Tra le centinaia di migliaia di manoscritti raccolti nella Bibliothèque Nationale de France (BnF), si può individuare una notevole quantità di esemplari che in modo più o meno diretto danno informazioni circa il rapporto tra società umane, natura e arte. Oltre ai noti codici con passaggi della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, ve ne sono altri che rimandano a tematiche ambientali e naturali, e che offrono resoconti puntuali con testi e immagini di come, in differenti epoche storiche, le società umane abbiano messo a confronto tematiche relative all’ambiente, alla sua antropizzazione, al cambiamento climatico e alle risposte allo stesso.
Queste particolari istanze storiche, pur non essendo parte delle tipologie di dati e delle sequenze statistiche utilizzate dalle scienze del clima, se contestualizzate e lette come sintomi di una preoccupazione plurimillenaria, se non addirittura ancestrale, nei confronti di forze planetarie che superano la dimensione umana, assumono un valore esemplificativo che può aiutarci nella comprensione e mediazione del nostro rapporto con il clima in quanto società complesse.
In particolare, vi è un manoscritto nella BnF che permette tanto di leggere come questo timore per la forza sovraumana degli eventi climatici abbia una dimensione diacronica, quanto di formulare con parole e iconografia una comprensione di ambiente e clima che, integrando la sfera delle scienze del clima e della paleoclimatologia, esprime la capacità di coinvolgere non solo chi si sente sopraffatto dai fenomeni climatici, ma anche dalla comprensione degli stessi.
Il manoscritto contenente le Omelie di Gregorio di Nazianzo, BnF Grec 510 (Paris, Bibliothèque Nationale de France, MS. gr. 510), noto in letteratura come Paris Gregory, è stato redatto a Costantinopoli all’inizio del terzo quarto del IX secolo, probabilmente tra il 879 e l’882, nei decenni successivi alla fine delle controversie iconoclaste. Raccoglie l’intera collezione delle quarantanove orazioni/omelie di Gregorio di Nazianzo, o Nazianzeno, o Teologo (c. 329 – 25 Gennaio 390), vissuto nel IV secolo dell’era corrente e originario della città di Nazianzo, nell’odierna Cappadocia, allora provincia dell’Impero Romano d’Oriente, ovvero dell’Impero bizantino.
Il Nazianzeno è uno dei tre principali padri della chiesa cristiana greca assieme a Basilio di Cesarea e al fratello di questi, Gregorio di Nissa. Gregorio Nazianzeno è in gran parte noto per le cinque orazioni teologiche che tenne a Costantinopoli. Fanno parte delle quarantaquattro orazioni giunte fino a noi e, partendo dai principi stabiliti nel Concilio di Nicea del 325, discutono in modo preciso e articolato la dottrina del rapporto tra Padre, Figlio e Spirito Santo.
Il codice Grec 510 raccoglie le omelie, quattro lettere e due componimenti poetici del Nazianzeno e alcuni scritti di altri autori, tra cui una versione parziale della vita del Nazianzeno scritta da Gregorio il Presbitero. Nel complesso, il codice testimonia la fortuna, il grande apprezzamento e l’autorità di Gregorio Nazianzeno come teologo della prima cristianità e modello da tramandare. Dopo le sacre scritture, i testi del Nazianzeno sono tra i più copiati del mondo bizantino. Ma il codice della BnF non è solo un testimone di questa fortunatissima tradizione patristica, è anche un manufatto di grande qualità sia da un punto di vista codicologico che della storia dell’arte, e come vedremo anche da un punto di vista della storia del rapporto tra società e clima.
Il codice è redatto con una calligrafia uncinale di altissima qualità e accompagnato da un apparato di miniature di assoluto rango e ricercatezza. Gli innumerevoli studiosi che si sono cimentati con lo studio e la comprensione del codice e del suo contesto di produzione hanno dedotto che si tratta di un manoscritto redatto in stretta prossimità con la corte dell’imperatore Basilio I (c. 811 – 886), iniziatore della dinastia macedone1.
Il codice in folio si compone di 464 fogli pergamenacei della misura media di circa 41.0×30.0 cm ciascuno, più un raggruppamento di cinque fogli che aprono il codice, decorati con miniature a tutta pagina con le rappresentazioni di Cristo in trono al f. Av, dell’imperatrice Eudokia accompagnata dagli eredi al trono imperiale Alessandro e Leone al f. Br, di due grandi croci trionfali gemmate ai ff. Bv e Cr, dell’imperatore Basilio I affiancato dal profeta Elia e dall’arcangelo Gabriele al f. Cv. I 433 fogli del testo sono decorati con 1445 lettere dorate, 172 capi lettera dipinti e 51 testatine. I restanti fogli assieme a quelli iniziali raccolgono 46 miniature.
Siamo quindi di fronte a un oggetto di altissimo valore, tanto per la qualità codicologica e artistica quanto per la sua produzione materiale. Si consideri che per un codice di questo tipo, composto da circa 232 bifolia, servivano all’incirca le pelli di 116 animali, preferibilmente di pecora o vitello. Sostanzialmente per produrre un codice come il Grec 510 è servito un allevamento di circa 100 animali: un significativo investimento economico e di risorse ambientali2. Insomma, un oggetto di lusso per una committenza di altissimo rango, probabilmente legata a Fozio (c. 810, 893 post quem) patriarca di Costantinopoli tra l’858 e l’867 e poi ancora tra l’877 e l’886.
Indice di questa ricchezza è la profusione e la ricercatezza delle miniature del Grec 510, che sono usate come commento interpretativo e complemento visivo in dialogo con il testo delle omelie del Nazianzeno. Tra la collezione di fogli miniati ve ne sono due di particolare interesse per i temi del rapporto della società, natura e produzione artistica nel contesto dell’impero bizantino tra il IV secolo, quando visse il Nazianzeno, e il IX secolo quando il manoscritto venne commissionato. Entrambe le istanze sono pertinenti alle miniature che accompagnano due delle omelie contenute nella raccolta e che ci raccontano di un contesto sociale nel quale gli eventi climatici, se sono letti in relazione al volere divino, mostrano di essere intrinsecamente legati all’interazione tra azione antropica ed elementi naturali e climatici.
Il primo foglio miniato che ci interessa è il f. 3r del codice, dal momento che ci offre un inquadramento al tema del rapporto tra uomo e natura nel contesto biblico e patristico, e mostra come eventi ambientali calamitosi fossero percepiti come legati a punizione divina (fatto attestato anche in un altro passaggio del codice).
Il f. 3r, il primo foglio miniato, dopo quelli introduttivi dedicati all’imperatore e alla sua dinastia, mostra le rappresentazioni dell’Annunciazione alla Vergine, della Visitazione ed episodi della vita di Giona, che insieme accompagnano il testo dell’omelia In difesa della sua fuga dal Ponto. L’omelia, pronunciata dal Nazianzeno alla sua congregazione dopo essere tornato dal Ponto, si riferisce sia all’incarnazione di Cristo sia a Giona, creando un legame tra l’attività di predicazione del Nazianzeno, sia con la vita di Cristo, sia con il profeta Giona, la cui fuga da Giaffa e il successivo ritorno a Ninive ispirarono il Nazianzeno ad accettare la sua responsabilità verso la sua comunità di origine e tornare a casa per predicare nella città di Nazianzo, dove il padre era vescovo.
Il parallelismo con Giona offre almeno due istanze per inquadrare come nella tarda antichità, quando il Nazianzeno redisse l’omelia, eventi naturali e climatici fossero concepiti come atti della potenza di Dio verso l’umanità. Entrambe le istanze sono rappresentate nell’iconografia sintetica della vicenda di Giona nella parte inferiore del f. 3r. Da prima ci sono le scene in alto a sinistra della sezione iconografica in cui Giona, dopo essere fuggito dalla città via nave per Tarsis opponendosi alla richiesta di Dio di predicare a Ninive per convertirne gli abitanti, viene scaraventato in mare per placare l’azione di Dio che si era espressa su Giona fuggitivo e sugli altri marinai con un vento così forte e una «tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi» (Giona 3,1-16). Giona una volta in mare viene inghiottito da un pesce che, come da ricorrente formula iconografica, viene rappresentato con un mostro marino visibile sul lato a destra della scena di Giona scaraventato a mare nel f. 3r.
Secondariamente, nelle scene relative alle prediche di Giona tornato a Ninive, dopo essere stato rigettato dal pesce dopo tre giorni sulla spiaggia (la scena è appena leggibile nell’angolo in basso a destra del f. 3r), sono presenti rimandi al rapporto tra umanità e divino attraverso azioni di purificazione ambientale. Le scene stanno nell’angolo in basso a sinistra del f. 3r. A seguito delle predicazioni di Giona che annunciavano la distruzione della città, per evitare che sulla città si abbattesse la furia divina «per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: ‘Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua’» (Giona 3,1-10). La città verrà risparmiata proprio grazie alle prediche di Giona, al pentimento del re e della corte di Ninive, alla conversione dei suoi abitanti e in particolar modo alle azioni per evitare contaminazioni. Questa attenzione verso il pericolo ambientale, in questo caso di natura epidemiologica, e le azioni di profilassi sono indici di una consapevolezza della potenza divina espressa come forze del mondo naturale.
Il secondo foglio che testimonia del rapporto tra società, natura e produzione artistica nel manoscritto Grec 510 è il f. 78r miniato con le illustrazioni all’omelia 16 del Nazianzeno. L’omelia Sulla piaga della grandine e sul silenzio del padre in sintesi racconta di una grande tempesta di grandine che si abbatté all’improvviso sulle vigne e le coltivazioni nelle aree limitrofe a Nazianzo. I contadini colpiti dalla calamità accorsero alla chiesa metropolitana e si rivolsero al vescovo, il padre del Nazianzeno, afflitti dalla violenza della precipitazione che alcuni non esitavano a interpretare come castigo divino. Di fronte al gruppo di contadini preoccupati il padre del Nazianzeno, che in quanto vescovo avrebbe dovuto parlare e rassicurare i fedeli, era così sopraffatto dalla tragedia che non fu in grado di rispondere ai cittadini angosciati e lasciò parlare il figlio Gregorio. Quest’ultimo pronunciò quindi l’omelia consigliando la penitenza e la preghiera per espiare i peccati che avevano provocato l’ira di Dio e la tempesta. Dalle sue parole si evince chiaramente l’eccezionalità dell’evento ambientale e le sue catastrofiche conseguenze nel contesto di una società sostenuta esclusivamente da risorse agricole in un contesto agro-alimentare alquanto instabile: il mancato raccolto, la carenza di cibo e quindi la carestia di fronte a un evento climatico di tale portata.
Il f. 78r presenta in modo evidente la resa iconografica dei due principali momenti dell’omelia: la scena della tempesta di grandine nel registro superiore del foglio e quella della pronuncia dell’omelia da parte di Gregorio ai fedeli di Nazianzo nel registro inferiore. Nella prima scena in alto viene rappresentata la discesa di una fitta coltre di grandi sfere di grandine sul paesaggio campestre intorno a Nazianzo da un’area delimitata da un arco che si protende verso il basso e la terra. La grandine precipita da questo segmento circolare colorato di celeste, interpretazione iconografica dello squarcio nel cielo terreno, rappresentato di contro con un colore blu più cupo, che aprendosi lascia intravvedere quello ultraterreno. L’iconografia ambientale del cielo ultraterreno, celestiale appunto, che squarcia quello terreno come un’apertura semicircolare è una soluzione iconografica standard della rappresentazione della comunicazione tra ultraterreno e terreno, tra Dio e l’umanità, che nel tardo IX secolo, quando il manoscritto Grec 510 viene redatto, è oramai consolidata nel contesto bizantino. La si trova infatti anticipata al f. 75r nella scena della Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor, dove dall’arco che circoscrive il cielo ultraterreno spunta la mano di Dio che fa discendere su Cristo la sua luce celestiale che illumina di luce divina, taborica appunto, il corpo di Cristo sebbene ancora creatura terrena.
Il violento fenomeno atmosferico e climatico è chiaramente contestualizzato nel momento in cui si infligge su di un paesaggio campestre fortemente antropizzato. La grandine cade infatti sopra una collina con alberi coltivati, rappresentata a sinistra, e su un campo arato reso sulla destra. La coltivazione ad alberi e il campo sono chiaramente parti di pertinenze agricole differenziate dagli alberi della selva non coltivata le cui cime si stagliano a contorno della zona antropizzata.
Dalla resa iconografica della grandine, rappresentata come grandi sfere bianche che martellano il paesaggio, si evince che la distruzione dei raccolti nei campi debba essere stata ingente, e che le sfere di grandine, quasi come delle palle litiche da cannone, cadendo abbiano spezzato i rami degli alberi danneggiandone i frutti. Si ha l’impressione che Dio dal regno celeste abbia portato guerra alla terra con un bombardamento (che stranamente risuona con la contemporanea prassi giornalistica italiana di definire rovesci violenti e improvvisi come ‘bombe d’acqua’). In sostanza un vero e proprio evento ‘bellico’ climatico estremo, così fuori norma da risultare, per i fedeli delle campagne di Nazianzo, come un evento naturale di portata ultraterrena e inteso dai più come punizione divina, tanto da spingerli a chiedere consiglio e conforto presso l’autorità ecclesiastica locale.
L’evento climatico estremo è chiaramente descritto come calamitoso, come si può desumere dall’iscrizione che lo accompagna. Appena sotto l’immagine della grandinata è presente una titolazione in rosso su fondo oro che in caratteri greci maiuscoli legge Η ΠΛΗΓΗ ΤΗC ΧΑΛΑΖΗC, La piaga della grandine. In seno alla raccolta dei testi del manoscritto, la scena è quindi funzionale a quello che segue, ovvero la rappresentazione, nel registro inferiore del f. 78r, della scena in cui Gregorio recita la sua omelia.
Il Nazianzeno è ritratto orante, la mano destra è mostrata con la resa iconografica indicate la adlocutio, e l’iscrizione in bianco su fondo blu recita Η ΘΕΟΛΟΓΟC ΔΗΜΙΓΟΡΟΝ, Il teologo parla, il padre vescovo ammutolito al suo fianco invece tiene nascoste le sue mani dentro la grande tunica che lo copre. Entrambi si rivolgono alla cittadinanza accorsa per chiedere aiuto e consiglio al vescovo. I cittadini sono raccolti in due gruppi, uno di uomini e l’altro di donne. Entrambi i gruppi presentano alla loro estremità sinistra una figura, un uomo e una donna, che si rivolge a Gregorio con il gesto di chi, posto un quesito, e attende risposta. La domanda è espressa nei gesti e negli sguardi smarriti condivisi dalle altre figure nei due gruppi in relazione alle conseguenze dell’evento climatico.
Di questo preciso accadimento climatico del IV secolo in un’area limitrofa all’antica città di Nazianzo, che gli studiosi ritengono localizzata nella città di Bekarlar nell’odierna provincia Turca di Aksaray al centro dell’Anatolia, non abbiamo alcuna prova documentaria se non nel testo dell’omelia del Nazianzeno. Del clima della penisola Anatolica del IV secolo abbiamo però qualche sporadica indicazione di eventi calamitosi simili a quello relativo a Nazianzo.
Le evidenze testuali e i dati paleoclimatici raccolti e analizzati dagli studiosi di Bisanzio e della storia del clima che hanno lavorato su indicatori climatici da misure indirette raccolti da siti come la cava Sofular e il lago Nar, quest’ultimo prossimo all’odierna città di Bekarlar, mostrano come il clima della parte centrale e occidentale dell’Anatolia tra il 300 e il 560 CE abbia attraversato un periodo tendenzialmente più arido, seguito tra il 560 e il 730 CE da un periodo più umido. Nel primo periodo più arido in diverse parti dell’Anatolia eventi siccitosi estremi sono però registrati assieme a forti precipitazioni con grandinate e inondazioni, particolarmente tra il 368 e il 3993.
Non è funzionale e chiaramente non è possibile stabilire una diretta correlazione tra le osservazioni paleoclimatiche e la grandinata raccontata nell’omelia di Gregorio di Nazianzo e illustrata al f. 78r del codice Grec 510, ma possiamo inferire che il disastroso evento narrato dal Nazianzeno sia contestuale a un periodo di forte instabilità climatica nella regione. Al di là della precisione storica dell’evento, la miniatura dà quindi voce a delle precise preoccupazioni per il rapporto tra la società agricola anatolica del IV secolo e gli effetti di un clima in fluttuazione le cui drammatiche, repentine e subitanee variazioni hanno inflitto importati effetti su quelle popolazioni.
Se poi si tiene conto che il manoscritto è un prodotto culturale costantinopolitano del tardo IX secolo, all’incirca cinque secoli dopo la vicenda narrata nell’omelia del Nazianzeno, alcune considerazioni conclusive possono aiutarci a comprendere l’importanza di una tale testimonianza artistica.
Le preoccupazioni sottese all’omelia sono pertinenti a una società tardo antica particolarmente esposta a eventi climatici estremi. La compromessa rendita agricola, principale motore economico e di stabilità, diventa volano di instabilità sociale e politica. Quelle preoccupazioni, sebbene distanti da quelle dell’oggi, sono indice del persistere nel tempo delle criticità del rapporto tra società organizzate, clima e ambiente. Tanto forti erano quelle preoccupazioni che cinque secoli dopo l’artista che ha realizzato le miniature al f. 78r del Grec 510 optò per una formulazione iconografica che drammatizzava gli eventi dell’omelia in modo da rendere l’evento climatico come un atto di aggressione divina con una pioggia di globi di ghiaccio, proiettili celestiali scagliati dalla furia divina sul paesaggio antropizzato dall’azione umana, in grado di piagare la produzione agricola, nodo nevralgico per la società bizantina del primo periodo macedone.
Quelle preoccupazioni profonde in relazione a eventi climatici estremi, che trovano espressione nel testo e nelle immagini dell’omelia La piaga della grandine di Gregorio di Nazianzo, fanno eco quelle che oggi affliggono larghe parti della popolazione mondiale, soprattutto quelle esposte a una forma di cambiamento climatico la cui scala, conseguenze e implicazioni non sono state mai prima esperite dall’umanità. Essere consapevoli che esistono istanze che dal passato ci raccontano di medesime situazioni può essere un modo per aiutarci a raccontare e comunicare strategie di salvaguardia e sostenibilità che sempre più urgentemente dobbiamo collettivamente mettere in atto. Se le donne e gli uomini di Nazianzo nel IV secolo dell’era corrente sono riusciti a superare l’ammutolito vescovo e a far parlare il figlio per essere indirizzati a comportamenti più virtuosi per correggere la furia divina, anche noi oggi possiamo sul loro esempio richiedere alla politica e alla scienza strategie per nuove forme di adattamento, dando voce e strumenti di difesa a chi ancora non ha capacità e risorse. L’adattamento al cambiamento climatico riguarda tutti.
Per approfondire:
Il manoscritto BnF Grec 510 può essere consultato al seguente sito:
https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84522082
Note
- L. Brubaker, Vision and Meaning in Ninth-Century Byzantium: image as exegesis in the homilies of Gregory of Nazianzus, CUP, Cambridge, 1999
- N. G. Wilson, Books and readers in Byzantium, in I Ševčenko e C. A. Mango (a cura di), Byzantine Books and Bookmen, Dumbarton Oaks Colloquium, Washington, DC, 1975, pp. 1-16,.
- J. Haldon, A. Izdebski, N. Roberts e D. Fleitmann, The Climate and Environment of Byzantine Anatolia: Integrating Science, History and Archaeology, in “Journal of Interdisciplinary History”, agosto 2014, pp. 113–161