Tiziana Perri: La grande sfida che ci sta impegnando è lo Sviluppo Sostenibile per mitigare i cambiamenti climatici e la domanda che ci poniamo tutti è: stiamo facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi? Quali dunque i numeri a livello globale?
Donato Viggiano: Stiamo facendo molto, ma non lo facciamo con la velocità giusta. La lotta climatica è soprattutto una lotta contro il tempo. L’Earth Overshoot Day è una sorta di contatore scientifico che stabilisce in quale data, ogni anno, il mondo consumerà le risorse che il pianeta ci mette a disposizione. Nel 2023 è stato il 3 agosto. Nel 2024, il 25 luglio. L’Overshoot Day per l’Italia nel 2024 è stato il 19 maggio, il 14 marzo per gli Stati Uniti. Il Paese più virtuoso è il Kyrgyzstan che riesce ad arrivare al 30 dicembre. In sintesi, il mondo consuma risorse a una velocità quasi doppia rispetto a quanto riesce a produrne. Il perché sta nella curva di crescita demografica del Pianeta. Duemila anni fa la Terra aveva circa 200 milioni di abitanti. Intorno al 1960 siamo arrivati a 3 miliardi. In soli 70 anni siamo passati da 3 a 8,1 miliardi di abitanti. Al 2100 saremo 11 miliardi di individui. Su un Pianeta, ci spiegano i demografi, che il Sommo Progettista o chi per Lui, ha immaginato per 5 miliardi di individui. Nel 2030, rispetto al 1990, il mondo richiederà +50% di risorse alimentari (FAO), +30% di risorse energetiche (IEA) e +40% di risorse idriche (OCSE). Nel frattempo, per stare nei +2 °C della COP 21 di Parigi, dovremmo ridurre del 52% entro il 2040 le emissioni di gas climalteranti!
TP: Transizione e decarbonizzazione? Stiamo procedendo?
DV: La transizione energetica è già in corso. I dati dell’International Energy Agency ci dicono che nel 2023 gli investimenti mondiali nei combustibili fossili sono stati di 1.000 miliardi di dollari, mentre nelle energie pulite sono stati di 1.800 miliardi circa. Tuttavia la rapidità con cui si procede è del tutto inadeguata rispetto agli obiettivi. Ma soprattutto c’è chi corre, chi passeggia e chi va in direzione opposta rispetto al traguardo. La virtuosa Europa, che è responsabile del 9% delle emissioni globali, ha policy di mitigazione molto aggressive e ha fissato il target di riduzione delle emissioni al 90% entro il 2040 e l’azzeramento entro il 2050. Mentre Cina, India e Stati Uniti, il terzetto responsabile del 47% delle emissioni globali, stanno facendo ancora molto poco. La Cina da sola è responsabile del 30% delle emissioni mondiali e non intende avviare la fase di riduzione prima del 2030.
TP: E l’Italia e la Basilicata?
DV: L’Italia ha obiettivi molto sfidanti, confermati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 del Governo Italiano, consegnato il 1° luglio 2024 alla Commissione europea. Il PNIEC prevede una riduzione dei gas serra del 29,3% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Incorporando anche quelle in programma, il taglio arriva a fine decennio a -40,6%. Per le Rinnovabili si prevedono 131 GW di potenza installata entro il 2030, di cui 79,2 GW da solare fotovoltaico e 28,1 da eolico. La Basilicata emette circa 5 milioni di tonnellate/anno di gas climalteranti. La metà è dovuta alle attività industriali. Per contro il dato medio nazionale vede l’apporto dell’industria intorno al 25% del totale. La Regione è comunque ben avviata verso la transizione energetica, almeno per ciò che riguarda le modalità di generazione elettrica. A fronte di un consumo di circa 3 Twattora/anno, in Basilicata si producono 4 Twattora/anno di energia elettrica da fonti rinnovabili.
TP: In che modo l’Italia e la Basilicata possono accelerare la transizione per centrare gli obiettivi previsti?
DV: In Italia vi sono richieste per installazione e connessione di nuova potenza rinnovabile per 341 GW, che valgono 3 volte l’obiettivo del Paese al 2030 e porterebbero a una riduzione di circa 10 milioni di tonnellate di gas climalteranti. Tra l’altro si tratta di investimenti privati senza aggravi per il bilancio dello Stato. Quindi si potrebbe dire che tutto procede nel migliore dei modi! Purtroppo non è proprio così. Le Regioni hanno tempi medi di approvazione delle nuove istanze del tutto incoerenti con le ambiziose tempistiche del PNIEC. E questo nonostante le norme di semplificazione e di accelerazione che hanno emanato gli ultimi governi. La Basilicata, per esempio, ha già ricevuto richieste per 22,2 GW di nuova potenza rinnovabile, per un totale di 987 pratiche ancora in istruttoria. Sono dati forniti da Terna. È come scalare l’Everest a mani nude. Vi è un problema di capacità tecnico-amministrativa delle Regioni (nel senso del termine anglosassone capacity) che viene da molto lontano. Gli organici dei funzionari (e dei dirigenti) che presidiano la materia sono molto scarni e sbilanciati verso competenze giuridico-amministrative, mentre sarebbero necessarie skill tecniche con robuste conoscenze tecnologiche. Fatto 100 il tempo necessario a istruire e approvare una Procedura di Valutazione di Impatto Ambientale o un’Autorizzazione Unica Integrata, almeno l’80% del ‘tempo-funzionario’ riguarda attività di istruttoria e valutazione tecnica e non già di gestione procedurale e amministrativa. È ormai ineludibile organizzare le strutture competenti interne alle Regioni per filiera verticale, delegando a soggetti tecnici esterni, comunque a giurisdizione pubblica, le analisi e le valutazioni tecnico-scientifiche sugli impianti da autorizzare, confermando come owner del procedimento la struttura amministrativa interna. Niente che non si possa rapidamente mettere in atto facendo collaborare Regioni, Università e Centri di Ricerca.
TP: A proposito di tecnologie decarbonizzanti, come si posiziona l’Italia sull’idrogeno?
DV: Benissimo sul posizionamento della nostra industria sull’intera filiera del vettore idrogeno, molto bene anche sulla qualità e sulla quantità dei progetti industriali. Molto male sul versante delle politiche industriali pubbliche che riguardano l’idrogeno. L’Italia presidia da sempre il settore della produzione di elettrolizzatori, sia con la tecnologia degli alcalini sia con quella più avanzata dei PEM (Proton Exchange Membrane). De Nora sta realizzando a Cernusco sul Naviglio, insieme a Snam, la più grande Gigafactory italiana per produrre elettrolizzatori per la generazione di idrogeno verde, con una superficie coperta di 25.000 m2 e una capacità produttiva di 2 GW/anno, che sarà operativa entro la metà del 2026.
Ora le ombre: la prima asta della Hydrogen Bank europea ha assegnato 720 milioni di euro di sussidi a 7 progetti europei per la produzione di idrogeno verde in Spagna, Portogallo, Norvegia e Finlandia. Dei circa 130 progetti candidati, intorno al 20% avevano come fornitori di elettrolizzatori imprese cinesi. La Cina sta puntando molto sull’industria degli elettrolizzatori, con forti sussidi di Stato alle proprie imprese, che (per ora) offrono tecnologie più datate (alcalini) e qualità costruttiva e rendimenti energetici inferiori a quelli europei, con costi molto diversi. Un elettrolizzatore cinese costa circa 200.000 USD/MW contro uno europeo che costa da 500.000 a 1,4 Euro/MW. C’è il rischio che accada con l’idrogeno verde quello che è successo con i collettori fotovoltaici, se non si corre ai ripari. E non con dazi che difficilmente il WTO farebbe passare, ma con ‘barriere’ di qualità tecnica e prestazionale che nel Far East non sono in grado (per ora) di superare.
L’ultimo aspetto riguarda l’assenza di politiche industriali sull’idrogeno. Va detto pure che l’Italia è tra i pochi Paesi europei a non avere ancora pubblicato la propria Strategia Nazionale sull’Idrogeno. Non basta emanare bandi, nazionali o regionali, che cofinanziano la realizzazione di impianti di produzione di idrogeno verde, se poi questo costerebbe 10-12 euro al Kg contro i 2 euro dell’idrogeno grigio o i 4 euro del blu. È indispensabile da un lato finanziare in conto esercizio la produzione del vettore per abbattere parte dei sovraccosti, e sembra che al MASE stiano lavorando su un decreto in tal senso. Ma allo stesso tempo è indispensabile che il pubblico metta in atto iniziative concrete per innescare una reale domanda di mercato di idrogeno verde. La Basilicata, che è una delle 5 Regioni ‘Hydrogen Valley’, dovrebbe darsi una politica industriale sull’H2 verde, per esempio innescando una domanda pubblica del vettore verde. Serve un Piano Regionale dei Trasporti che preveda flotte di autobus a idrogeno verde come pure un Piano Regionale della Forestazione, realmente produttiva, orientato alla produzione di bioidrogeno, come pure un Piano Regionale Energetico Ambientale che può incentivare gli usi termici dell’idrogeno verde presso strutture ricettive e istituzioni pubbliche. Nascerebbe così un mercato minimo ‘garantito’ che consentirebbe alle imprese di affrontare con fiducia la sfida dell’idrogeno verde.
TP: Quale può essere il ruolo della ricerca sull’accelerazione della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile, in particolare in Basilicata?
DV: Nel caso della transizione, la ricerca si deve focalizzare, come del resto sta facendo, sulla generazione di innovazione che porti rapidamente a creazione di valore industriale, soprattutto attraverso l’abbattimento dei costi di processo e l’efficientamento ambientale delle tecnologie energetiche. Solo per fare un esempio, oggi una turbina convenzionale a gas, se alimentata con idrogeno, produrrebbe più NOx di una turbina a metano, se non opportunamente ingegnerizzata. La Basilicata, attraverso UNIBAS, Enea, CNR, ha un’eccellente offerta di ricerca nel settore, in particolare sullo sviluppo delle tecnologie e dei processi di generazione energetica, come pure sul versante del vettore idrogeno. Rispetto al passato la Regione ha anche il vantaggio di aver costituito, meritoriamente, strutture organizzate: mi riferisco ai 5 Cluster Tecnologici tra cui il Cluster Energia, che vedono coesistere nello stesso contenitore organizzativo la domanda e l’offerta di ricerca industriale, ovvero gli enti di ricerca e le imprese lucane del settore energia. Il salto di qualità ulteriore, ove si intenda davvero sostenere le nuove catene di valore legate a transizione e decarbonizzazione, sarebbe proprio quello di realizzare nelle stesse aree industriali quei servizi di ricerca e sviluppo, di prototipazione rapida, di brevettazione, di scouting tecnologico che sono precondizione per il decollo e il successo commerciale delle tecnologie e dei servizi della transizione. Organizzando il sistema con un modello di gestione di tipo privatistico, dove i Cluster regionali potrebbero rivestire un ruolo fondamentale e in cui il pubblico svolga la funzione di regolatore.
TP: Per concludere cosa e chi dovrebbe fare di più su transizione e decarbonizzazione?
DV: Partiamo dal chi. Le imprese stanno facendo la loro parte, accollandosi anche qualche rischio, scommettendo su un mercato che è ancora nebuloso. C’è un problema, invece, di approccio del decisore politico che va risolto. Non basta immettere risorse per costruire nuovi impianti o fare il retrofit di quelli in esercizio. Si veda PNRR. Se vogliamo davvero che la transizione diventi una gigantesca opportunità di sviluppo economico, come spesso si afferma nella liturgia della comunicazione politica, serve un approccio di sistema. Vanno promosse e sviluppate intere filiere di tecnologie decarbonizzanti, per esempio con bandi regionali e nazionali, che traguardino la creazione di distretti produttivi della componentistica dell’intera filiera dell’idrogeno, tenendo dentro manifattura e ricerca e sviluppo. Produrre idrogeno verde, per esempio, significa mettere sul mercato sistemi di compressione e di refrigerazione, valvole dedicate, tecnologie logistiche sviluppate specificatamente sul’H2, turbine e motori endotermici nativi a idrogeno. Tutti prodotti che vanno sviluppati con un forte impegno della ricerca di ultimo miglio, ma rispetto ai quali la manifattura italiana è leader mondiale in termini di esportazioni e di competenze costruttive. A quando gli avvisi e bandi che incentivino questi settori?
Infine è necessario, quando si parla di transizione e decarbonizzazione, superare la compartimentazione adiabatica delle politiche nel ministero tal dei tali piuttosto che nel dipartimento regionale pinco pallo. Occorre una regia unica che metta in fase ex ante le scelte di fondo su transizione e decarbonizzazione. In Basilicata, per esempio, c’è una legge, la n. 32 del 15 ottobre 2018, Decarbonizzazione e politiche regionali sui cambiamenti climatici, che probabilmente è tra le più inapplicate tra quelle vigenti in regione, che integra e rende coerenti le scelte di programmazione e pianificazione dell’intero sistema dei Piani Regionali, subordinando le scelte di tali Piani all’analisi di compatibilità climatica, con un orizzonte di visione di lungo termine. Sperabilmente. Diceva Socrate che «Re o governanti non sono coloro che portano con sé uno scettro, ma quelli che vedono il futuro».