Dallo spreco alla trasformazione: una nuova geografia del valore alimentare

Lo spreco alimentare non è solo una questione di rifiuti, ma il sintomo di un sistema che perde valore in ogni fase della filiera. Il caso del Brasile evidenza le opportunità per una transizione circolare.

Autore

Giovanna Deltregia Martinelli, Elena Ferraioli

Data

3 Giugno 2025

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3 Giugno 2025

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Oltre la dicotomia cibo-rifiuto: definizioni che fanno la differenza

Ogni anno nel mondo si generano circa 1 miliardo di tonnellate di rifiuti alimentari, oltre il 50% dei rifiuti solidi urbani globali (UNEP, 2024)1. Se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe il terzo maggiore emettitore di gas serra dopo Cina e Stati Uniti (FAO, 2013)2. Nonostante l’impatto, resta marginale nelle politiche pubbliche e poco integrato nelle strategie climatiche.

Una delle ragioni principali di questa ‘disattenzione’ è la mancanza di una definizione condivisa e operativa di ‘spreco alimentare’. La distinzione tra alimento e rifiuto varia per culture, normative e modelli economici. Alcune legislazioni circoscrivono il ‘cibo’ ai prodotti destinati al consumo umano, escludendo scarti agricoli o prodotti invenduti, sebbene ancora commestibili.

Questa ambiguità concettuale ostacola la raccolta dati, la comparazione tra Paesi e la formulazione di politiche efficaci. Le definizioni della FAO – che distingue tra food loss (perdite nella produzione e distribuzione) e food waste (spreco nella vendita e consumo) – non sempre vengono recepite localmente. Il divario semantico e normativo indebolisce la governance e impedisce di riconoscere lo spreco alimentare come problema sistemico.

In un contesto globale segnato da crisi interconnesse, l’assenza di chiarezza concettuale e normativa ostacola una reale riduzione dello spreco. Maggiore coerenza definitoria e statistica è condizione necessaria per rafforzare la governance e riconoscere, fin dalle fasi iniziali, le potenzialità trasformative del cibo oggi escluso dai circuiti del valore.

Il concetto di valore nei sistemi alimentari

Questa prospettiva ad alto tasso di ‘spreco’ è connaturata al sistema alimentare urbano, costruito su una logica lineare: si produce, si distribuisce, si consuma, si smaltisce. Questo modello, che ha sostenuto la crescita economica, mostra oggi i suoi limiti. A ogni fase della filiera si generano perdite e inefficienze con impatti ambientali, squilibri socio-economici e sprechi di risorse. Il cibo che perde la sua funzione primaria di nutrimento viene spesso riclassificato come rifiuto, perdendo ogni riconoscimento di valore residuo.

Da queste criticità nasce l’esigenza di superare la tradizionale supply chain, orientata a efficienza e crescita, per abbracciare il paradigma della food value chain, già diffuso in ambito scientifico per promuovere la circolarità3 e valorizzare la pluralità di attori e valori nei sistemi produzione-consumo4. La food value chain punta a riconoscere e preservare il valore intrinseco del cibo lungo tutto il suo ciclo di vita, anche in prossimità dello scarto, andando oltre la sola dimensione economica.

I contributi più recenti in economia circolare, sostenibilità e pianificazione urbana promuovono una visione multidimensionale del valore, che tiene insieme aspetti materiali e immateriali, tangibili e simbolici. Nella gestione dello spreco urbano, a partire da una categorizzazione sulla base della letteratura sull’economia circolare, si possono individuare cinque prospettive interconnesse di valore:

  • Valore di consapevolezza: riconoscere lo spreco come fenomeno sistemico e culturale, legato a pratiche, abitudini e percezioni sociali.
  • Valore ambientale: considerare gli impatti di produzione, trasporto e gestione dei rifiuti, come emissioni, inquinamento e perdita di biodiversità.
  • Valore economico: evidenziare le perdite in risorse, costi di smaltimento e opportunità mancate di recupero e redistribuzione.
  • Valore sociale: riconoscere lo spreco come sintomo di disuguaglianze, in cui eccedenze e carenze coesistono.
  • Valore di rete: analizzare le interconnessioni tra attori, processi e luoghi della filiera, promuovendo una governance integrata e collaborativa.

Figura 1: Le cinque dimensioni del “valore” categorizzate sulla base della letteratura sull’economia circolare. Fonte: elaborazione grafica a cura delle autrici.

Ripensare il concetto di valore nei sistemi alimentari urbani significa attivare una trasformazione che va oltre l’efficienza tecnica: implica una revisione culturale e istituzionale del modo in cui si produce, si distribuisce, si consuma e si gestisce il cibo. In particolare, riguarda il modo in cui (come società) decidiamo cosa ha valore e cosa no, una linea sottile e spesso ambigua, se si considera che è difficile definire il momento esatto in cui un materiale con valore economico diventa un ‘rifiuto senza valore’5.

Il caso del Brasile: sfide e opportunità nel modo in cui si intende valore

Comprendere lo spreco alimentare attraverso la lente del ‘valore’ richiede attenzione al contesto culturale, sociale e politico in cui tale valore è costruito. Il Brasile, con i suoi oltre 8,5 milioni di km² e una marcata eterogeneità territoriale, è un caso emblematico per esplorare come i significati attribuiti al cibo e alla sua perdita influenzino pratiche quotidiane e politiche pubbliche. Applicare il quadro delle cinque dimensioni del valore – consapevolezza, ambientale, economico, sociale e di rete – permette di cogliere non solo le contraddizioni, ma anche le opportunità trasformative di un sistema in evoluzione.

La consapevolezza sullo spreco in Brasile è ancora disomogenea. Se da un lato le campagne di sensibilizzazione hanno aumentato l’attenzione pubblica, dall’altro persistono ambiguità legate alla comprensione istituzionale e culturale di termini come alimento (cibo), resíduo (residuo), rejeito (scarto), perda alimentar (perdita alimentare), desperdício alimentar (spreco alimentare) o lixo (spazzatura). Tuttavia, negli ultimi anni, strategie pubbliche, dati scientifici e iniziative di ricerca6 hanno contribuito a rafforzare il dibattito, fornendo una base per politiche più informate.

Sul piano ambientale, l’assenza di pratiche diffuse di compostaggio fa sì che la maggior parte dei rifiuti alimentari finisca in discarica, compromettendo la salute del suolo7. Eppure, il Paese vanta una lunga tradizione di studi scientifici in materia e in alcune città si stanno diffondendo esperienze di economia circolare, con progetti di compostaggio urbano e gestione integrata dei rifiuti organici.

A livello economico, lo spreco è legato a inefficienze logistiche e standard estetici8, che comportano costi elevati per le amministrazioni locali. Soluzioni come compostaggio e digestione anaerobica possono ridurre la spesa pubblica, generare fertilizzanti o energia rinnovabile e attivare percorsi virtuosi verso un’economia circolare9.

Dal punto di vista sociale, il paradosso è evidente: il Brasile è uno dei principali produttori alimentari globali10, ma oltre il 18% della popolazione vive in insicurezza alimentare11. Accanto al lavoro informale dei catadores, emergono esperienze di cooperazione e solidarietà che ridanno valore allo scarto. La normativa nazionale incoraggia la partecipazione e la governance collaborativa, sebbene l’attuazione resti disomogenea.

Infine, la dimensione di rete soffre ancora della scarsa integrazione tra attori e strumenti. L’esperienza del Lixão da Estrutural dimostra i rischi di interventi non partecipati. In positivo, politiche come il Programma Fome Zero (Programma Fame Zero) e il Programa Nacional de Alimentação Escolar (Programma di Acquisto di Alimenti) hanno promosso l’acquisto pubblico di alimenti da piccoli produttori, rafforzando legami tra produzione locale, sicurezza alimentare e governance multilivello12.

Il valore incorporato nelle diverse fasi della catena alimentare: distribuzione, consumo, destinazione, recupero

Lo spreco alimentare, come mostrato in precedenza, non è un evento isolato, ma l’esito di una sequenza sistemica di scelte e dinamiche culturali. Per comprendere dove si perde valore e come intervenire, è utile analizzare le quattro fasi chiave della catena alimentare: distribuzione, consumo, destinazione e recupero.

Nella distribuzione, il cibo entra nel circuito urbano ma anche nel rischio. Supermercati, mercati, filiere logistiche e centri di approvvigionamento sono i punti in cui le eccedenze si accumulano. Le cause principali sono previsioni errate, logiche promozionali aggressive, standard estetici elevati e assenza di canali alternativi per l’invenduto. Tuttavia, è proprio in questa fase che si possono attivare strumenti di recupero, come reti di donazione, piattaforme digitali e incentivi fiscali.

Il consumo, individuale e collettivo, è la fase più frammentata ma strategica. Agiscono qui pratiche quotidiane, percezione della scadenza, educazione alimentare e qualità delle informazioni. Mense scolastiche, cucine domestiche, ristoranti: ciascuno può diventare nodo critico o leva di cambiamento. Anche se resta un ‘buco nero’ nella tracciabilità, è l’ambito in cui si gioca la consapevolezza sul valore del cibo.

La destinazione è il momento in cui il cibo, diventando rifiuto, esce dal campo della responsabilità percepita. Eppure, le modalità di smaltimento fanno la differenza: raccolta indifferenziata o differenziata, discarica o trattamento organico. La carenza di infrastrutture e le difficoltà nella separazione alla fonte ostacolano percorsi virtuosi. Ma proprio in questa fase si può evitare la perdita definitiva della materia, avviandola verso nuovi usi.

Infine, nel recupero il valore può essere rigenerato secondo una logica circolare. Compostaggio, digestione anaerobica, bioenergia, fertilizzanti e packaging sono solo alcune delle strade possibili. Alcune richiedono innovazione tecnica, altre un maggior coinvolgimento territoriale. Questa fase solleva una domanda sistemica: stiamo davvero recuperando valore o solo reintegrando lo scarto in circuiti produttivi senza metterne in discussione le cause?

Osservare queste fasi come passaggi di trasformazione del valore aiuta a superare la visione dello spreco come effetto terminale e a restituire centralità ai luoghi e agli attori che possono fare la differenza. Individuare dove, come e da chi si perde valore è il primo passo per politiche capaci di rigenerarlo.

Prospettive di policy: raccomandazioni per una transizione circolare 

Se è lungo la catena del valore che il cibo perde ‘significato’, è lì che le politiche devono agire. Ma non basta correggere le inefficienze: bisogna ripensare l’intero sistema. Lo spreco alimentare è una lente che rivela le fragilità di un modello che separa ciò che ha valore da ciò che non ne ha più. Una vera transizione circolare richiede più di un’agenda ambientale: implica un cambiamento culturale e politico che metta al centro la giustizia ecologica, sociale ed economica. Significa trattare il cibo come bene relazionale, e non solo merce, riconoscendo nello scarto una risorsa ancora attiva: per il suolo, l’energia, il welfare, la cittadinanza.

Perché ciò accada, servono politiche integrate che superino la frammentazione tra settori e adottino standard comuni per dati e monitoraggio. È cruciale valorizzare le buone pratiche, cogliere le specificità locali e prevedere regolamentazioni flessibili, adattabili ai contesti. Soprattutto, serve una nuova idea di valore, capace di orientare scelte pubbliche e modelli economici verso maggiore coerenza sistemica.

Solo attraverso una ridefinizione condivisa dei criteri di utilità, priorità e destinazione sarà possibile costruire strategie realmente trasformative, capaci di rispondere alla complessità ambientale e sociale delle città e di rafforzare l’adattività degli ecosistemi urbani di fronte al cambiamento climatico.

Note

  1. United Nations Environment Programme, Food Waste Index Report 2024, in https://wedocs.unep.org/20.500.11822/45230
  2. B. Lipinski, C. Hanson, J. Lomax, L. Kitinoja, R. Waite e T. Searchinger, Reducing Food Loss and Waste, in http://www.worldresourcesreport.org, 2013.
  3. L. Batista, M. Bourlakis, P. Smart e R. Maull, In Search of a Circular Supply Chain Archetype – A Content-Analysis Based Literature Review, in “Production Planning and Control”, 6(6), pp. 438–451, 2018
  4. FAO, Developing Sustainable Food Value Chains: Guiding Principles, in https://openknowledge.fao.org/server/api/core/bitstreams/e47d2ad8-5910-435e-a6b4-92dda2367dc7/conten, 2014
  5. J. Korhonen, A. Honkasalo e J. Seppälä, Circular Economy: The Concept and its Limitations, in “Ecological Economics”, 143, pp. 37–46, 2017
  6. Tra queste: la Politica Nazionale sui Rifiuti Solidi (Política Nacional de Resíduos Sólidos, PNRS) del 2010; la Risoluzione CONAMA n. 481/2017; e le linee guida promosse da enti come CAISAN.
  7.  J. Parfitt, M. Barthel e S. Macnaughton, Food waste within food supply chains: quantification and potential for change to 2050, in “Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences”, 365(1554). https://royalsocietypublishing.org/doi/epdf/10.1098/rstb.2010.0126, 2010.
  8. F. Schneider e M. Eriksson, Food Waste (and Loss) at the Retail Level, in C. Reynolds, T. Soma, C. Spring e J. Lazell (a cura di), Routledge Handbook of Food Waste, Taylor & Francis, 2020, pp. 114–128.
  9. E. Papargyropoulou, R. Lozano, J. Steinberger, N. Wright e Z. Ujang, bin. The food waste hierarchy as a framework for the management of food surplus and food waste, in “Journal of Cleaner Production”, 76, 2014, pp. 106–115.
  10. OCDE-FAO Perspectivas Agrícolas 2015-2024: Resumo, in https://openknowledge.fao.org/server/api/core/bitstreams/ef018d4b-5a71-4987-bd6c-82a82e0dff1d/content
  11. FAO, Suite of Food Security Indicators. FAOSTAT, in https://www.fao.org/faostat/en/#data/FS/visualize, 2024.
  12. F. Menezes, S. Porto e C. Grisa, Abastecimento alimentar e compras públicas no. Brasil: um resgate histórico, 2015.
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