Società benefit: modello di business per lo sviluppo sostenibile

La società benefit rappresenta uno dei modelli di business più interessanti per guidare la trasformazione del sistema imprenditoriale e, a otto anni dalla sua introduzione, uno dei meno conosciuti.

Autore

Matteo Taraschi

Data

25 Ottobre 2023

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7' di lettura

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25 Ottobre 2023

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Le società benefit sono imprese «ibride»1 che «nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse» (articolo 1, comma 376, legge n. 208/2015).

Il termine benefit, dunque, è divenuto identificativo di quel modello di business che, avendo come protagonista i tipi sociali tradizionali (i.e.; società di persone e società di capitali), trascende la ricerca del profitto per coniugarlo con il perseguimento di obiettivi ulteriori e l’agire sostenibile, responsabile e trasparente2. Infatti, il portato ‘rivoluzionario’ della società benefit risiede nel superamento della rigida dicotomia tra attività for profit e attività non profit3, affrancando le tematiche della sostenibilità dalla galassia degli enti non profit. Pertanto, con un deciso cambio di impostazione rispetto al passato, il legislatore, ispirandosi al concetto di social enterprise4, alla Model law di B Lab e alle esperienze legislative statunitensi sulle benefit corporation5, ha dotato l’Italia di un istituto giuridico all’avanguardia capace di guidare e sostenere la transizione da «welfare state a welfare society»6

Quanto agli aspetti principali del modello7, le società benefit si caratterizzano per:

  • il perseguimento di un duplice scopo. Le società benefit devono indicare nell’oggetto sociale gli scopi di beneficio comune, sia generale (operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti degli stakeholder) sia specifico (il perseguimento una o più specifiche finalità di beneficio comune);
  • l’obbligo di bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi degli stakeholder. Gli amministratori sono sottoposti a obblighi ulteriori rispetto a quelli previsti per i tipi sociali tradizionali. Si tratta, in estrema sintesi, di conciliare il perseguimento del profitto con le finalità di beneficio comune8;
  • la nomina di un soggetto responsabile delle funzioni e dei compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune di cui al comma 380. Il «responsabile del perseguimento dello scopo di beneficio comune» rappresenta una delle figure certamente più innovative introdotte dalla normativa. Tale figura viene nominata dagli amministratori (ma non necessariamente è anch’esso un amministratore) e svolge un ruolo fondamentale nel declinare lo svolgimento dell’attività di impresa e il perseguimento del profitto secondo le logiche della sostenibilità proprie delle società benefit; 
  • la redazione di una relazione annuale concernente il perseguimento del beneficio comune da allegare al bilancio e pubblicare sul sito internet della società. Il report contiene «a) la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuati dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune […]; b) la valutazione dell’impatto generato utilizzando lo standard di valutazione esterno […]; c) una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo» (articolo 1, comma 382, legge n. 208/2015);
  • il controllo esercitato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in materia di pubblicità ingannevole e in materia di pratiche commerciali scorrette. 

I numeri del fenomeno (just a glimpse) e le sue criticità

A quasi otto anni dall’entrata in vigore della normativa, si contano circa 3.164 società benefit in Italia9, con un aumento del 21,69% rispetto al 202210

Quanto alle major figures utili a descrivere il fenomeno benefit, si segnala che:

  • il valore totale della produzione delle società benefit supera i 37 miliardi di Euro11
  • sono 162.398 gli addetti totali; 
  • il 97,28% delle società benefit hanno la forma della società di capitali;
  • circa il 67% delle società benefit ha sede nel Nord Italia a dispetto del 21% nel Centro e il 12% nel Sud Italia; e
  • circa il 75% sono microimprese, il 16% sono piccole imprese, il 7% sono medie imprese, e solo 2% sono grandi imprese12.

I dati riportati lasciano spazio ad una serie di considerazioni. In primo luogo, sebbene il numero delle società benefit sia in costante crescita, esso non sembra essere soddisfacente ove si tenga in considerazione il numero complessivo delle società presenti in Italia (oltre i 4 milioni13).

In secondo luogo, la localizzazione geografica delle società benefit vede confermata una tendenza di sviluppo tipica della storia italiana con una netta prevalenza di società benefit nel Nord Italia. Nel mentre, Centro e Sud Italia, sebbene con alcune meritevoli eccezioni (si consideri che la Puglia è la terza regione per numero di società benefit) sembrano ancora inseguire il fenomeno benefit piuttosto che guidarlo14.

Resta aperto alla valutazione il dato relativo alla composizione dimensionale delle società benefit. Infatti, sebbene, come evidenziato da recenti studi, maggiore è la dimensione d’impresa maggiore è la spinta verso l’adozione di comportamenti orientati sia alla sostenibilità ambientale sia a quella sociale15, il tessuto imprenditoriale italiano è tradizionalmente composto da microimprese (oltre il 75% del totale)16. Pertanto, per quanto l’impatto complessivo possa essere limitato, l’affermazione del modello benefit passa indubbiamente dalle MPMI (‘micro-piccole-medie-imprese’). 

Ai rilievi che si possono muovere sulla base dell’osservazione dei dati sopra riportati, seguono quelli relativi al modello in sé. In particolare, si intende affrontare le criticità relative a (i) la relazione concernente il perseguimento del beneficio comune (anche, «relazione d’impatto»); e (ii) la «nuova» governance societaria prevista dal modello benefit. 

Con riferimento alla relazione d’impatto, gli aspetti più problematici sono rappresentati dall’assenza (a) di un processo di revisione di tipo contabile e di valutazione della performance; (b) di una metodologia standardizzata per la valutazione dell’impatto sociale e ambientale obbligatoriamente utilizzabile dalle società benefit; e (c) di un sistema di enforcement capace di assicurarne il rispetto delle norme relative alla relazione d’impatto. Peraltro, come conseguenza di quanto precede, l’assenza di standard rigorosi e uniformi per la misurazione e rendicontazione delle performance delle società benefit, relativamente ai loro obiettivi di beneficio comune, comporta un aumento del rischio delle pratiche di greenwashing17

Con, riguardo alla governance proposta dal modello benefit, come si è detto, gli amministratori sono tenuti a operare un bilanciamento tra scopo di lucro e beneficio comune. In assenza di parametri chiari e definiti che guidino questa attività vi è l’eventualità18 che ne derivi un ampliamento delle responsabilità (pur in presenza del soggetto responsabile del perseguimento del beneficio comune) nel caso in cui il bilanciamento effettuato venga considerato insoddisfacente dagli azionisti con le conseguenze che è già avuto modo di osservare nella prassi19.

Un ulteriore riflessione può, infine, essere sviluppata in merito all’effettiva comprensione di «cosa sia» una società benefit. Infatti, chi si avvicina per la prima volta al tema sconta la notevole confusione esistente tra concetti profondamente diversi. Si pensi, alle pratiche volontarie appartenenti al mondo della CSR; ai non financial report20; ai report di sostenibilità delle imprese21; alle certificazioni rilasciate da enti non profit.

A creare le maggiori difficoltà è il confronto con le B Corp. Infatti, B Corp è la certificazione rilasciata da B Lab alle imprese che hanno raggiunto una determinata performance nel campo della sostenibilità ambientale e sociale e misura «a company’s entire social and environmental impact»22. La confusione, dunque, risiede nella sovrapposizione dei termini B Corp e società benefit sulla base dell’affinità degli scopi che entrambe si prefiggono, sebbene radicale sia la differenza in merito alle modalità con cui gli stessi sono perseguiti. Infatti, B Corp certifica la performance di un’impresa in termini di sostenibilità, mentre la società benefit ne stabilisce lo status giuridico. Tuttavia, come conseguenza di questa impropria associazione, le società benefit sono molto spesso vittime di critiche che non le riguardano direttamente23

La prospettiva benefit per lo sviluppo sostenibile

In un’Europa in cui si susseguono interventi legislativi volti a guidare la trasformazione del sistema economico in un’ottica sostenibile e circolare, piuttosto che retrocedere, la società benefit deve vivere una fase di rilancio. Tale fase, tuttavia, passa necessariamente dall’affrontare le critiche che si sono rilevate nel paragrafo che precede. In particolare, per quanto concerne: 

  • i numeri di diffusione del modello benefit. È necessario perseguire una politica di incremento delle società benefit anche attraverso la previsione di incentivi fiscali, di percorsi preferenziali per l’accesso al credito, nonché di criteri premiali nei rapporti con la pubblica amministrazione;
  • la relazione d’impatto. Appare essenziale predisporre uno standard di valutazione comune e rendere obbligatoria la verifica dei risultati ottenuti mediate una procedura di revisione ad hoc capace di valutare le performance in materia ambientale e sociale;
  • il bilanciamento tra scopo di lucro e beneficio comune. Occorre chiarire (anche in via interpretativa) il contenuto degli obblighi gravanti sugli amministratori di società benefit. In quest’ottica, potrebbe essere utile prevedere statutariamente processi decisionali trasparenti con il coinvolgimento diretto degli stakeholder (e.g.; attraverso consultazioni preliminari o l‘acquisizione di pareri da enti rappresentativi dei loro interessi24);
  • la difficile distinzione tra «certificazione» e società benefit. La scelta di diventare benefit va oltre la semplice decisione volontaria di misurare una performance rappresentando la decisione fondamentale di adottare un approccio all’attività d’impresa che è guidato da valori e sostenuto da azioni mirate a cambiare le logiche tradizionali del mercato, incidendo, dunque, sullo stesso DNA societario. In tal senso, risulta fondamentale l’attività di comunicazione e racconto di ‘cosa sia’ il modello benefit al fine di evidenziarne caratteristiche e differenze rispetto ad altre esperienze25.

Alla luce della sensibilità del mercato e delle istituzioni europee (e non) per le tematiche della sostenibilità cui si accennava e al netto delle critiche cui si è tentato di dare risposta, la società benefit rappresenta uno strumento a disposizione degli imprenditori per guidare questa fase di trasformazione e orientare, nel medio e nel lungo periodo, le logiche di mercato.

Infatti, solo un modello di business capace di perseguire congiuntamente profitto e una o più finalità di beneficio comune, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti delle persone, dell’ambiente e degli stakeholder sembra poter affrontare le dinamiche di un mercato in costante evoluzione assicurando sia la sostenibilità in termini sociali e ambientali sia la sostenibilità in termini economici e assorbendo i costi di uno sviluppo normativo che tende all’imposizione di nuovi obblighi e che, tuttavia, sono geneticamente inscritti nella società benefit.

Note

  1. Per un attento studio su tali modelli di business ibridi conducendo un’analisi economico-giuridica non classica,L. Ventura, Philanthropy and the For-profit Corporation: The Benefit Corporation as the New Form of Firm Altruism, in “European Business Organization Law Review”, 23,2022, 603–632.
  2. Sul punto, basti, in questa sede, richiamare l’intenso dibattito dottrinale sulla possibilità o meno per le società non benefit di tenere in considerazione gli interessi di stakeholder diversi dagli azionisti, inter alios, C. Angelici, La società per azioni e gli ‘altri’, in R. Sacchi (a cura di), L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Pier Giusto Jaeger, Giuffré, Milan, 45–62; F. Denozza, La frammentazione del soggetto nel pensiero giuridico tardo-liberale, in “Rivista Del Diritto Commerciale e Del Diritto Generale Delle Obbligazioni”, 112, pp. 13–47.
  3.  Relazione illustrativa al disegno di legge, n. 1882, in www.senato.it. 
  4. P. Venturi e F. Zandonai (a cura di), L’impresa sociale in Italia. Pluralità dei modelli e contributo alla ripresa, Rapporto Iris Network, Milano, 2012.
  5. Si fa riferimento, in particolare al Public Benefit Corporation Act entrato in vigore nello Stato del Delaware il 1° agosto 2013. Testo di legge reperibile presso: https://corp.delaware.gov/Corporations_2015%20Annual%20Report.pdf.
  6.  L’espressione si deve a: G. Castellani, D. De Rossi, L. Magrassi e A. Rampa, Le Società Benefit (Parte II). In requiem alle imprese sociali, Fondazione Nazionale dei Commercialisti, 2016.
  7. Per una panoramica completa sul tema, B. Bertarini, La società benefit: Spunti di riflessione sulle nuove prospettive del settore non profit, Diritto e Giustizia, 14, 2016, 1–2; G. Castellani, D. De Rossi, L. Magrassi e A. Rampa, op. cit.; G. Riolfo, The new Italian benefit corporation, in “European Business Organization Law Review”, 21(2), 2020, 279-317; G. Mion, Organizations with impact? A study on Italian benefit corporations reporting practices and reporting quality, in “Sustainability”, 12(21), 2020, 9038; Assonime, La disciplina delle società benefit, circolare del 20 giugno 2016, n. 19, 5, www.assonime.it; F. Denozza, A. Stabilini, La società benefit nell’era dell’investor capitalism, in “Riv. Orizzonti del diritto commerciale”, 2017, 11; S. Corso, La società benefit nell’ordinamento italiano: una nuova qualifica tra profit non-profit, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 1008 s.
  8. Per una ricostruzione, anche delle diverse posizioni in campo, E. Codazzi, Società benefit (di capitali) e bilanciamento di interessi: alcune considerazioni sull’organizzazione interna, in “Riv. Orizzonti del diritto commerciale”, Fascicolo 2, 2020.
  9. Il modello benefit, dopo gli USA e l’Italia, si è diffuso in molti altri ordinamenti, tra cui, in particolare (i) Colombia, Ecuador e Perù con le Sociedades de Beneficio e Interés Colectivo; (ii) Francia con le entreprise à mission; e (iii) Spagna con le Sociedades de Beneficio e Interés Común, pare aver riscosso un interesse comparabile, in termini numerici, a quello italiano. Si pensi, esemplificativamente, che in Francia ad oggi si contano circa mille entreprise à mission, cfr.: https://kpmg.com/fr/fr/home/media/press-releases/2023/05/panorama-tendances-societes-a-mission.html.
  10. Osservatorio sulle Società Benefit, Camera di commercio di Taranto – Infocamere, II trimestre 2023. Si ringrazia, in particolare, la Dott.ssa Francesca Sanesi cui si devono i dati utilizzati in questo lavoro (trasmessi in data 18 ottobre 2023).
  11. Si noti che il valore della produzione, si riferisce all’anno di esercizio 2021 aggiornato al trimestre di riferimento, Osservatorio sulle Società Benefit, Camera di commercio di Taranto – Infocamere, II trimestre 2023
  12. La classificazione dimensionale si deve all’utilizzo di una proxy (i.e.; numero addetti) da parte dell’autore del lavoro a partire dai dati dell’Osservatorio sulle Società Benefit, Camera di commercio di Taranto – Infocamere, II trimestre 2023 e, dunque, sconta delle conseguenti approssimazioni e margini di errore.
  13.  Report INPS, Osservatorio sulle Imprese, https://www.inps.it/osservatoristatistici/11.
  14. Peraltro, dati ISTAT, dimostrano che Il Nord risulta essere l’area più virtuosa per le azioni di sostenibilità in campo sociale e ambientale, mentre il Centro quella meno virtuosa in campo ambientale e il Mezzogiorno quella meno virtuosa in campo sociale. ISTAT, Comportamenti d’impresa e sviluppo sostenibile 2020, https://www.istat.it/it/files//2020/03/Imprese-e-sostenibilita-statistiche-sperimentali.pdf, p. 9.
  15. ISTAT, Pratiche sostenibili delle imprese nel 2022 e le prospettive 2023-2025, 27 aprile 2023, https://www.istat.it/it/files//2023/04/Pratiche-sostenibili-delle-imprese.pdf, p. 3.
  16. Sul punto, utili sono i dati e le analisi contenuti nel rapporto di Cerved e Confindustria che, basandosi su dati raccolti al 26 giungo 2023, rileva che «la dimensione delle imprese italiane rimane ancora mediamente ed eccessivamente piccola, soprattutto al Sud e in relazione ai principali competitor internazionali». Cerved e Confindustria, Rapporto regionale PMI 2023, giugno 2023, https://www.confindustria.it/wcm/connect/9bcf45e7-5aae-4e44-a23d-c74c04a1d318/Rapporto+Regionale+PMI+2023.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=ROOTWORKSPACE-9bcf45e7-5aae-4e44-a23d-c74c04a1d318-oA2f7Ke.
  17. M. Calderini, Timbro «benefit» sul casinò, il rischio delle certificazioni se non si guarda la sostanza, in “Corriere della Sera”, 5 settembre 2023.
  18. Si tratta di un rischio più teorico che concreto, G. Riolfo, Le società ‘benefit‘ in Italia: prime riflessioni su una recente innovazione legislativa, in Studium Iuris, 2016, 726 e D. Stanzione, Profili ricostruttivi della gestione di società benefit, in “Riv. dir. comm.”, 2018, I, 516 i quali, con diverse gradazioni, tendono ad escludere l’ampliamento della responsabilità degli amministratori.
  19. Si fa riferimento, in particolare, alla vicenda che ha riguardato Emmanuel Faber, CEO di Danone S.A. che aveva favorito la svolta sostenibile della società francese, A. Zanotti, Danone, il cambio al vertice non è dipeso solo dai corsi azionari, in “Il Sole 24 ore”, https://www.ilsole24ore.com/art/danone-cambio-vertice-non-e-dipeso-solo-corsi-azionari-ADmHVEWB.
  20.  Direttiva 2014/95/EU (Non-financial Reporting Directive (NFRD)), recepita in Italia con il d.lgs. n. 254/2016.
  21. Direttiva UE 2022/2464 (Direttiva CSRD) sul reporting di sostenibilità delle imprese.
  22. Per la procedura di valutazione e certificazione si veda: https://www.bcorporation.net/en-us/certification/ (da cui è tratto la citazione nel testo).
  23. M. Calderini, Timbro «benefit» sul casino, il rischio delle certificazioni se non si guarda la sostanza, in “Corriere della Sera”, 5 settembre 2023.
  24. Come evidenziato in dottrina, infatti, l’istituzione di regole statutarie specifiche per questa attività di bilanciamento non solo circoscriverebbe la discrezionalità amministrativa, ma anche delineerebbe chiaramente i confini operativi della business judgement rule nelle decisioni amministrative. E. Codazzi, Società benefit (di capitali) e bilanciamento di interessi: alcune considerazioni sull’organizzazione interna, in “Riv. Orizzonti del diritto commerciale”, Fascicolo 2, 2020.
  25.  In questo senso, meritevole di attenzione e plauso è l’attività posta in essere da Assobenefit che si occupa della promozione del modello benefit attraverso, inter alia, la ricerca scientifica e la diffusione della conoscenza delle società benefit.
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