Domenica 4 giugno 1944, Roma. Tardo pomeriggio. Nel cielo terso, la luce della luna rischiara l’incedere di una fila di uomini al bordo della strada sterrata. Indossano elmetti e divise impolverate. Il fucile ondeggia sulla spalla destra. Il passo è stanco ma sostenuto. Le loro ombre si allungano sui fili d’erba del campo che costeggiano con i loro stivali. Sullo sfondo rovine di antiche vestigia e della guerra in corso. Non ci sono alberi. Carcasse di animali sparse nei campi incolti. Il gruppo si ferma. Alcuni uomini confabulano fra di loro. Un cenno di capo e un gruppo prende la direzione della città eterna. «Sul cammino ci imbattemmo in alcune sacche di resistenza tedesca, ma al tramonto eravamo già dentro Roma. Finalmente, dopo mesi di aspre battaglie e lunghe marce sotto il sole e la pioggia! Fummo ben accolti dalla gente. Molta della quale aveva parenti negli Stati Uniti. Ci fermammo a dormire da loro. Ci offrirono anche degli abiti civili per rimanere nascosti fino all’arrivo del grosso del contingente». Il professor Robert Solow interrompe per un attimo il racconto. Si sistema i suoi grandi occhiali, alza il bicchiere e sorseggia un po’ di acqua. Siamo nel giugno del 2005 a Iseo, in provincia di Brescia. Si sta svolgendo la Summer School presso l’Istituto I.S.E.O. (Istituto di Studi Economici e per la Occupazione). Gli studenti della scuola estiva non solo hanno l’opportunità di assistere alle lezioni di importanti professori e premi Nobel, ma hanno anche il privilegio di poter passare del tempo insieme a loro in momenti conviviali e in alcune visite guidate. Oggi è il giorno del professor Robert Solow, premio Nobel per l’Economia nel 1987 per «i suoi contributi alla teoria della crescita economica», nonché presidente dell’Istituto I.S.E.O.
Ho avuto l’onore di incontrarlo da studente proprio in quel caldo giugno 2005. L’organizzazione della Summer School prevedeva una visita a Venezia. Lì avremmo dovuto incontrare il professore per poi tornare insieme a Iseo. Per me voleva dire vedere per la prima volta uno dei più importanti economisti della storia. Un gigante. Le teorie che prendono il suo nome sono studiate dagli studenti di tutto il mondo su tutti i libri di testo di Economia e Macroeconomia. È talmente importante che il modello che deriva dalle sue teorie prende il suo nome: il modello di Solow.
Nato il 23 agosto 1924 a Brooklyn, era il primo di tre figli. Il padre Milton era un commerciante di pellicce che dovette affrontare il forte impatto economico della Grande Depressione. La crisi del 1929 segnò profondamente la vita di Robert Solow e i suoi futuri lavori.
Appoggia il bicchiere sul tavolo. L’ombra azzurra del vetro si irradia sulla tovaglia bianca. Il professor Solow allunga la mano e accarezza il braccio di sua moglie Barbara. I due si guardano per un attimo con un cenno di intesa. I loro occhi ricordano immagini in bianco e nero di quei lontani giorni di straordinaria intensità: «Avevo nove anni quando, nel 1933, l’economia americana e globale toccò il fondo. I problemi economici che qualche anno prima sembravano distanti erano diventati parte della nostra vita e invidiavamo le persone che potevano garantirsi un posto fisso. Come molti figli della Grande Depressione, ero curioso di sapere cosa muoveva la società e l’economia. I miei primi studi sono stati in sociologia e antropologia, oltre a economia elementare». Solow studiò nelle scuole statali di Brooklyn. Preferiva il softball ai libri ed era destinato al Brooklyn College finché un insegnante non individuò il suo potenziale, ampliò le sue letture, anche verso i grandi romanzieri francesi e russi del XIX secolo e lo incoraggiò a iscriversi all’università. Ottenne una borsa di studio e iniziò a frequentare Harvard nel 1940, all’età di sedici anni. «Poi nel dicembre del 1941 ci fu Pearl Harbor», un triste sorriso increspa il volto del professor Solow, un lungo sospiro a ricordare immagini di morte e distruzione. Una nube copre il sole e per un attimo il tavolo da pranzo si oscura. «Quando nel 1942 compii diciott’anni, decisi che non potevo rimanere a fare lo studente mentre c’era una guerra, così mi arruolai. Prima mi mandarono in Nord Africa. Poi sbarcammo in Sicilia nel luglio del 1943. Rimasi in Italia due anni, fino alla fine della guerra».
Durante il suo primo anno ad Harvard, Robert Solow aveva studiato la lingua mentre condivideva la stanza con un rifugiato tedesco. Proprio per questa sua conoscenza gli fu assegnato il compito di decodificare e tradurre le comunicazioni intercettate del comando nazista. «Delle volte stavamo rinchiusi per ore in un camion per captare il segnale. Eravamo molto bravi. Il trucco era avvicinarsi al nemico, ma non troppo. Abbastanza vicino da captare le trasmissioni, ma non così vicino da rischiare la cattura. In questo modo potevamo comprendere informazioni importantissime; per esempio per impedire la consegna delle munizioni».
Robert Solow si ferma per un istante e chiede un caffè. «Nel luglio del 1945 mi diedero un permesso da passare a casa. Mi imbarcai a Napoli e durante la traversata arrivò la notizia della bomba atomica. Tornai finalmente a casa definitivamente. Nell’estate mi sposai e a settembre tornai all’università. In quel periodo mia moglie si era laureata in economia. Mi disse che aveva trovato il corso di studi molto interessante». Il professore osserva sua moglie con dolcezza. «Decisi di farlo anche io». Al ritorno ad Harvard, Solow studiò con il famoso economista russo (e futuro premio Nobel) Wassily Leontief. «Successivamente mi venne assegnato l’ufficio accanto a quello di Paul Samuelson (premio Nobel 1970). Iniziarono così quelli che ormai sono quasi quarant’anni di conversazioni che per me sono state una parte molto importante della mia vita professionale».
Mi ricordo che quando, in quell’estate del 2005, andammo a prenderlo a Venezia per poi portarlo alla scuola estiva di Iseo, lui e sua moglie salirono sull’autobus e si sedettero proprio dietro di me. Iniziai a pensare a una domanda intelligente da rivolgergli. «Di fronte a un Nobel, qualsiasi domanda sarà sbagliata o, comunque, troppo banale», pensai. E rimasi a lungo in silenzio. Riflettei quindi sulle sue teorie. Il suo modello venne introdotto nel 1956 in un articolo intitolato A Contribution to the Theory of Economic Growth e rivoluzionò il paradigma delle precedenti teorie della crescita, nate dopo la grande Depressione degli anni Trenta e la Seconda Guerra Mondiale. Prima dei lavori di Solow si riteneva che la crescita economica dipendesse dall’incremento degli input di capitale e lavoro. «Ho poi scoperto con mia grande sorpresa che la principale fonte di crescita non erano gli investimenti di capitale ma il cambiamento tecnologico», mi spiegò il professore mentre l’autobus sterzava bruscamente, immettendosi in autostrada. «Ogni aumento della quantità di capitale fa aumentare la produzione in misura inferiore rispetto alla quantità precedente. E maggiori risparmi e investimenti non sono in grado di influenzare il tasso di crescita a lungo termine dell’economia. La crescita è in larga parte guidata dal progresso tecnologico. Ed è possibile anche calcolarne il peso: esso infatti è l’incremento di reddito che non risulta spiegato dall’aumento del capitale e del lavoro [il cosiddetto “residuo di Solow”]». Riflettei sull’effetto dirompente di questo risultato: governi, società e imprese avrebbero dovuto quindi puntare sulla istruzione e sui finanziamenti alla ricerca per stimolare la crescita. Come infatti mi disse: «Ciò che avevo in mente era migliorare la tecnologia, ma includeva anche il miglioramento delle competenze». Il modello di Solow in effetti rivoluzionò la teoria macroeconomica. Il lavoro di Solow fu subito riconosciuto come una svolta nel campo. Nel 1961 ricevette la medaglia John Bates Clark come miglior economista americano sotto i quarant’anni. Successivamente nel 1999 ottenne la medaglia nazionale della scienza. È stato uno dei pochi economisti a ricevere tale onore. Fra il 1961 e il 1962 fu membro dello staff del Council of Economic Advisers del presidente degli Stati Uniti, sviluppando le politiche economiche di Kennedy e del suo successore, Lyndon Johnson. «Anche in questo caso il ruolo di mia moglie è stato determinante!». Il professor Solow stringe nuovamente la mano della moglie che sorride. «Una sera del gennaio 1961, quando oramai eravamo tutti a letto, squillò il telefono. Dall’altra parte della cornetta c’erano tre membri del Consiglio dei Consulenti Economici di Kennedy, cioè Walter Heller, Jim Tobin e Kermit Gordon, che mi dissero che mi volevano con loro. Risposi che ci avrei riflettuto. Esposi poi i miei dubbi a mia moglie che, replicò facendomi osservare che dopo anni in cui mi lamentavo delle politiche espresse dai governi precedenti, era giunta l’ora che io smettessi di parlare e iniziassi a fare. Il giorno successivo accettai. Fu un periodo estremamente interessante in cui mi feci un sacco di esperienza sul campo ma anche una idea eccellente di come si forma la politica economica di un governo». Oltre all’importantissimo impatto della sua ricerca, il professor Solow contribuì anche alle carriere di un numero sorprendente di futuri economisti, tra cui quattro premi Nobel: Peter Diamond, Joseph E. Stiglitz, William D. Nordhaus e George A. Akerlof. Successivamente, nel 2014, il presidente Barack Obama conferì a Solow la Medaglia Presidenziale della Libertà, la più alta onorificenza civile della nazione.
Finalmente l’autobus arrivò a Iseo e il viaggio terminò. La mattina seguente ebbi il privilegio di pranzare con Solow. «Il giorno dopo del nostro arrivo a Roma, il 5 giugno 1944, le truppe della V armata dell’esercito americano entrarono ufficialmente a Roma, ponendo fine ai 271 giorni di occupazione tedesca. Fummo svegliati da un gran trambusto e quando ci affacciammo alla finestra, vedemmo i nostri carri armati entrare in città. Lungo la strada le persone applaudivano e gridavano festanti. Dalle jeep venivano distribuiti viveri e venivano buttate barrette di cioccolato alla gente. C’erano persino autotreni carichi di birra. Sugli edifici pubblici e dalle finestre sventolavano le bandiere italiane. Ovunque si formavano crocchi di curiosi e di ragazzini che volevano salire sulle jeep. L’atmosfera era festosa e la folla gioiva lanciando dei fiori. I miei commilitoni rimasero stupiti nel vedermi festeggiare, con abiti civili, il loro ingresso nella città. In quei gironi si stava facendo la storia». Robert Solow gira il cucchiaino nella tazzina. I suoi occhi sembrano guardare l’orizzonte, pensierosi. Poi, finalmente, il suo volto si rasserena e abbozza un sorriso. Il pranzo è finito.
Il 21 dicembre 2023 il lungo cammino di Robert Solow si è interrotto, lasciando però moltissime pagine di storia scritte e vissute.