Il tema della transizione ecologica è oggi particolarmente discusso e sentito, a livello individuale sociale, politico ed economico.
Si tratta di una questione che spesso polarizza gli animi, fornisce potenziali soluzioni ma lascia in genere una percezione di frustrazione, di scoramento, la sensazione che non si faccia abbastanza.
«Sono profondamente dispiaciuto», queste le parole pronunciate in lacrime da Alok Sharma, presidente designato di Cop 26, al termine dei lavori di Glasgow, parole che racchiudono tutta la delusione per l’ennesima «occasione mancata».
Le tre narrazioni della transizione ecologica
Gli atteggiamenti attraverso i quali possiamo leggere e comprendere il mondo che ci circonda e la crisi che stiamo vivendo, che coinvolgono in prima battuta la transizione ecologica, possono essere ricondotte principalmente a tre narrazioni, delineate da Joanna Macy e Molly Brown nel loro Coming back to life:
- Business as usual. Dalle posizioni più negazioniste a chi semplicemente sottovaluta gli impatti e gli effetti di questi sul clima, la convinzione dominante in questa narrazione è che, in fondo, non serva modificare granché nel modo di condurre la nostra vita, perché in effetti la situazione è, in generale, sotto controllo; o quanto meno non è così grave come ritengono i sostenitori di questa tesi.
- The great unraveling. Questa narrazione raccoglie intorno a sé coloro che hanno maturato una visione negativa di ciò che ci aspetta; chi, a vario titolo e motivazione, ritiene ci sia ormai ben poco da fare. Fra questi annoveriamo anche ricercatori ed esperti, concentrati – e profondi conoscitori – su/di aspetti specifici particolarmente critici, quale l’acidificazione degli oceani o la perdita di biodiversità negli habitat d’acqua dolce. Costoro hanno approfondito peculiari dimensioni di questa distruzione irreversibile e ne conoscono le conseguenze, compreso il sentimento di perdita non compensabile – il lutto. Generalmente, queste persone vogliono avere l’ultima parola in merito e incolpano qualcun altro per il disastro – spesso quelli del business as usual, ma non solo.
- The great turning. Il punto di svolta: a questa direttrice appartengono coloro che hanno preso atto del messaggio veicolato dalla narrazione precedente – the great unraveling – e si pongono buone domande su quali possano essere le risposte creative per dare luogo al cambiamento di cui abbiamo urgentemente bisogno. Ci torneremo.
Le tre narrazioni sono il frutto della complessa interazione sociale dei diversi attori (cittadini, media, organizzazioni, esperti, rappresentanti politici ecc.) che concorrono mutuamente a rendere stabile, credibile e convincente uno tra questi scenari. Questi modus cogitandi influenzano e condizionano la possibilità di assumere decisioni rispetto ai temi fondamentali per il nostro futuro (politiche energetiche, protezione della biodiversità ecc.).
Decisioni e azioni
Ora, nel tempo, ci siamo dotati di ottimi strumenti di tecnologie sociali per assumere decisioni sempre più partecipate e condivise 1: ma sembra che questo non sia stato sufficiente. Dovremmo forse studiare con attenzione la distanza che divide lo sviluppo di sempre più sofisticate tecnologie soft per la partecipazione e le motivazioni profonde delle persone coinvolte nei processi sociali di decisione.
Si tratta di un ampio campo di studi che non può essere delineato in poche righe. Ci limiteremo, in questa sede, a prenderne in esame un aspetto cruciale: attraverso la lente di quale modello di comportamento morale possiamo analizzare, comprendere e promuovere il cambiamento verso atteggiamenti più ecologici.
Arne Naess, filosofo norvegese, fra i padri del movimento dell’ecologia profonda, distingue tra ‘azione morale‘ e ‘azione bella‘. Si tratta di una distinzione cruciale. Prendendo a prestito l’etica kantiana, Naess 2 individua nell’azione morale il «dover essere» della legge interna all’individuo. Non, quindi, la Legge definita in un Codice giudiziario: «il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me» affermava Kant al termine della sua Critica della ragion pratica.
Il primo passaggio verso un ‘rinnovamento dei costumi’ in chiave ecologica riguarda quindi l’internalizzazione della motivazione: da obbligo imposto dall’esterno, da richiesta di un’autorità, a dovere scelto che diviene obbligazione interiore rispetto a cui, nuovamente, come individuo, non ho scelta, ma rispetto al quale mi sento in pace; perché riguarda me, una mia decisione fondamentale assunta a monte come criterio per guidare i miei comportamenti.
Ho rinforzato questa distinzione, rispetto alla quale Naess pone meno l’accento, perché a mio avviso permette di comprendere meglio il secondo passaggio dall’azione morale (quella appena descritta) all’azione bella, che conduce oltre il criterio di obbligazione e abbraccia la dimensione dell’«inclinazione». Non compio una certa azione perché è virtuosa, perché è mio dovere farlo; la compio perché è esattamente ciò che per me è più naturale fare.
Naess riprende il Kant della metafisica dei costumi: «una bella azione è un atto moralmente completo, perché è benevolo. Un’azione benevola espande il nostro amore fino ad abbracciare la totalità della vita. Ci completa e ci perfeziona».
Il filosofo norvegese identifica in questo atteggiamento, profondamente integrato nell’identità individuale (e non nell’obbligazione deontologica), e quindi nella completa realizzazione di sé invece che nella limitazione della propria personalità. La completa realizzazione che si compie verso la transizione ecologica non più come gioco a somma zero, ma come punto di svolta naturale.
The great turning
Dovremmo progettare interventi volti a coltivare questa dimensione interiore delle persone, lasciando in capo a ciascuno la responsabilità di questo cambiamento. Solo allora potremo essere sicuri che si tratti di un rinnovamento autentico. Solo così potremo essere certi di investire le nostre energie nella terza corrente: the great turning.
Solo così colpa e sacrificio non saranno più necessari, e non domineranno le nostre azioni.