che rimanda in modo per nulla paradossale, alla logica antica del sistema idraulico lombardo.

Leggi anche >> In Italia l’acqua è pubblica? (Ep 2 di Acqua)

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