Come ce la raccontiamo. Crocs, idiocrazie e patrioti, le visioni del declino democratico

Cinema e piccolo schermo stanno offrendo in questi anni numerose rappresentazioni distopiche della crisi della democrazia, indebolita nei suoi meccanismi profondi ed esposta alle tensioni dei nuovi paradigmi della politica, dell'economia digitale e del profitto tout court.

Autore

Giuliano Di Caro

Data

27 Ottobre 2025

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5' di lettura

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27 Ottobre 2025

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C’è chi la chiama Democratura, crasi di democrazia e dittatura. Chi la descrive come Ipnocrazia. E chi, già una ventina d’anni fa, aveva coniato l’espressione Idiocrazia per dare il titolo a un feroce film satirico sull’istupidimento delle genti occidentali. Ma ci siamo capiti. Al netto della pur ampia variabilità dei perimetri, dei punti dirimenti e delle scelte lessicali, stiamo parlando di assalti strutturati alla vita democratica: di quanto malconcia ne esca la democrazia quando è sottoposta a tensioni e distorcimenti che ne danneggiano la natura profonda, quintessenziale. Gli esempi recenti abbondano: il Brasile di Bolsonaro, l’Ungheria di Orban, l’Argentina di Milei, Israele con Netanyahu al timone, gli Stati Uniti di Trump, specialmente in questo secondo mandato. Oltre la politica in senso stretto: il capitalismo digitale della sorveglianza, le sconcezze della finanza che si divora l’economia reale, rimbecillimenti, ansie, apatie indotti a fini commerciali e in maniera sistematica sulle persone, giovani in primis, a colpi di feed social e stillicidi di mini video. E ancora, le derive razziste e populiste, le manosphere misogine imperniate sul culto del muscolo e del denaro, i parossismi della woke culture, gli sconsiderati eccessi di buonismo nel fronteggiare gli estremismi religiosi che attecchiscono nelle società occidentali, avvelenando i terreni della convivenza. Da destra come da sinistra, la giacchetta della democrazia viene costantemente tirata e lacerata. Il tema è decisamente troppo ampio per queste righe. Tuttavia, possiamo toglierci lo sfizio di rintracciare qualche esempio di chi, tra il piccolo e il grande schermo, potrebbe oggi dire: ve l’avevo detto! Anzi, raccontato.

Idiocracy, una satira feroce con premonizioni dal retrogusto MAGA

Nel 2004 Mike Judge stava girando il film Idiocracy, ambientato nel 2505, e chiese alla costumista di trovare delle calzature adatte per uno scenario futuristico popolato da idioti. La scelta ricadde sulle calzature in plastica, dall’estetica avveniristica ma infantile, di quella che allora era una (pur promettente e ben avviata) startup: la Crocs. Non volendo un brand riconoscibile nella sua pellicola ambientata nel 26esimo secolo, Judge si pose il problema: e se da qui a quando uscirà il film queste scarpe di plastica avranno avuto successo? Tranquillo, non succederà mai, fu la risposta del reparto costumi. All’uscita del film, nel 2006, le Crocs avevano fatto il botto e la gag si era trasformata in profezia involontaria. Questo accostamento da ‘scarpa da idiota del futuro’ aveva reso le Crocs un meme culturale, proprio mentre il brand stava conquistando (per meriti propri e squisitamente imprenditoriali) il mainstream. Col senno di poi, il boom delle Crocs non è stata affatto l’unica premonizione azzeccata di quel film: soltanto la più celebre e la più pop. 

 Idiocracy si apre con l’argomentazione che le persone più istruite e intelligenti tendono a rimandare il momento in cui fare figli, mentre quelle più sciocche e dall’educazione scarsa o nulla procreano a cuor leggero e senza limiti. A giudicare dai drammatici crolli della natalità in molti Paesi avanzati del mondo negli ultimi quindici anni, già questa è una visione del futuro che si è avverata, perlomeno se consideriamo il rapporto ormai inversamente proporzionale tra educazione di alto livello e natalità. Così come il presupposto stesso del film, pur esasperato e caricaturale, confermato dall’inversione dell’effetto Flynn, la crescita media di 3 punti percentuali a decennio del Quoziente Intellettivo per quasi tutto il Ventesimo secolo. A partire dagli anni Novanta, ha invece conosciuto un arresto o addirittura un’inversione di tendenza a seconda dei Paesi, segno di un diffuso peggioramento culturale e cognitivo. 

Nel film, l’omino medio Joe Bauers, soldato dell’esercito americano, viene selezionato in quanto ‘uomo più ordinario del mondo’ come soggetto per un esperimento di ibernazione. Insieme a lui viene congelata per i posteri anche Rita, una prostituta che accetta dietro compenso. Quando i due si risvegliano, 500 anni dopo, trovano un mondo devastato dalla stupidità: città fatiscenti, immondizia e pubblicità ovunque, il linguaggio ridotto a slang e grugniti. La televisione rilancia continuamente volgarità, sberle, pornografia e urla, la società è in mano ad aziende colossali e dementi. La gente ormai non beve neppure più l’acqua, soltanto il Brawndo, energy drink che ha sostituito l’acqua persino per irrigare i campi. Joe, che nel 2005 era un ‘medioman’ da manuale, in questa epoca è di gran lunga l’uomo più intelligente del mondo. In una società in cui deriva culturale, consumismo senza freni amplificato dall’uso sconsiderato della tecnologia e stupidità collettiva sono assurti a sistema, il protagonista diventa prima Ministro dell’Interno e infine Presidente degli Stati Uniti (come successore di un wrestler). Non prima però di aver dovuto attendere, finendo nel frattempo nei guai, che la sua idea geniale di tornare a coltivare i campi usando l’acqua vera portasse, letteralmente, i frutti sperati. Joe e Rita (sì ex prostituta, ma anche con un cervello d’antan come lui) si sposano e mettono su famiglia nella speranza, parrebbe vana, di riportare un po’ di sale nella zucca della società. 

Dal film alla realtà, il salto è breve all’America di Trump e alla sua selezione della classe dirigente, agli accoliti che fanno irruzione al Campidoglio vestiti da bisonti, alla violenza episodica alimentata dall’ignoranza e da un’altra violenza, in questo caso sistemica, quella verbale, che pervade la retorica MAGA: i network amici, i podcast e i video sui social di figure dal grande seguito. E all’idiozia al potere, appunto, riccamente alimentata da nomine sfacciatamente incongrue a livelli apicali della vita politica del Paese. Come un ministro della Sanità paranoico, Robert F. Kennedy Jr., le cui credenze prive di basi scientifiche includono l’avversione per i vaccini, tacciati di causare l’autismo, e la predilezione per il blu di metilene, sostanza chimica sì utilizzata per alcuni trattamenti, ma con possibili effetti collaterali neurologici e interazioni pericolose con altri farmaci. Eppure, in un video divenuto virale, vediamo Kennedy aggiungere un liquido blu a una bevanda, convinto che questa sostanza porti benefici alla ‘salute cerebrale’. Qualunque cosa voglia dire.  

Ma la lista dei fedelissimi del MAGA – pur essendo il playground anche di personaggi che sulla propria intelligenza hanno costruito una grande popolarità, basti pensare a Charlie Kirk, assassinato da un cecchino a settembre – trabocca di personaggi intellettualmente borderline. A fine settembre il Segretario della Difesa Pete Hegseth ha convocato una riunione straordinaria dei vertici militari, quindi generali e ammiragli, presso la base del Marine Corps Base Quantico in Virginia. Pochissimo preavviso, nessuna informazione sull’agenda, difficoltà enormi per coprire l’assenza dei vertici militari Usa ai quattro angoli della macchina militare statunitense. Tempo speso a sviluppare una nuova strategia mondiale? A valutare scenari globali urgentissimi e i margini di manovra dell’esercito più potente del mondo? Nulla di tutto questo. La grande e urgentissima adunata si rivela invece l’occasione per Hegseth di definire l’esercito Usa ‘the woke Department’ e annunciare una ulteriore stretta sulle politiche di inclusione tra i militari. Ed è anche teatro dell’annuncio di un fondamentale nuovo codice di condotta, con standard fisici più rigidi, ma pure estetici: una dichiarazione di guerra agli ammiragli cicciottelli. C’è da scommettere che il regista e lo sceneggiatore di ‘Idiocracy’ si siano concessi più di un ghigno di questi tempi. 

Lealtà distorta e la ‘regola Comey’ 

Scelte funzionali alla logica trumpiana dell’uomo solo al comando, che di contro ha fatto fuori stuoli di oppositori, niente affatto ottusi o non titolati per i ruoli che ricoprivano. Un esempio su tutti, James Comey, nominato Direttore dell’FBI da Obama nel 2013 e che nel 2016 investigò Trump e alcuni suoi collaboratori per il cosiddetto Russiagate, l’inchiesta sulle ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale presidenziale americana. Nel maggio 2017, quando Comey rifiutò le richieste di Trump di ‘loyalty’ e l’invito a ‘let go’ l’inchiesta su Michael Flynn, fedelissimo trumpiano ed ex consigliere per la sicurezza nazionale, Trump lo licenziò in tronco. Con buona pace della regola per cui un numero uno del Bureau viene nominato in carica per dieci anni proprio per preservare la sua indipendenza politica.  

L’attuale commentatore e insegnante di diritto ed etica Comey, la cui figlia è stata in seguito licenziata dal Dipartimento di Giustizia, che recentemente è stato raggiunto da due ‘bullshit indictments’ in Virginia, come pare siano stati definiti ridacchiando persino nei corridoi della Casa Bianca, un anno dopo il licenziamento ha pubblicato il libro ‘A Higher Loyalty: Truth, Lies, and Leadership’, memoriale in cui riflette sui temi della lealtà, il potere e l’integrità. Un bestseller che grazie al suo successo è divenuto nel 2020 una miniserie televisiva intitolata ‘The Comey Rule’. Un caso in cui non è la finzione a rappresentare le distorsioni della realtà, bensì sono i fatti reali a ispirare una narrazione critica della società.  

The Boys: il supereroe fascistoide figlio della ‘Ipnocrazia’

È tuttavia chiaro che benché quello che potremmo definire il livello di stupidità medio nella vita pubblica tout court si sia alzato un po’ ovunque, con i danni che ne conseguono, visto il metodico sfruttamento politico e commerciale in essere, potenzialmente le ferite più incisive all’imbastitura della vita democratica vengono inferte da sistemi architettati con cura e consapevolezza dei mezzi e dei fini. Per dirottare una società democratica occorre la sagacia e la precisione (finanche diabolica) della pianificazione. Nel piccolo schermo, una delle rappresentazioni recenti più efficaci di questo aspetto l’abbiamo vista nella serie ‘The Boys’. Homelander, Il Patriota nella versione italiana, è il negativo, il rovescio di Superman, e dell’intera società americana classica, imperniata sui sani e idilliaci valori della working class d’un tempo. Supereroe fascistoide e psicotico, il leader di questa Justice League in versione drammaticamente corrotta è un uomo con molti problemi, ma pienamente edotto delle regole del gioco di una società ipnocratica, manipolatoria, asfittica, che inganna le masse imprigionandole in immagini costruite a tavolino con i trucchi mediatici più biechi del peggior marketing politico e commerciale immaginabile. 

Homelander è il frontman e l’ingranaggio di un sistema che opera per stillicidi morali e bulimie commerciali, spostando sempre più in là il limite di ciò che viene considerato ‘giusto’ e ‘accettabile’ in una società civile. Fino al parossismo di quando lui, persa la cognizione di quelle stesse regole del gioco, fa esplodere la testa a un suo contestatore e la folla, che in prima battuta osserva attonita la scena, dopo qualche secondo inizia ad acclamare il ‘patriota’ e ad applaudire l’assassinio di un loro pari, andato in scena davanti ai loro stessi occhi. Il confine è stato superato. E si tratta di un punto di non ritorno: la perdita del pensiero critico. 

Homelander è un figlio da manuale di quella che in un recente libro/performance filosofica su verità e finzione (‘Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà’ di Jianwei Xun, in realtà pensatore fittizio, in quanto progetto di editoria e AI guidato da Andrea Colamedici) è stata definita ipnocrazia: un regime che non opprime più soltanto mediante la forza, ma attraverso la narrazione, la realtà percepita e le storie che consumiamo, nel quale operano ‘sacerdoti’ di un nuovo paradigma di manipolazione della percezione, come Trump e Elon Musk. In The Boys, nonostante la sua immensa popolarità, anche Homelander deve fare più o meno i conti con ‘sacerdoti’ più in alto di lui, che influenzano il gioco. Fino a quando non diventa egli stesso una scheggia impazzita di quel sistema e, paradossalmente (o forse no?), ne conferma la pervasività e l’efficacia. 

Il cortocircuito tra realtà e finzione di Advanced Dungeons & Dragons

Talvolta, più che i film o le serie tv prodotte, sono le scelte dei network o delle piattaforme di streaming fuori dallo schermo a rappresentare (anche involontariamente) le distorsioni della realtà. Non entreremo nel filone, molto complesso, delle inesattezze e incongruità storiche, anche grossolane, con cui i colossi dello streaming o del gaming hanno infarcito, negli ultimi anni, i loro prodotti culturali. Bastino un paio di esempi, come la scelta di attori afroamericani per interpretare antichi regnanti scandinavi o samurai dell’era imperiale giapponese, in ossequio al pur lodevole fine di creare racconti ‘più inclusivi’. Ci soffermiamo piuttosto su un esempio minuto ma sfizioso, per così dire, che ben rappresenta come eccessi di buonismo (spesso a scopi meramente commerciali, per giunta) sappiano condurre il buonsenso dritto contro un camion in corsa. Nel giugno del 2020 le piattaforme di streaming Netflix e Hulu rimuovono dai loro cataloghi un episodio della apprezzata serie comedy americana ‘Community’ intitolato ‘Advanced Dungeons & Dragons’ in cui il personaggio di Ben Chang, un asiatico americano, si traveste da elfo scuro, una classe di creature dell’universo fantasy di D&D. Per questa ragione Chang indossa una parrucca albina e si dipinge la faccia di nero, similmente a quanto accade nella blackface, pratica teatrale da tempo considerata razzista e offensiva in cui persone non nere si dipingevano di nero il volto per rappresentare in maniera stereotipata e caricaturale le persone di colore. Shirley definisce l’aspetto del suo compagno, vestito però da elfo di un mondo immaginario, non da persona di colore, un ‘crimine d’odio’, in una scena che era pensata sia per criticare la blackface e ogni forma di razzismo, che per stigmatizzare il comportamento di alcune persone che si affrettano a gridare al razzismo senza troppo pensare. In un cortocircuito tra realtà e finzione, alcuni urlarono al lupo nella casella mail di Netflix nel periodo delle proteste per la giustizia razziale negli Usa del 2020. Questi reclami ‘alla Shirley’ portarono così alla rimozione dell’episodio in tutto il mondo, Italia inclusa. Soltanto nel 2024 su Peacock e nel 2025 su Hulu, la puntata ‘Advanced Dungeons & Dragons’ è tornata visibile in streaming. 

‘Scissione’, l’ultima frontiera della distopia corporate

Chiudiamo con una delle idee narrative più acute e brillanti degli ultimi anni, quella su cui è imperniata la serie ‘Severance’. I protagonisti sono impiegati della Lumon Industries, azienda che ha sviluppato una procedura di ‘scissione’, appunto, che permette di isolare nei propri dipendenti i ricordi lavorativi da quelli del resto della loro vita. Quando entrano nell’ascensore, alcuni dei loro impiegati dimenticano istantaneamente ogni persona, fatto o conoscenza della loro esistenza extra-lavorativa: all’aprirsi delle porte, la loro intera identità è esclusivamente centrata sul tempo passato negli uffici della Lumon Industries. Il processo opera all’incontrario appena il lavoratore esce dagli uffici. L’Innie e l’Outie, ossia la versione aziendale e la versione libera della persona, diventano così due entità radicalmente separate, che non condividono alcun ricordo l’una con l’altra. Non bastasse, gli innie non hanno alcuna idea di cosa producono durante il loro tempo di lavoro: la loro unica dimensione di esistenza è, per giunta, una coazione a ripetere azioni private di senso, strategia e significato, in quanto ingranaggi di una macchina sovrumana che con loro non condivide neppure la natura di ciò che le persone realizzano nell’orario lavorativo. Non sanno cosa fanno, a quale scopo o utilità. E lo fanno per l’interezza della loro esistenza. 

Una critica raffinatissima del capitalismo corporativista e della sua declinazione digitale costruita dalle Big Tech, che illumina questioni cruciali per l’identità contemporanea: la difesa della propria identità, la disumanizzazione aziendale, il controllo totale dei sistemi produttivi e aziendali sugli individui, lo svelamento dei meccanismi profondi di costruzione del messianismo aziendale tipico della Silicon Valley (e non solo), lo svuotamento del libero arbitrio umano in figure lavorative che diventano ombre senza alcun diritto legale, la tensione verso ribellione e libertà, innata negli esseri umani, contro uno dei sogni più sfrenati e distopici che potrebbero mai avere dirigenti o tycoon senza limiti morali: che nell’orario di lavoro, quello aziendale sia l’unico mondo che i loro sottoposti conoscono. E che il resto della loro vita diventi, per riflesso, residuale e insignificante.

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