La guerra santa – parte 2

La vera guerra è quella del rinunciante, quella contro l’egolatria. Liberarsi dell’io: questa è la battaglia.

Autore

Tommaso Scarponi

Data

11 Novembre 2022

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

3' di lettura

DATA

11 Novembre 2022

ARGOMENTO

CONDIVIDI

Ora capite di quale guerra intendo parlare.

R. Daumal, La guerra santa

Che cos’è la guerra santa?

La Weil conclude il suo scritto sull’Iliade auspicando il miracolo della grazia, capace di sottrarre l’anima al dominio della forza, e guidarla sulla via sacra dell’amore 1. La Bespaloff, invece, indugia sulla bellezza, idea-fenice perpetuamente assassinata e sempre risorgente, in grado di ricondurre l’occhio alla contemplazione di ciò che, oltre l’orrore, è pace immobile. Entrambe vedono l’Iliade come la pupilla dell’umanità: oggetto del poema è lo scoprire i beni della propria vita – la sposa, la patria, gli dèi – come nudi bersagli della furia cosmica. E poiché la guerra è un «perenne oscillare tra l’ardore umano che divampa nella gioia dell’aggressività e il distacco del sacrificio in cui si compie il ritorno all’Uno» [nota] R. Bespaloff, op. cit., p. 51. [/nota], tanto per la Weil che per la Bespaloff si tratta di individuare i modi possibili di questo ‘ritorno’. Tracciare, cioè, la via del contemplante, o del santo. Di chi ha imparato a sfumare l’ingombrante mondo in assenza.

C’è un breve testo di René Daumal – l’amico di Simone Weil, che proprio da lui fu iniziata allo studio del sanscrito – intitolato La guerra santa. In queste poche pagine, Daumal definisce il perimetro dell’unica vera guerra a cui valga la pena sacrificare i propri sforzi. È la guerra del rinunciante, la guerra contro l’io, contro l’illusione di avere un io:

Colui che ha dichiarato questa guerra dentro di sé, è in pace coi propri simili e, benché egli sia tutto quanto campo della più violenta battaglia, nell’intimo del suo intimo regna una pace più attiva di qualsiasi guerra. E più regna la pace nell’intimo dell’intimo, nel silenzio e nella solitudine centrale, più infierisce la guerra contro il tumulto delle menzogne e l’innumerevole illusione 2.

Alla luce di questa idea, i saggi della Weil e della Bespaloff vibrano all’unisono. Entrambi puntano all’identico Nord: la contemplazione come fuga dai propri scopi, dal mondano ‘regno dei motivi’.

In numerosi punti del suo saggio, la Bespaloff sembra avvicinare l’Iliade alla dottrina della Bhagavadgītā: sotto lo sguardo di Elena e Priamo (uno sguardo, cioè, che si sia purificato da ogni mondanità e da ogni violenza) la foga della storia svanisce, «l’incantesimo del divenire è sospeso, e il mondo dell’azione sprofonda nella calma con tutto il suo furore. La pianura in cui imperversava la baraonda guerriera è diventata una placida visione agli occhi di Elena e del vecchio re» 3. Cosa appare davanti alle mura di Troia quando vi si staglia Elena? Cosa circola nella tenda di Achille quando vi entra Priamo? Entrambi sono «luoghi di verità in cui diventa possibile non il perdono dell’offesa, ignoto all’antichità, ma l’oblio dell’offesa nella contemplazione dell’eternità» 4. Nel suo dolore, nella sua guerra, Priamo riconobbe infatti «un assoluto contro il quale si infrange il suo dramma, ma che solo nel dramma poteva cogliere» 5. Raggiunto questo punto estremo, questo eccesso senza eccessi, l’anima tocca la pace delle costellazioni, che solo un’interiorità disciplinata può attingere 6.

Così anche per la Weil, che nella sua sterminata opera – dai Quaderni ai materiali riuniti in Attesa di Dio – testimoniò la ‘rinuncia’, la guerra contro l’egolatria, come il perno centrale del suo pensiero. Il saggio sull’Iliade si conclude con queste parole: «Ritroveremo forse il genio epico quando [i popoli d’Europa] sapranno credere che nulla è al riparo dalla sorte, che mai si deve ammirare la forza, né odiare i nemici, né disprezzare gli sventurati» 7 . Così, aboliti per grazia gli istinti di conservazione, che inducono a prevaricare lo spazio vitale esterno – del mondo, degli altri uomini –, l’anima è finalmente capace d’amore divino. Non ricevendolo, ma donandolo: perché l’enigma della vita umana non è la sofferenza, ma la ‘sventura’ 8ed è proprio questo il prodigio consegnato all’anima risvegliata: l’umanamente impossibile compassione per gli sventurati. «Quando si verifica, si compie un miracolo più sorprendente che camminare sulle acque, guarire gli infermi e resuscitare un morto» 9 . Altrove si legge: «Trattare con amore il prossimo che giace nella sventura è come battezzarlo» 10. In questa cascata di luce nella luce, in questo fiotto divino che sottilmente arde nel mondo, la guerra e la forza, con tutto il loro imperio, si sciolgono una volta per tutte.

>> Leggi anche: ‘Guerra Santa – parte 1’

Note

  1. Questa esigenza troverà la forma del folgorante compendio nello scritto La personne et le sacré. Collectivité, Personne, Impersonnel, Droit, Justice (1943), in Oeuvres complètes, vol. V, 2, Gallimard, Paris 2013; tr. it. di M.C. Sala, Adelphi, Milano 2012.
  2. R. Daumal, La guerre sainte (1940), in Id., Poésie noire, poésie blanche, Gallimard, Paris 1954; tr. it. di C. Rugafiori, in Id., La conoscenza di sé, Adelphi, Milano 1972, p. 44. Cfr. ivi, p. 42: «“Io sono…, io voglio”. – Menzogne! Menzogne incise sulla mia carne, ascessi che mi gridano: “Non inciderci, siamo dello stesso sangue!”, pustole piagnucolanti: “Siamo il tuo unico bene, il tuo unico ornamento, perciò continua a nutrirci, non ti costa poi tanto!”».
  3. R. Bespaloff, op. cit., p. 38
  4. Ivi, p. 72
  5. Ivi, p. 73
  6. Cfr. ivi, p. 83: «Si tratta di raggiungere con la disciplina uno stile di vita che perpetui il ricordo degli istanti di interiorità»; p. 87: «Per entrare in contatto con il sovrannaturale non esiste altra ascesi se non la rettitudine del cuore».
  7. S. Weil,  L’«Iliade» ou le poème de la force, cit., p. 64.
  8. Cfr. Id., Attente de Dieu (1941-1942), La Colombe, Paris 1950; tr. it. di M.C. Sala, Adelphi, Milano 2008, pp. 173-174: «stupisce che Dio abbia dato alla sventura il potere di afferrare l’anima di un innocente e di impadronirsene da sovrana assoluta. Nel migliore dei casi chi è segnato dal suo marchio non serberà che metà della propria anima […]. La sventura rende Dio assente per un certo tempo, più assente di un morto, più assente della luce in una cella immersa nelle tenebre. Una sorta di orrore sommerge tutta l’anima. Durante quest’assenza non c’è nulla da amare».
  9. Ibidem.
  10. Ivi, p. 107.
Leggi anche
Cultura
Editoriali
7′ di lettura

Pensieri nuovi sullo sviluppo sostenibile. Intervista a Pierre Caye

di Edoardo Toffoletto
Cultura
Editoriali
4′ di lettura

Stampa e oro nero – i volumi ora disponibili in digitale

di Redazione
Cultura
Editoriali
6′ di lettura

Sostenibilità e patrimonio culturale: un binomio imprescindibile

di Caterina Francesca Ottobrini
Economia
Viva Voce

Abbigliamento circolare per l’outdoor

di Giulio Piovanelli
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

La bioeconomia che verrà

di Stefano Bertacchi
4′ di lettura
Società
Viva Voce

La sfida delle monete complementari italiane 

di Cristina Toti
8′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Virus biotech per la medicina

di Stefano Bertacchi
5′ di lettura
Clima
Viva Voce

Recupero di terre rare da RAEE: progressi e criticità

di Sergio Corbetta, Enrico Folin
5′ di lettura
Società
Viva Voce

Diari di apartheid. La città a due volti.

di Gloria Ballestrasse
4′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia