È insensato continuare a confidare nel mito di una crescita illimitata, misurata in base a quel dio-feticcio che è il prodotto nazionale lordo: una crescita che oltretutto provoca (in termini di rifiuti, desertificazione, inquinamento, consumo del territorio eccetera) ingenti costi sociali…
Tra i nostri più celebri attivisti, in grado di lasciare un segno indelebile nella cultura ambientalista italiana, Antonio Cederna è stato tra i primi intellettuali a denunciare gli abusi sui territori del Belpaese del Secondo dopoguerra.
Nato a Milano il 17 ottobre 1921, si laurea a Pavia nel 1947 e consegue la specializzazione in archeologia a Roma nel 1951. Dopo gli studi si dedica a capire come è fatto un territorio, come si governano le sue trasformazioni, chi ha il compito di disegnarne gli assetti. E si interroga anche sul ruolo della storia nei depositi di cultura e arte, su come si custodiscono i beni culturali e perché si degradano, e su quale valore rivestano nel quotidiano per i cittadini. Per l’archeologia nutrirà una passione per tutta la vita, ma la sua strada prenderà una china diversa, quella del feroce ambientalista, straniero e alieno al suo presente.
Le sue aspre accuse sul degrado ambientale si sono espresse in campagne di stampa quarantennali sulle maggiori testate italiane: Il Mondo (1950-1966), Il Corriere della sera (1967-1981), La Repubblica e L’Espresso (1981-1996). Ogni pezzo è frutto di una minuziosa attività di documentazione.
Il suo primo articolo, La terra di nessuno, appare su Il Mondo di Pannunzio il 2 luglio 1949. È la prima denuncia sulla decadenza delle bellezze artistiche e sul degrado del paesaggio che l’Italia sta subendo nella ricostruzione postbellica. Opporsi al verbo dello sviluppo devastatore era una scelta più unica che rara.
Negli anni Cinquanta, il bisogno di ripristinare il patrimonio edilizio e fornire alloggi alla popolazione stava diventando prioritario, e la situazione abitativa precaria, con un numero insufficiente di vani per gli abitanti già prima della guerra, aggravava ulteriormente questa esigenza.
La costruzione di nuovi edifici appariva così come una soluzione ideale per stimolare l’economia, contrastando l’alto tasso di disoccupazione e creando posti di lavoro sia direttamente nel settore edile sia nell’indotto.
In questo contesto emergono però importanti criticità che non sfuggono alla penna di Cederna. Lunga infatti è la sua battaglia contro gli interessi speculativi in campo edile e contro lo sfruttamento della necessità di ricostruzione durante il boom economico per realizzare profitti a scapito del patrimonio storico e paesaggistico delle città. La costruzione di edifici moderni in contesti antichi, gli sventramenti di aree storiche e la cementificazione di aree verdi vengono denunciati come chiari esempi di questo scempio.
«Gli anni Cinquanta sono quelli della ricostruzione e dell’espansione. Io ricordo il centro di Milano, piazza San Babila, piazza Missori, che venivano sventrate e rifatte, si raddrizzavano strade, si cancellavano piazze, magari anche chiese, per metterci il vetro, il cemento, il marmo, l’alluminio. […] L’architettura minore, quella che dà il tono a una città, rendendola diversa, unica, veniva sostituita da quell’edilizia anonima, brutta, uniforme, che più di tutti ha sfigurato Milano».
L’intensa attività edilizia di quegli anni, non solo favoriva gli interessi speculativi anteponendo il profitto privato all’interesse collettivo, ma generava un processo di trasformazione urbana spesso caotico e dannoso per il patrimonio artistico e ambientale del Paese.
«Cominciamo da una sentenza della Corte Costituzionale: l’edificabilità è connaturata alla proprietà del suolo. Pensi al disastro che ha reso possibile. Perché in Italia, negli anni del suo massimo sviluppo, non ha avuto né leggi, né regole, né controlli, né piani. Tutto è successo, travolgendo, cancellando, snaturando. E dietro al disastro, quelle semplicissime parole: l’edificabilità è connaturata alla proprietà del suolo».
La città più indagata da Cederna è certamente Roma. L’ambientalista militante punta il dito contro le grandi famiglie proprietarie di vasti territori nella Capitale e la Società Generale Immobiliare, accusandole di orientare lo sviluppo della città a proprio vantaggio. Denuncia gli intrecci tra amministrazione capitolina, finanza vaticana e gruppi di potere che favoriscono la speculazione edilizia. La distruzione delle ville patrizie, la costruzione di edifici imponenti in aree verdi come Monte Mario e l’aggressione al paesaggio dell’Appia Antica sono per lui esempi lampanti di come la speculazione stia soffocando la città.
Cederna denuncia quindi la mancanza di una visione organica per lo sviluppo di Roma, criticando la scelta di concentrare le funzioni direzionali nel centro storico, sovraccaricandolo di traffico e rendendo necessari sventramenti e nuove costruzioni. Propone invece un modello di sviluppo policentrico, con la creazione di nuovi centri direzionali in aree decentrate.
Cederna non è contrario all’architettura moderna in sé, ma ne critica l’utilizzo strumentale per giustificare gli sventramenti e la costruzione di edifici fuori scala nel centro storico. Ribadisce la necessità di una ‘urbanistica moderna’ che sappia coniugare il rispetto del patrimonio storico con le esigenze della città contemporanea. Contro questa modernità, a suo modo di vedere, si trovano i settori della società e dell’economia più antiquati, legati al mondo della rendita fondiaria. La costruzione dell’Hilton, presentata come un simbolo di modernità, viene vista da Cederna come un esempio di come il progresso venga spesso associato alla cementificazione indiscriminata. L’albergo, con la sua mole imponente, sfigura il paesaggio di Monte Mario, una delle colline più significative di Roma. La sua presenza è visibile da ogni punto della città, compromettendo l’armonia del panorama romano. La costruzione dell’Hilton è l’emblema di come la città stia crescendo ‘a macchia d’olio’, senza un piano regolatore che ne orienti l’espansione in modo equilibrato e sostenibile.
«Si pretende che con la costruzione dell’albergo Hilton a Monte Mario si contribuisce a migliorare la deficiente attrezzatura alberghiera di Roma (25.000 letti, 5.000 bagni) in vista del crescente afflusso di stranieri, di congressi internazionali, delle Olimpiadi, ecc. Ma che c’entra Monte Mario? Perché allora non trasformiamo in albergo il Colosseo o in giardino di delizie il Palatino? Vale la pena di liquidare un colle ancora in parte ameno per il comodo di poche centinaia di turisti (gli appartamenti saranno 380)?»
La costruzione dell’Hilton comporta la distruzione di parte del verde di Monte Mario, aggravando un problema già evidente in altre zone della città. Di Cederna è la battaglia per l’importanza del verde come elemento fondamentale del paesaggio urbano, capace di migliorare la qualità della vita dei cittadini e di mitigare l’impatto ambientale della città.
Il suo obiettivo, in ultima istanza, è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una nuova coscienza ambientale che metta al centro la tutela del patrimonio storico e paesaggistico.
La natura è femmina, scriveva in un articolo del 1977, come pure la tutela, la salvaguardia e la conservazione. Il progresso è invece maschio. E una cultura «portata a pensare che lo sviluppo quantitativo (quale che sia) sia sempre un bene», ripete continuamente che compito dell’uomo, ossia del maschio, è quello di sottomettere la natura-femmina. Per cui chi difende quest’ultima «è subito spiazzato, considerato un esteta, un’anima bella, un romantico, una cassandra, una zitella, un diverso, insomma un’entità femminea e femminile, con tutti gli inconvenienti del caso, isterismo, furori uterini, menopausa».
È da Cederna che comincia la storia del movimento ambientalista italiano. Un movimento che almeno fino alla metà degli anni Ottanta è minoritario e ignorato dai partiti.
Cederna ha contribuito a formare un’idea stessa di tutela, liberandola da concezioni e giudizi di valore puramente impressionistici o estetici, dimostrandone il significato sociale, economico e civile ed evitando di attribuirle un valore di pura conservazione. È fra coloro che formulano un diverso concetto di centro storico, proponendo la sua tutela integrale e non solo delle parti monumentali. Questa impostazione, fissata nella Carta di Gubbio (1960) – dichiarazione che sancisce la nascita dell’Associazione Nazionale dei Centri Storico Artistici – crea in Italia la consapevolezza collettiva che i centri storici non vadano alterati fisicamente.
Animato da un’idea forte di bene comune, è stato consigliere nazionale di Italia Nostra dal 1960 e presidente della sezione romana dal 1980 fino alla sua morte.
Punto di riferimento per associazioni, comitati di cittadini e singole persone, ha raccolto segnalazioni e denunce provenienti da tutta Italia. Ha fatto parte due volte del consiglio comunale di Roma, dal 1990 al 1994, per cui gli è stato chiesto di candidarsi alla carica di sindaco.
Parlamentare dal 1987 al 1992, ha contribuito alla stesura di leggi per la tutela del patrimonio naturale tra le quali quella della difesa del suolo, quella per i parchi nazionali e quella per Roma Capitale.
Per tutta la sua esistenza, si è battuto per la tutela dell’Appia Antica, alla cui difesa ha dedicato ben 140 articoli. Muore nell’agosto 1996; sei mesi dopo viene festeggiata la prima domenica a piedi sull’Appia.
Per approfondire vedi:
Archivio Antonio Cederna: https://www.archiviocederna.it/
M. Antonelli Carandini, V. Mannucci (a cura di), Antonio Cederna. Archeologo, giornalista, uomo, poeta. Scritti per Roma, Palombi Editori, 2008F. Erbani, Antonio Cederna: una vita per la città, il paesaggio, la bellezza, Corte del Fontego, 2013