Transizione? Ancora non pervenuta

Autore

Pasquale Alferj

Data

30 Agosto 2024

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5' di lettura

DATA

30 Agosto 2024

ARGOMENTO

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Uno storico tra ingegneri ed economisti parla di energia. Una critica pungente e ben argomentata alla narrazione dominante sulla transizione energetica.

«Questo libro racconta una nuova storia dell’energia e permette di comprendere l’estraneità radicale della nozione di transizione. Al posto di presentare la successione dei sistemi energetici nel corso del tempo, spiega perché tutte le energie primarie sono cresciute di pari passo e perché si sono ‘accumulate’ senza essere sostituite. Al posto di considerare le energie come unità separate e in competizione, svela la storia dei loro legami e della loro interdipendenza. La sfida è immensa perché le relazioni simbiotiche spiegano la permanenza delle energie primarie fino ai nostri giorni e costituiscono gli ostacoli maggiori sul cammino della decarbonizzazione.» Così Jean-Baptiste Fressoz – storico delle scienze, delle tecniche e dell’ambiente; ricercatore al CNRS; insegnante all’EHESS e all’École des ponts et chaussées – riassume la tesi centrale del suo libro Sans transitions. Une nouvelle histoire de l’énergie (Seuil, 2024).

Una storia raccontata in maniera diversa dalle altre perché rompe con la tradizione che la concepisce come lineare, progressiva, inevitabile, e nel valutare l’uso delle varie fonti energetiche, parte dai valori assoluti piuttosto che dalle dinamiche relative. I primi ci permettono di comprendere la pressione ecologica sulle forze produttive; le seconde ci consegnano all’illusione di un succedersi di sostituzioni.  

Nella prima parte del libro l’Autore critica duramente la ‘periodizzazione canonica’ che ha influenzato la storia dell’energia, modellata su analogie con la geologia, la paleontologia e l’archeologia. Questa visione, che egli definisce ‘fasista’, segmenta la storia in epoche distinte, ciascuna caratterizzata dal predominio di una specifica fonte energetica. Secondo Fressoz, essa è fuorviante perché non considera le interconnessioni e la simbiosi tra le diverse fonti energetiche e non lascia spazio al concetto di ‘transizione’. Per Fressoz simbiosi di fonti energetiche significa che ogni nuova energia dipende, per il suo sviluppo, da un uso maggiore di quelle precedenti.  L’esempio da cui parte è quello dell’ascesa del carbone nel XIX secolo che non ha segnato la fine dell’uso del legname, anzi ha comportato l’aumento del suo consumo conseguentemente alle esigenze di trasporto del carbone (dalle chiatte alle traversine ferroviarie) o di puntellamento delle miniere. Allo stesso modo, l’introduzione del petrolio e poi del gas non ha sostituito il carbone o il legname, ma ha generato una domanda di acciaio per tubi, serbatoi e cemento per la costruzione di strade per le auto, materiali la cui produzione dipendeva dall’uso di energie fossili quali, appunto, il carbone. Questa visione, che riconosce le relazioni simbiotiche tra le fonti energetiche, sfida, quindi, la nozione comune di transizione come un processo di sostituzione lineare e inevitabile.

La definizione di ‘transizione energetica’ fornita dall’Autore rientra in una ricostruzione storica basata su un approccio critico, che evita di ridurla a un mero passaggio da una fonte di energia a un’altra, guidato da inevitabili miglioramenti tecnologici. Finché la visione ‘fasista’ non viene messa in discussione – secondo questo approccio – la transizione energetica resta un’invenzione della tecnologia e della finanza. Essa, inoltre, è diventata lo strumento adottato da esperti, imprese e governi per indicare la via verso un mondo senza carbonio.

Nella seconda parte del libro, Fressoz si interroga sul perché il concetto di ‘transizione energetica’ abbia preso piede alla fine del XX secolo, nonostante questo fosse contraddetto dalle dinamiche energetiche. Egli individua la sua origine negli anni Cinquanta, all’interno del dibattito della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati uniti (AEC), un’istituzione fortemente influenzata dai timori di una crisi energetica globale dovuta all’esaurimento delle risorse fossili. Fressoz descrive come i cosiddetti ‘maltusiani atomici’ preoccupati di questa possibile situazione, abbiano introdotto tale concetto intendendolo come inevitabile passaggio verso l’energia nucleare. Forte è stata la loro attività di lobby, ampi i mezzi finanziari di cui hanno potuto disporre e importanti le ricerche e i rapporti che sull’argomento hanno fatto circolare nei vari uffici dell’Amministrazione americana. Inoltre, spinti anche dalla loro curiosità, hanno utilizzato la solida strumentazione scientifica di cui disponevano per studiare i meccanismi del sistema Terra e analizzare le conseguenze climatiche della combustione delle risorse fossili.

Negli anni Sessanta si inizia a parlare di ‘crisi energetica’, in seguito agli improvvisi black-out elettrici che colpiscono diverse città americane (il più noto è quello di New York del 1965). Il problema assume una dimensione considerevole con lo shock petrolifero del 1973-74 che avviene nel pieno delle discussioni pubbliche sulla crescita economica e sull’esaurimento delle risorse (il celebre rapporto del Club di Roma è di due anni prima). È allora che l’espressione ‘transizione energetica’ inizia a farsi strada: il modello di transizione, pensato per l’esaurirsi delle risorse naturali, viene trasferito sulla questione del cambiamento climatico che dipende da tutt’altro. Fressoz avverte: le false partenze possono avere conseguenze dirompenti.

Il momento cruciale nella diffusione del concetto di ‘transizione energetica’ può essere ravvisato nel ‘discorso alla nazione’ pronunciato dal Presidente degli Stati Uniti d’America Jimmy Carter, il 18 aprile del 1977, nel quale invoca la necessità di una nuova transizione verso il risparmio energetico e l’energia solare. Il messaggio, supportato da un’immagine che mostra tre curve rappresentanti i sistemi energetici principali (legname, carbone, petrolio e gas), suggella l’idea di una successione armoniosa delle fonti energetiche e convalida così una dinamica storica di sostituzione. Dietro a questa rappresentazione, si cela il lavoro del fisico italiano Cesare Marchetti, un convinto sostenitore dell’energia nucleare, dal quale Fressoz è attratto, per la sua influenza nel dibattito sull’energia di quegli anni, in particolare per i suoi lavori sull’inerzia del sistema energetico.

Marchetti è amico di Aurelio Peccei, segue le attività del Club di Roma, partecipa alla fondazione dell’Istituto Internazionale per gli Studi Applicati (IIASA) e introduce William Nordhaus alle questioni climatiche. Il filo che unisce i tre – Peccei, Marchetti e Nordhaus – è l’interesse per la modellizzazione delle risorse naturali e l’ambiente (Nordhaus è tra i primi a confutare il lavoro del Club di Roma mostrando che l’innovazione permette di superare i limiti della crescita e il modello DICE degli anni Novanta non è indifferente alle questioni economico-ambientali allora sollevate). La critica a Nordhaus è centrale nella ‘ricostruzione’ di Fressoz ed è connessa in particolare all’influenza da lui esercitata sui lavori del Gruppo III dell’IPCC relativi alla mitigazione del cambiamento climatico. «La natura non può imporci dei limiti», è un’affermazione forte di Nordhaus, in linea con i suoi studi sul rapporto costi-benefici delle politiche climatiche di cui è pioniere. Nel periodo in cui collabora con lo IIASA (primi anni Settanta) – secondo Fressoz – il suo lavoro supporta la convinzione che le politiche di mitigazione del cambiamento climatico devono essere graduali, basate su un progresso tecnologico che permetta di affrontare il problema solo quando i danni sono diventati più evidenti e le tecnologie a basse emissioni più accessibili. Secondo Fressoz, questo atteggiamento ha contribuito a ritardare le azioni necessarie per affrontare la crisi climatica, con conseguenze potenzialmente disastrose. Bisognerà aspettare – sempre seguendo Fressoz – la battaglia condotta negli anni Novanta da Jean Claude Hourcade e il suo gruppo all’interno dell’IPCC per un cambio di passo da parte dell’istituzione, grazie allo sviluppo di modelli che tengono conto non solo dei benefici a lungo termine, ma anche dei co-benefici delle azioni climatiche immediate. La svolta arriva troppo tardi in un mondo che fino ad allora aveva seguito la ‘traiettoria ottimale’ di Nordhaus, considerata tale anche con un aumento della temperatura intorno ai 3,5°C1.

All’uscita del libro, Fressoz è stato accusato di disfattismo sia dagli ambientalisti sia dagli esperti del clima. L’Autore, nell’introduzione dichiara apertamente che non è portatore di un programma politico per le elezioni. Sottolinea che il suo obiettivo non è «di criticare la ‘transizione’ se con questo termine intendiamo lo sviluppo delle energie rinnovabili» e che «non è ragionevole aspettarsi dai pannelli solari e dall’eolico più di quanto possono offrire.» Si rammarica, inoltre, dell’assenza di un serio dibattito pubblico sulle cose da fare, a quali costi (non solo finanziari, ma anche individuali), in quanto tempo e con quali risultati ‘realistici’. Osserva che le tecnologie di decarbonizzazione di cui si parla, complesse e costose da implementare, riguardano principalmente i Paesi ricchi e si chiede perché il dibattito si concentra solo sulle tecnologie ignorando le questioni sociali.

Per Fressoz la decarbonizzazione è alla base delle politiche climatiche. Rappresenta però solo la prima tappa e non è affatto semplice. La produzione elettrica rappresenta il 40% delle emissioni. A partire dal 2023, circa il 40% dell’elettricità mondiale proviene da fonti a basse emissioni di carbonio, inclusi il nucleare e le rinnovabili. Tuttavia, il settore dell’elettricità rimane un significativo emettitore di gas serra, responsabile di oltre un terzo delle emissioni globali. Ci sono settori come l’aviazione, il trasporto marittimo e la fabbricazione di acciaio, cemento, plastica e fertilizzanti che sono molto difficili da decarbonizzare a causa della loro intensità energetica e delle specifiche tecnologie di produzione. Esse rappresentano più di un quarto delle emissioni globali. Credere che l’innovazione possa contribuire a decarbonizzare in trenta-quarant’anni questi settori «è una scommessa tecnologica e climatica molto rischiosa.» L’Autore a questo punto si chiede come sia possibile disfarsi in quattro decenni di più di tre quarti di energia mondiale prodotta dai fossili. Perché non affrontare la questione della sobrietà, della riduzione della crescita, di una ripartizione più equa della ricchezza, delle risorse e delle responsabilità, di una riduzione dei consumi mondiali e delle cose che dobbiamo abbandonare? Sottolinea che su 3.000 scenari presenti nell’ultimo rapporto del Gruppo III dell’IPCC nessuno prende in considerazione – anche solo per via ipotetica – la questione della riduzione della crescita. Solo una volta ricorre il termine ‘sobrietà’, ma nell’accezione fuorviante inglese di sufficiency. Ma quando le curve di emissioni da seguire saranno stringenti, mettendo in questione sia la qualità della nostra vita sia la vita stessa del pianeta, questi temi si imporranno di fatto.

Il cambiamento climatico esige un cambiamento di civiltà e non solo di tecnologie, afferma Fressoz. Dei suoi effetti, incontestabili, facciamo esperienza tutti i giorni. La sfida climatica richiede una trasformazione radicale di tutte le forme di produzione, scambio, consumo. Richiede un cambiamento della rappresentazione del mondo e del posto degli umani al suo interno. Nella storia non c’è alcun analogo a cui far riferimento.

Note

  1. Per i 3,5°C, J-B. Fressoz invita a guardare la Fig. 3 della scheda preparata dalla Fondazione Nobel in occasione del Premio del 2018: https://www.nobelprize.org/uploads/2018/10/popular-economicsciencesprize2018.pdf

    Feem, nelle sue ‘Note di Lavoro’, ha pubblicato un testo a cui ha collaborato anche William D. Nordhaus: https://www.feem.it/en/publications/modeling-uncertainty-in-climate-change-a-multi-model-comparison/

    Sempre nelle ‘Note di Lavoro’, Feem ha pubblicato un testo sulla dura polemica Nordhaus/Stern sempre a proposito di modelli. Gli autori sono quasi tutti ricercatori del CIRED, il centro internazionale di ricerca sull’ambiente e lo sviluppo all’epoca diretto da Jean-Charles Hourcade: https://www.feem.it/en/publication/desentangling-the-stern-nordhaus-controversy-beyond-the-discounting-clash/

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