La poesia come povertà – parte 1

Perché i poeti? I poeti appartengono alla parola e donano – senza volerlo – nuovo equilibrio al mondo.

Autore

Riccardo Corsi

Data

10 Ottobre 2022

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TEMPO DI LETTURA

5' di lettura

DATA

10 Ottobre 2022

ARGOMENTO

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La parola è prima del mondo. Ne è l’origine. La parola è il negativo del mondo, il suo calco dal quale poi il mondo prende forma. 

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1-18).

La parola e il vuoto: la parola è il vuoto. Essa è un atto d’amore, nel senso che stabilisce un ponte sonoro con ciò che evocato diventerà Acqua, Terra, Cielo, Creature.

Allora, in un certo senso, Dio (ciò che noi definiamo in questo modo essendo coscienti dell’impossibilità della definizione, della sua inadeguatezza) è parola.

La parola è divina. Essa è nel nostro modo – imperfetto – di conoscere il mondo e la pluralità dei mondi che abitiamo ignorandoli (il più delle volte) e dei mondi che abiteremo, essa è l’appartenenza sonora, la radice, il veicolo di trasmissione che ci permette – e permette ai mondi-luoghi che abitiamo la relazione: di relazionarci con tali mondi-luoghi e con le creature che vi dimorano.

La parola racchiude in sé e vivifica un nucleo forte, essenziale di alterità.

La parola sta ai mondi come il sangue al corpo. Da qui la vicinanza, se non la sovrapposizione, tra mistica e poesia. Se la creazione avviene attraverso la parola (un Dio muto è inconcepibile, non avrebbe potuto creare il mondo, né divenire mondo ritirandosi, e il silenzio di Dio è possibile, perché al principio qualcosa ha parlato, balbettato in forma di enigma il mistero della creazione, che permane mistero del verbo), il poeta ri-crea il mondo nominandolo.

La nominazione è un ritorno all’origine, a quell’istante-frattura, a quella scintilla dalla quale ebbe origine il mondo.

La parola è questa scintilla. Essa circola come il sangue. La parola è il sangue dei mondi. Acqua cosmica, fuoco invisibile irradiante senso.

Perché i poeti?

I poeti appartengono alla parola. L’umanità ha costruito la sua storia – ossia la molteplicità ciclica delle sue civiltà nell’arco del tempo – a partire dalla parola. Ma la parola che costruisce la Storia non è la parola originaria bensì una parola stratificata, appesantita dal carico di responsabilità che l’umano ha dato (dopo la creazione) alla parola: il Linguaggio.

Il Linguaggio è la parola sovraccaricata di un senso secondo che non le appartiene originariamente: la legge, le regole del vivere (in)civile, la parola come espressione-comunicazione, la parola come economia, la parola merce…

Compito dei poeti è dissipare queste cortine, queste sedimentazioni che incrostano la parola rendendola irrespirabile.

La poesia riporta la parola all’origine. Essa possiede una proprietà corrosiva che agisce sul linguaggio sciogliendo le calcificazioni che la stavano indebolendo e la rendevano malata.

La parola è in questo senso un passaggio, essa brilla come un diamante, che lascia passare e accoglie la luce. Un passaggio dal linguaggio con i suoi codici, alla parola (lingua) originaria. Il poeta sfiora un senso arcaico (che non è solo quello che riaffiora usando la bacchetta da rabdomante o la stampella dell’etimologia). 

Il poeta è un minatore che scava fino a ritrovare il vuoto dentro la parola. La povertà di una parola originaria riaffiora nella poesia.

Atemwende, la poesia è un cristallo di fiato, di respiro (Paul Celan).

La parola della poesia è un’archè ma mai un fondamento. Essa è circolazione: circola nella lingua come la linfa nell’albero il sangue nel corpo (nei corpi).

«Le poème est l’amour réalisé du désir demeuré désir» René Char (la poesia è l’amore realizzato del desiderio rimasto desiderio).

La parola non è mai immobile, circola senza fermarsi, essa elimina le ostruzioni (oltrepassandole) che fanno della lingua un approdo di potere e dominio, di regolamentazione dell’umano e del mondo.

Il poeta è anarchico e combatte il linguaggio del mondo, della polis, ma solo perché appartiene a un polemos primitivo senza il quale la stessa polis non esisterebbe.

Il poeta obbedisce a una legge non scritta, che non è codificata dagli uomini: la poesia obbedisce (ob-audire) alla grazia. L’incarna. 

La poesia è écartèlement (squartamento) dell’io, del linguaggio per approdare a una sillabazione primordiale. Il poeta (l’artista) lascia cadere le consonanti e ritrova il fuoco delle vocali:

A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu : voyelles,
Je dirai quelque jour vos naissances latentes :
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,

Golfes d’ombre ; E, candeurs des vapeurs et des tentes,
Lances des glaciers fiers, rois blancs, frissons d’ombelles ;
I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
Dans la colère ou les ivresses pénitentes ;

U, cycles, vibrements divins des mers virides,
Paix des pâtis semés d’animaux, paix des rides
Que l’alchimie imprime aux grands fronts studieux ;

O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,
Silences traversés des Mondes et des Anges :
— O l’Oméga, rayon violet de Ses Yeux !

(A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre nascite latenti:
A, nero corsetto villoso di mosche splendenti
Che ronzano intorno a crudeli fetori,

Golfi d’ombra; E, candori di vapori e tende,
Lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sangue sputato, risata di belle labbra
Nella collera o nelle ubriachezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni divine dei verdi mari,
Pace di pascoli seminati d’animali, pace di rughe
Che l’alchimia imprime nelle ampie fronti studiose;

O, suprema Tromba piena di strani stridori,
Silenzi attraversati da Angeli e Mondi:
– O l’Omega, raggio viola dei suoi Occhi!)

                                        Arthur Rimbaud Voyelles (Vocali).

La povertà è il cuore della grazia. 

La povertà nella lingua è la rinuncia a tutto ciò che nella lingua è comunicazione-espressione: la povertà è la poesia. Il poeta è povero di mondo perché deve posseduto dalla voce del Dio che lo ispira a ricreare il mondo come se non ci fosse mai stato. Ogni albero, ogni uccello o nuvola nominati sono: il primo albero, il primo uccello, la prima nuvola. La parola della poesia è la prima radice. Nucleo primigenio di alterità: di irradiazione dell’alterità che la lingua-parola custodisce in ogni direzione. 

È per questa sua natura di custode dell’alterità (del mondo, dei mondi schiusi dalla parola) che il poeta viene spesso confuso con l’angelo (o con il diabolico ma solo quando si tratta di rompere un ordine stabilito, perché nella sua essenza la poesia è sempre simbolica) pur essendo egli – il poeta – umano, troppo umano.

Il poeta hanté dalla parola-respiro, dice ciò che vede, ma dicendo ciò che vede (nominandolo) finisce per sentire ciò che dice. Nel dire è posseduto da Il sentimento del mondo (O sentimento do mundo). Carlos Drummond de Andrade.

La poesia è una rammemorazione differita dell’oralità.

È per tale motivo che essa non può essere letta in silenzio, nel silenzio della mente. Ma va letta (detta) ad alta voce. Perché l’atto della lettura confonde lettore e poeta, li rende uguali.

Leggere ad alta voce ricrea (ri-presenta) l’atto di creazione che la poesia rappresenta.

Il lettore sta riscrivendo la poesia mentre la dice: sta rievocando il (un) mondo. Egli diviene poeta. E il poeta a sua volta ha potuto scrivere quella poesia perché è stato, è, lettore della parola. Della voce che la parola incarna: è.

Del vuoto che la parola è nella sua essenza nell’atto stesso di nominare la pienezza del mondo. Della pienezza del vuoto e dell’essere vuoto di ogni pienezza che la parola simboleggia.

Della coappartenenza di pieno e vuoto che fa di ogni parola un corpo celeste: piccolo sole nero, scintilla di eterna luce.

La povertà della parola è il vuoto.

I poeti donano con la ‘loro’ poesia – ma senza volerlo – nuovo equilibrio al mondo (l’adikia l’Ingiustizia diviene Dike Giustizia).  «Il mondo (il tempo) è fuori dai cardini», invoca Shakespeare nell’Amleto: «The time is out of joint».

La poesia è impolitica, ecco tutta la sua assoluta politicità, diceva Umberto Saba in una delle sue folgoranti Scorciatoie: «L’arte, per la sua intima natura profondamente asociale, serve – attraverso vie proprie – alla vita sociale. E tutti i poeti sono in questo senso, e solo in questo senso, poeti civili».

Povera è la parola essenziale, povera di attributi, di aggettivi (possessivi-qualificativi). Essa è nome-verbo insieme: verbo-nome.

Se dico sasso sento nella parola sasso il suo fluire: sassicare (rotolare della parola).

Se dico fluire avverto, d’istinto, la sua forza di nominazione: Fluire è una creatura gigante che si ferma un istante solo – istante immenso, eterno – a contemplare un fiore che sboccia nell’infinita orazione dei mondi.

Così, ci ammonisce, amorevolmente, il poeta e mistico sufi, Rumi:

«Quando il senso della povertà è nell’intimo di qualcuno, egli cammina in pace sulle acque di questo mondo».

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