Dopo il successo delle prime tre edizioni, è stata lanciata a gennaio la quarta edizione di ISPA (Italian Sustainability Photo Award – www.ispaward.com), il primo premio fotografico italiano dedicato alla Sostenibilità.
È ideato da Parallelozero, agenzia specializzata nella produzione di contenuti visuali per il mondo dell’editoria e del corporate, in collaborazione con il main sponsor PIMCO, tra le principali società di gestione di investimenti obbligazionari al mondo, affiancati anche quest’anno dai partner tecnici Nikon e Lowepro.
Il premio ISPA raccoglie storie fotografiche di progresso ed evoluzione, di soluzioni e di scelte ispirate al mondo della sostenibilità, in Italia. Tre le categorie di premio (migliore Foto Singola, migliore Storia Fotografica e il Grant) e tre le aree tematiche entro le quali i fotografi sono chiamati a rappresentare visivamente i temi e i concetti chiave dello sviluppo sostenibile: sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale e governance sostenibile, e cioè i criteri dell’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance), sigla finanziaria che valorizza una visione di sviluppo nel segno di impegno, innovazione e consapevolezza.
Lo scrittore e giornalista Mario Calabresi, nuovo Presidente di Giuria, affiancherà nella valutazione i giurati Kathryn Cook, Head of Content del Comitato Internazionale della Croce Rossa; Alice Crose, Visual Editor per Vanity Fair Italia; Andreas Trampe, Senior Photo Editor per la rivista tedesca Stern e Paolo Woods, Fotografo e Direttore artistico del Festival fotografico Cortona On The Move.
Dopo la chiusura a fine anno dell’ultima edizione e la pubblicazione del primo catalogo (edito da Seipersei), il premio inaugura un calendario di eventi che porteranno la mostra dell’Italian Sustainability Photo Award in tour a Torino, Padova, Genova, Gibellina, Bergamo e Brescia accompagnati dal nuovo format degli ISPA Talks, eventi di confronto con esperti del settore per proseguire il racconto della sostenibilità non solo attraverso le immagini ma anche con le parole.
Che cos’è ISPA, da quanto tempo esiste e come è stato ideato?
Sara Guerrini – Abbiamo ideato ISPA (Italian Sustainability Photo Award) nel 2019, poco prima della pandemia. È un concorso fotografico e nasce come acronimo inglese perché, pur essendo creato, prodotto e sviluppato in Italia, è un premio aperto a tutti i fotografi e le fotografe del mondo che abbiano interesse a realizzare un progetto fotografico sulla sostenibilità in Italia.
Tema quello della sostenibilità che intendiamo non solo dal punto di vista ambientale: l’esperimento, a partire dalla prima edizione, è stato di provare a raccontare tutte le diverse accezioni del termine.
Abbiamo quindi cercato storie fotografiche e foto singole non solo di salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità ma anche di sviluppo sostenibile, di soluzioni innovative, diritti e doveri, inclusione, politiche di diversità, attenzione agli aspetti sociali e di benessere accessibile, fino alla governance: ambiti dove anche i grandi player giocano un ruolo fondamentale e possono fare la differenza per lo sviluppo di un mondo migliore.
Il nostro contributo non si realizza però solo premiando chi ha già raccontato, ma anche finanziando chi ancora ha idee da sviluppare o ha progetti di racconto incompleti che a volte necessitano di un importante aiuto economico per poter essere conclusi. Questo riusciamo a farlo grazie al nostro Grant di 10 mila euro, una borsa di studio che viene erogata per portare avanti o iniziare ex novo un progetto che risponda alla missione del premio. Il lavoro andrà realizzato in Italia in un periodo di sei mesi, tra circa maggio a ottobre.
Qual è la vostra idea di sviluppo sostenibile e in questo senso cosa cercate nell’occhio del fotografo?
Sara Guerrini – Documentare visivamente e giornalisticamente queste storie è fondamentale. Le immagini rimangono impresse nella mente molto più del racconto e aiutano a rendere concreto quel che succede intorno a noi. La forza di una fotografia è sapersi fissare nella memoria, dando una forma concreta a ciò che è ci circonda, ricordandoci che qualcosa esiste anche quando non lo vediamo.
Sicuramente negli anni abbiamo potuto fare esperienza diretta di quanto il mondo, e l’Italia, siano cambiati e stiano cambiando ma nel nostro percorso non ci siamo limitati a raccontare solo gli eventi drammatici: il nostro obiettivo è provare a documentare una parte del cambiamento in atto attraverso il racconto di storie coraggiose e controcorrente.
Ricordo negli anni i premi assegnati per esempio a Enrico Genovesi con il suo reportage da Nomadelfia dove un popolo comunitario propone, in provincia di Grosseto, un modello di vita sociale alternativo; o lo scatto della bimba Gea, figlia di apicoltori nomadi, cresciuta a pappa reale e polline raccontata da Antonella Monzoni; ma anche le prime serre subacquee di piante terrestri al mondo fotografate da Giacomo d’Orlando a Noli o, come la storia vincitrice di quest’anno documentata da Elisabetta Zavoli, del pescatore venticinquenne di Rimini, Tomas Parenti, che inventa una rete da pesca con un terminale a due sacche: quella superiore per la cattura dei pesci e quella inferiore per la raccolta dei rifiuti dal fondale marino. Storie di uomini, donne, imprese che provano e stanno provando a cambiare le cose, studiando, monitorando, creando.
Storie che da quest’anno abbiamo deciso di traslare in versione live anche con gli ISPA Talk, una serie di incontri di confronto e racconto con i protagonisti di questo cambiamento.
Il Grant di 10 mila euro è quindi uno dei premi più importanti di ISPA. L’ultima edizione è stata vinta dal fotografo Tomaso Clavarino per un lavoro che racconta il degrado del permafrost. Quali sono stati i punti forti del progetto che gli hanno consentito di vincere la scorsa edizione?
Sara Guerrini – Tomaso Clavarino è stato il vincitore del Grant 2022 e grazie al sostegno del premio ha sviluppato, nel corso di sei mesi lungo l’arco alpino, il progetto Have you ever heard the sound of falling rocks? che testimonia gli effetti dell’aumento delle temperature e lo scioglimento del permafrost. Certamente la scelta di una tematica poco nota e ancor meno raccontata ha destato l’interesse della giuria. Le candidature sono state numerose e le idee originali erano tante. La candidatura di Clavarino offriva però uno sguardo molto particolare, quasi simbolico e universale, su una tematica molto tecnica e pressoché invisibile.
Credo quindi che questa sfida, l’ambizione di creare un racconto complesso ed esteso (anche territorialmente) con l’uso di un linguaggio non scontato e immediato, sia stata la chiave per la conquista della giuria 2022.
Due domande dirette a Tomaso Clavarino, vincitore dell’ultimo Grant ISPA.
Puoi paragonare il ghiacciaio della tua infanzia a quello di oggi?
Tomaso Clavarino – Non mi considero un ambientalista della prima ora e nemmeno un esperto, ma da torinese ho sempre vissuto molto la montagna in modo attivo e sportivo. Ho solo 37 anni, eppure sono stato in grado di osservare sulle Alpi, nel corso degli ultimi anni, un cambiamento eclatante. Ricordo che da ragazzo ci si andava ad allenare d’estate sui ghiacciai di Cervinia e Les Deux Alpes, adesso è quasi impossibile riuscire a farlo ad agosto e anche d’inverno la situazione è completamente diversa.
Sull’arco alpino, molto spesso, i fotografi si concentrano sulla documentazione dei ghiacciai che si ritirano, ma il mio progetto li tocca solo marginalmente perché la mia idea era di sviluppare un altro tema ben più ampio, quello del deterioramento del permafrost.
È un fenomeno specifico che non viene documentato spesso, perché sostanzialmente è invisibile: il permafrost è quella porzione di terreno congelato sotto la superficie che noi non vediamo, ma che tiene saldo tutto quello che sta sopra.
Il suo degrado a causa delle temperature in rialzo incide enormemente sulla montagna e sulle vite delle comunità che la abitano. E credo che il mio progetto sia stato premiato proprio perché toccava una tematica poco nota e quasi mai sviluppata fotograficamente.
È stata una narrazione on the road lungo tutto l’arco alpino, piuttosto complessa e completa su di un soggetto molto specifico, che mi ha permesso di approfondire molti aspetti di questo degrado.
Le foto sono state scattate tra Italia, Francia, Austria e Svizzera. Da una parte ho collaborato con molti ricercatori che sulle Alpi studiano il fenomeno, dall’altra sono stato nelle comunità che abitano sulle Alpi. Nel progetto sono stato, per citare alcuni scatti, nella cavità Buso del Valon nel veronese, dove a 50 metri di profondità si trova del ghiaccio perenne, e con rifugisti e sindaci che si trovano a fare i conti con una montagna che crolla letteralmente sotto i loro i piedi.
Cosa significa per te un ghiacciaio che scompare (al di là delle questioni scientifiche, dei danni ecologici)?
Tomaso Clavarino – Il rifugio Casati, a 3.200 metri sul Cevedale, dovrà essere spostato dopo 40 anni di attività, le infrastrutture di molti impianti sciistici sono pericolanti a causa del terreno che cede, le fonti d’acqua si contaminano di metalli pesanti derivati dal deterioramento del permafrost e alcune comunità, come il villaggio svizzero di Bondo nel 2017, sono state spazzate via, in questo caso da una frana e una conseguente esondazione di un torrente.
Un ghiacciaio che scompare non è solo paesaggio che cambia ma anche ricordi che svaniscono, abitudini e attività che si modificano, rappresentazione della montagna e dei luoghi che inesorabilmente cambia.