
Nel leggere il testo di Dario Giardi E se fosse la musica a salvarci? La memoria dei suoni e la sfida climatica (Mimesis Edizioni, 2025, pp. 158, €12,00) mi sono tornate alla mente le conferenze di Quirino Principe dove il filosofo rifletteva sulla musica come forma profonda di conoscenza e come manifestazione dell’armonia cosmica. La musica che rispecchia un ordine superiore, un legame profondo tra suono e struttura dell’universo.
In un’epoca assordata dal rumore e anestetizzata dall’indifferenza, Dario Giardi firma un saggio di rara profondità e urgenza emotiva. Non si tratta solo di un libro sul suono, la musica o la sostenibilità: è un manifesto poetico e civile che esplora il legame invisibile – ma essenziale – tra l’ascolto consapevole e la salvezza del nostro ecosistema. Giardi ci invita a fare un passo indietro dal frastuono del mondo moderno per ritrovare l’armonia e la memoria che il paesaggio sonoro naturale può ancora offrirci.
Il cuore del libro è un’intuizione semplice ma rivoluzionaria: la crisi ambientale non è solo una questione di emissioni o consumo di risorse, ma di disconnessione sensoriale ed emotiva. Abbiamo smesso di ascoltare, e con ciò abbiamo smarrito anche la capacità di sentire empatia per ciò che ci circonda. Da questa consapevolezza nasce il concetto di memoryscape, un’estensione del soundscape che non si limita alla dimensione fisica del suono, ma lo carica di memoria collettiva, identità culturale e responsabilità ecologica.
Giardi attraversa con rigore e passione le tappe di una riflessione che spazia dalla filosofia pitagorica all’ecoacustica contemporanea, dalle sinfonie di Beethoven alla musica ambient di Brian Eno, offrendo un quadro multidisciplinare che unisce scienza, arte, ecologia, antropologia e spiritualità. I capitoli dedicati a R. Murray Schafer e all’ascolto ecologico sono particolarmente intensi: l’idea che la qualità del nostro ambiente sonoro influenzi non solo la salute fisica ma anche quella sociale e spirituale delle comunità risuona con forza in un mondo dove il rumore ha sostituito il silenzio come condizione permanente.
Uno dei meriti principali del libro è la sua capacità di rendere accessibili concetti complessi senza mai rinunciare ad esporli al lettore. La scrittura di Giardi è densa ma limpida, evocativa ma mai retorica, e si concede passaggi di autentica lirica – come quando descrive la natura come un’orchestra cosmica o la musica come eco dell’universo. Ogni paragrafo è impregnato di un’etica dell’ascolto che è anche una politica del sentire: ascoltare diventa così un gesto di resistenza, un atto radicale di riconnessione con il mondo.
La musica, per Giardi, non è solo arte o intrattenimento, ma un linguaggio universale capace di evocare emozioni profonde, creare consapevolezza ecologica e stimolare azioni concrete. Il libro esplora il potenziale trasformativo della musica in chiave educativa, terapeutica e attivista. I capitoli dedicati alla sonificazione dei fenomeni naturali, al turismo acustico e all’agricoltura biosonora sono sorprendenti per la loro originalità e capacità di aprire prospettive inedite su ciò che intendiamo per sostenibilità.
Il saggio è anche una denuncia: della schizofonia moderna, della colonizzazione algoritmica dell’ascolto, della progressiva sparizione dei suoni naturali dalle nostre vite urbane. Ma è soprattutto una proposta di senso. Una proposta che passa per l’educazione, l’empatia, la lentezza, la contemplazione, la memoria. Per Giardi, la musica può diventare un catalizzatore di questa rivoluzione silenziosa e urgente.
E se fosse la musica a salvarci? ci ricorda che non ci salveremo con le sole tecnologie o normative, ma solo riscoprendo la nostra capacità di sentire. Perché in un tempo che ha ridotto il silenzio a un difetto e la musica a un sottofondo, Giardi ci invita a fare l’esatto contrario: a tendere l’orecchio verso la Terra, e ad ascoltare davvero.