Che cosa è ‘complesso’?
Il paradigma di sviluppo attuale ci orienta verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale in un contesto democratico. Abbiamo dunque la responsabilità di immaginare collettivamente uno sviluppo che «assicuri il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri»1.
L’ambiente, il sistema economico e il sistema sociale in cui viviamo sono esempi emblematici di sistemi complessi. La scienza della complessità, un campo di ricerca in espansione da diversi decenni, si dedica allo studio dei sistemi complessi in vari ambiti, dalla fisica teorica, come evidenziato dal recente Nobel a Giorgio Parisi, alla medicina, con la creazione di nuovi centri di ricerca multidisciplinari. Questa scienza ha avuto un ruolo fondamentale anche nell’epidemiologia, soprattutto nell’analisi della recente pandemia, e si estende alle scienze ambientali e all’ingegneria, dimostrando la sua versatilità e importanza nei più svariati settori.
Ma che cos’è precisamente un sistema complesso? Una risposta netta e univoca a questa domanda è tuttora difficile da delineare. Un sistema complesso è un vasto insieme di elementi che interagendo a livello locale l’uno con l’altro su piccola scala è in grado di auto-organizzarsi spontaneamente e manifestare comportamenti collettivi non banali a scale più ampie, anche senza l’intervento di autorità esterne2. Un esempio paradigmatico di sistema complesso è il cervello, composto da decine di miliardi di neuroni che interagiscono e si auto-organizzano, dando origine a ciò che chiamiamo ‘mente’. Un ecosistema è un altro esempio di sistema complesso – che opera su una scala completamente diversa – così come la nostra società, che si manifesta attraverso la complessa interazione tra individui, gruppi e istituzioni. In ogni caso, le proprietà emergenti, come la coscienza o la cultura, non sono direttamente attribuibili alle singole componenti, ma sono il risultato di interazioni dinamiche complesse. Infatti, il comportamento collettivo di un sistema complesso non può essere compreso o previsto dalla sola (anche se totale) conoscenza del comportamento dei suoi singoli componenti. A questo proposito è nota l’antica massima aristotelica: «il tutto è più della somma delle parti»3. Oggi diremmo invece «More is different»4. L’ingrediente occulto che trasforma le parti nel tutto è proprio la rete di interazioni tra le parti.
Per questo motivo, immaginare uno sviluppo sostenibile in tutte le sue sfumature necessita dell’adozione di una prospettiva olistica – in senso aristotelico – che permetta di porre la giusta attenzione alle interazioni tra le componenti dei sistemi che ci consentono di soddisfare i bisogni nostri e delle generazioni future.
Perché siamo sempre in ritardo?
La sostenibilità è dunque un’espressione della complessità. L’aspirazione della nostra società è gestire la complessità in modo integrato e partecipato, quindi democratico. Per sviluppare e attuare politiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale, è essenziale ottenere il consenso della collettività. Anche in questo contesto, le interazioni tra individui e gruppi assumono un ruolo critico, poiché è attraverso questi scambi che si possono creare strategie efficaci, condivise e accettate dalla comunità.
D’altra parte, è proprio la complessità generata dalle interazioni sociali che spesso determina gravose inefficienze e ritardi nell’identificazione dei problemi e nella loro conseguente risoluzione.
Il professor M. Scheffer e colleghi, in un articolo sempre attuale, esaminano i meccanismi fondamentali che portano la società a rispondere con lentezza all’emergere di nuovi problemi, che siano ambientali, economici o sociali. Attraverso un elegante modello matematico, mostrano come la percezione pubblica di un problema e la successiva risposta possano subire un ritardo significativo dovuto alle proprietà intrinseche e strutturali del sistema socio-politico. Nella formulazione matematica, gli individui adottano un atteggiamento basato su una valutazione costi-benefici, assumendo un costo per deviare dalla tendenza generale del gruppo (andando contro la pressione dei pari) e un beneficio netto nell’assumere un atteggiamento propositivo rispetto al problema. I tempi di reazione collettiva ai problemi sono perciò fortemente influenzati dalle dinamiche di gruppo che generano una pressione sociale sui singoli individui: l’opinione di un individuo in un contesto sociale riflette sia le sue caratteristiche personali sia il suo desiderio di allinearsi alle norme del gruppo a cui appartiene. Questa mutua dipendenza degli individui genera dei meccanismi non-lineari e di retroazione che determinano i ritardi nella risposta. È quindi chiaro che l’interazione tra individui diventa un fattore decisivo nei processi di cambiamento dell’opinione pubblica. I modelli e i metodi della scienza dei sistemi complessi sono gli strumenti più opportuni per esaminare questo tipo di sistemi interagenti che determinano comportamenti collettivi emergenti. Un classico esempio, che è cifra dell’affascinante potere di sintesi di tali strumenti, è la rappresentazione del fenomeno dell’isteresi, che sta all’origine dei ritardi nella risposta del sistema sociale. L’isteresi è un fenomeno comune a molti sistemi dinamici non-lineari che determina cambiamenti improvvisi ma tardivi nel comportamento del sistema. Il concetto di isteresi fu originariamente utilizzato per spiegare il comportamento ritardato dei materiali magnetici rispetto a un campo magnetico esterno applicato. I materiali di questo tipo, tendono infatti a mantenere una certa magnetizzazione anche dopo che il campo magnetico esterno applicato viene rimosso. Questo significa che la “storia” precedente del materiale influisce sul suo stato attuale.
In Figura 1 è rappresentato il ciclo di isteresi generato dal modello matematico di Scheffer e colleghi. Il grafico mostra la relazione tra la ‘Perceived Seriousness of the Problem’ (‘Serietà percepita del problema’) e ‘Public Attitude’ (‘Atteggiamento pubblico’). Osservando la curva si nota come l’opinione pubblica transiti da un atteggiamento passivo (valori negativi di Public Attitude) a uno attivo solo quando la percezione del problema supera una soglia critica indicata con F1. Allo stesso modo, per ritornare a un atteggiamento passivo, la percezione del problema deve scendere ben al di sotto di una seconda soglia critica indicata con F2, dimostrando i ritardi tipici dell’isteresi. Tutte le combinazioni di Serietà percepita e Attitudine rappresentate con la linea tratteggiata sono raggiungibili in condizioni estremamente particolari, ma sono ‘instabili’, ovvero, il sistema sociale tenderebbe spontaneamente ad allontanarsene per tornare in uno stato positivo o negativo. Perciò all’aumentare del Serietà percepita, il sistema ‘salta’ repentinamente da una condizione di passività ad uno di attività solo dopo un ritardo. È importante notare che il sistema ammette la possibilità di un Atteggiamento pubblico positivo già a bassi livelli di Serietà percepita, infatti la parte superiore della curva (chiamata active public attitude) è già presente per bassi valori di Serietà percepita, ma il sistema è vincolato a seguire la curva inferiore fino al punto F1, dove il sistema diventa instabile (si veda la didascalia della figura per maggiori dettagli). Questa rappresentazione grafica evidenzia la non-linearità della risposta collettiva ai problemi pubblici, con cambiamenti che possono essere lenti, ma avvenire con inaspettata rapidità una volta che vengono superate determinate condizioni.
Si può facilmente intuire che il fenomeno descritto in questo modello semplificato è in realtà influenzato da numerosissimi fattori che caratterizzano la società nelle sue molteplici sfumature. La Figura 2 rappresenta più estesamente il fenomeno aggiungendo una terza dimensione al grafico che tiene conto di ulteriori variabili sociali come la pressione sociale dei pari, la presenza o assenza di leader/influencer, la complessità del problema e l’omogeneità della popolazione (si noti che il ciclo di isteresi della Figura 1 è ben visibile nella curva ad S sul piano più vicino al lettore). Questi fattori aggiuntivi possono alterare il punto in cui avviene il cambiamento di atteggiamento pubblico, creando ciò che nella teoria dei sistemi viene chiamata biforcazione a piega (fold bifurcation). Ad esempio, una maggiore pressione dei pari, una popolazione molto omogenea o l’assenza di leader/influencer può aumentare la resistenza al cambiamento fino a un punto critico (F1 nel grafico di Figura 1) più alto. Al contrario, al diminuire delle variabili aggiuntive il ciclo di isteresi sparisce, trasformandosi in una transizione ‘morbida’ e puntuale tra attitudine negativa e positiva. Questa visualizzazione tridimensionale aiuta l’intuizione a comprendere come le interazioni sociali e la struttura della popolazione influenzino direttamente la dinamica di opinione pubblica in risposta a un problema comune. La grande potenza della scienza della complessità è proprio quella di poter unificare con pochi concetti intuitivi e immagini evocative molteplici fenomeni della natura che appaiono assai diversi (come magneti e società!), ma che condividono meccanismi profondi nelle leggi che li governano.
More is different, less is powerful
Se da una parte i metodi e i modelli della scienza della complessità spiegano le dinamiche che dilatano i tempi di reazione della società rispetto ai problemi, dall’altra sono in grado di chiarire anche i meccanismi che inducono cambi di rotta improvvisi nelle opinioni della collettività – in particolare della ‘maggioranza’. Negli ultimi quarant’anni sono state sviluppate diverse teorie e modelli matematici che mostrano come gruppi sociali con opinioni minoritarie siano in grado di sovvertire convenzioni sociali maggioritarie5. Recentemente Centola e colleghi6, hanno condotto uno studio che valida empiricamente uno di questi modelli teorici. Hanno dimostrato sperimentalmente l’esistenza di ‘tipping point’ nelle dinamiche collettive che portano al ribaltamento delle convenzioni sociali. Un tipping point è un valore critico di una grandezza d’interesse oltre il quale un sistema cambia repentinamente comportamento (come la rapida transizione nel ciclo di isteresi!).
I sistemi sociali possono raggiungere dei tipping point al crescere di una ‘minoranza impegnata’, innescando un cambiamento comportamentale collettivo in grado di rovesciare norme sociali apparentemente stabili. Questo fenomeno, noto come dinamica della ‘massa critica’, è stato esplorato dagli autori attraverso interazioni di gruppo nel contesto di convenzioni sociali precostituite.
Il modello teorico analizzato e validato sperimentalmente studia l’interazione tra coppie di agenti all’interno di una popolazione, seguendo i modelli della teoria dei giochi. Gli agenti tentano di coordinarsi selezionando la convenzione sociale che ritengono più efficace, basandosi sulle interazioni passate. Questa stessa dinamica è stata replicata in un sistema i cui agenti erano persone reali, a cui è stato proposto un esperimento che richiedeva un coordinamento sociale. Il risultato teorico è stato confermato dalla sperimentazione empirica, indicando un valore sorprendentemente basso di individui necessari per raggiungere un tipping point. È sufficiente inserire una minoranza di appena il 25% dell’intera popolazione per destabilizzare il sistema e ribaltare la convenzione sociale precedentemente costituita. Questi risultati, seppur contestualizzati all’ambiente sperimentale, sollevano importanti questioni sulle dinamiche sociali su scala più estesa.
Sistema modello: Venezia
Alla luce di questi studi, diventa cruciale riflettere sul futuro delle comunità che affrontano una crescente disgregazione, specialmente in situazioni dove decisioni efficaci di adattamento sono vitali. Un caso emblematico è Venezia, estremamente sensibile al cambiamento climatico e contemporaneamente colpita da un grave spopolamento. Questo fenomeno mina la coesione sociale e riduce la massa critica necessaria per una rapida e incisiva azione politica. La centralizzazione delle risorse sulla terraferma e la percezione pubblica di un’azione inadeguata per la città storica evidenziano i rischi di un indebolimento della voce e dell’identità comunitaria, mettendo in pericolo lo sviluppo sostenibile e l’adattamento democratico della città lagunare.
D’altra parte, lo stesso studio di Centola e colleghi indica che un calo demografico in una popolazione pare essere poco influente sul valore percentuale della massa critica, o addirittura potrebbe facilitare un ribaltamento delle convenzioni a favore della ‘minoranza impegnata’. Nonostante questo, nel caso veneziano la popolazione è caratterizzata da importanti asimmetrie, sia in termini economici che sociali che rischiano di distorcere il comportamento delle comunità, che siano esse di maggioranza o di minoranza. Vi è ad esempio una grave distorsione dovuta all’enorme squilibrio di età: rispetto al 1981 i residenti nella città antica fra 15 e 29 anni sono calati di oltre il 60%, con una perdita di circa 16mila giovani e contestualmente l’indice di vecchiaia è salito da 56 a 230 anziani ogni 100 under 147. Inoltre, la gran parte della popolazione del comune risiede in terraferma, comportando un’ulteriore distorsione che può sfavorire gli abitanti della città antica. È dunque possibile che tali distorsioni provochino una segregazione8 che influenzi i caratteri delle ‘minoranze impegnate’. Ciò si rifletterebbe sempre più sulle dinamiche politiche e di azione della popolazione, specialmente sui temi legati alla sostenibilità.
La speranza degli abitanti è che coloro che restano abbiano il desiderio, la convinzione e la coesione per mantenere viva la città incentivando la residenzialità – soprattutto per giovani e studenti – andando oltre alla monocultura turistica e promuovendo Venezia come città esemplare per lo studio di strategie di adattamento e sviluppo sostenibile.
Un’interessante riflessione finale che emerge dagli studi menzionati sta nel ruolo delle minoranze e delle diversità nel modellare la società. È interesse comune porre attenzione ai messaggi che giungono da queste realtà, a qualunque regione politica appartengano, perché questi messaggi sono il possibile e naturale preludio di nuove convenzioni sociali a cui tutta la popolazione potrebbe doversi adattare.
In qualunque direzione si vada, il ruolo destabilizzante delle minoranze persiste, anche nell’attuale società globale e complessa.
Note
- G.H. Brundtland, Gro Harlem. Our common future — Call for action, in «Environmental conservation», vol. 14, n. 4, 1987, pp. 291-294.
- Complexity Explained (https://complexityexplained.github.io/).
- Aristotle, Metaphysics, Harvard University Press, Cambridge (MA), vol. 1, 1933 (letteralmente, ‘il tutto va oltre la somma delle parti’).
- P.W. Anderson, More is Different, in «Science», vol. 77, n. 4047, agosto 1972, pp. 177-4047.
- T.C. Schelling, Micromotives and macrobehavior. WW Norton & Company, New York 2006; G. Marwell, P. Oliver, The critical mass in collective action, Cambridge University Press, Cambridge 1993; D.M. Centola, Homophily, networks, and critical mass: Solving the start-up problem in large group collective action, in «Rationality and society», vol. 25, n. 1, 2013, pp. 3-40; R. Amato et al., The dynamics of norm change in the cultural evolution of language, in «Proceedings of the National Academy of Sciences», vol. 115, n. 33, agosto 2018, pp. 8260-8265; M. Falkenberg et al., Growing polarization around climate change on social media, in «Nature Climate Change», vol. 12, n. 12, 2022, pp. 1114-1121.
- D.M. Centola, et al., Experimental evidence for tipping points in social convention, in «Science», vol. 360, n. 6393, giugno 2018, pp. 1116-1119.
- https://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/venezia_senza_giovani_cala_numero_dati_tondazione_pellicani-7749568.html.
- T. C. Schelling, Models of segregation, in «The American economic review», vol. 59, n. 2, maggio 1969, pp. 488-493.