Il cambiamento climatico, la disponibilità di terra e acqua e la biodiversità rappresentano le sfide più importanti del XXI secolo e l’identificazione di politiche di mitigazione che abbiano benefici immediati e a lungo termine sarà fondamentale per affrontarle.
L’agricoltura è responsabile di una quota sostanziale di queste minacce. Il 20% delle emissioni mondiali di gas serra è attribuibile al sistema alimentare e l’80% di queste è causato dal bestiame, nonostante questo fornisca solo una frazione delle calorie totali e dell’apporto proteico della dieta umana1. Il bestiame è anche il principale motore della deforestazione e della perdita di biodiversità, specialmente in aree tropicali.
Tra i diversi tipi di carne, la carne bovina è la più problematica: la fermentazione enteric rilascia metano, un potente gas serra, inoltre, sono necessari grandi seminativi e fertilizzanti per la coltivazione dei mangimi, molta CO2 viene emessa dal processo produttivo, il fabbisogno idrico è incredibilmente alto e il tasso di conversione (il rapporto tra mangime e prodotto ottenuto) è molto basso2.
Altri effetti negativi scientificamente provati sono legati alla salute: carne rossa e carne lavorata sono correlate con alcune malattie come la coronopatia, alcuni tipi di cancro, il diabete e l’ictus3.
Nonostante tutto, il coinvolgimento del pubblico e la copertura mediatica sono piuttosto scarsi su questo tema spesso trascurato e i consumatori sottovalutano l’impatto ambientale della carne4. Il consumo e la produzione di prodotti legati alla carne bovina hanno visto una crescita costante negli ultimi decenni a livello globale, più che raddoppiando rispetto agli anni ‘605.
In Italia, la produzione è leggermente diminuita rispetto al picco di 1,2 milioni di tonnellate degli anni ’90, pur restando il terzo produttore dell’UE. L’andamento della struttura del settore zootecnico è simile a quello agricolo, con sempre meno aziende ma di dimensioni maggiori e con più capi6.
In termini di emissioni e inquinante, il settore agricolo e zootecnico italiano ha performance migliori rispetto alla media mondiale ed europea, rappresentando solo il 7% delle emissioni nazionali di CO2 eq, e in diminuzione in valore assoluto, anche se piuttosto statico dalla fine degli anni 20007.
L’analisi più completa e dettagliata del consumo di carne in Italia e del suo impatto è risultata essere il rapporto di Demetra Onlus del 2021, con i dati che mostrano che gli italiani consumano 128 g di carne al giorno pro capite, suddivisi in: 29 g di manzo, 61 g di maiale, 33 g di pollame e 5 g di altri tipi di carne (agnello, bufalo…).
Il potenziale di riscaldamento globale (GWP), cioè «quanto una certa attività o prodotto contribuisce all’effetto serra», misurato in g di CO2 equivalente per 100 g di carne, è di 32,5 g per bovini, 12,5 g suini e 9 g per il pollo.

Risulta evidente che la carne bovina ha la più alta impronta di carbonio con emissioni di gran lunga maggiori rispetto alle altre, legate soprattutto alla fermentazione enterica e alla gestione del letame. La differenza è ancora più marcata se confrontata con un’alternativa proteica vegetale come piselli o soia (Fig. 1 e 2).
La carne bovina è anche la più impattante in tutte le categorie analizzate, tranne una: l’ecotossicità terrestre. L’uso del suolo è tre volte maggiore rispetto alla carne di maiale (che normalmente si trova in seconda posizione nelle varie metriche), l’acidificazione terrestre quattro volte tanto, l’eutrofizzazione marina cinque volte, la produzione di particolato atmosferico di oltre quattro volte e il consumo d’acqua di ben sette volte. Anche in questi casi, il confronto con l’alternativa vegetale è ancora più sfavorevole.
Tutti questi effetti negativi hanno un costo per la società che, sebbene difficili da stimare precisamente in termini monetari, danno comunque una certa approssimazione dei valori assoluti e dei rapporti tra le diverse carni. Un riassunto è presentato nella figura sottostante:

Il costo ambientale di un chilo di carne bovina è stimato in 13.5 €, un chilo di carne di maiale 5 € e di pollo 4.7 €.
Moltiplicando il consumo di carne italiano per il costo ambientale si ottengono 18.6 miliardi complessivi di spesa nascosta che l’intera società paga ogni anno, a cui anche chi non consuma carne giocoforza contribuisce.
Ma questo non è l’unico costo nascosto dato dal consumo di carne. È stato dimostrato infatti il legame tra il consumo di carne rossa e lavorata e l’aumento di incidenza di quattro patologie considerate nello studio: carcinoma colon-retto, diabete tipo 2, ictus, coronopatie.
Il consumo medio italiano di carne rossa aumenta il rischio di contrarre le prime tre del 3.5%, 8.6% e 5.4% rispettivamente, mentre diminuisce il rischio di coronopatie del 3%. Il consumo di carne lavorata invece, costituita principalmente da affettati di maiale, aumenta significativamente il rischio di tutte le patologie considerate: carcinoma + 16%, diabete + 31%, ictus + 16%, coronopatie + 14%.
L’aumento di queste malattie porta inevitabilmente a dei costi per il sistema sanitario italiano, stimati nello studio in 5.4 € al chilo per la carne rossa e in 10.4 € al chilo per la carne lavorata, mentre non si registrano aumenti di patologie legate al consumo di carni bianche. Se, di nuovo, moltiplichiamo questo costo al kg per il consumo di carne in Italia, si ottiene che il costo sanitario pagato dalla collettività legato al consumo di carne è pari a circa 17.6 miliardi.
Possiamo riassumere la situazione nel grafico sottostante, sommando i due costi nascosti (ambientale e sanitario), relativi al consumo di 100 g di prodotto (sx) e 100 g di proteine (dx), con confronto con alternativa vegetale.

Possiamo quindi concludere che la carne bovina è la tipologia di gran lunga più impattante a livello ambientale e contende il primato a livello sanitario con la carne di maiale, ma solamente perché quest’ultima è consumata in grande quantità nella forma lavorata (prosciutti), anziché nella sua forma sfusa e meno processata.
Una riduzione del consumo di carne rossa e la sua sostituzione con alternative vegetali o anche carni bianche, è quindi auspicabile non solo dal punto di vista ambientale, di impronta carbonica, riduzione degli inquinanti, consumo d’acqua ecc, ma anche dal punto di vista sanitario ed economico.
A cura di Marta Castellini
Note
- R. K. Pachauri, M. R. Allen, V. R. Barros, J. Broome, W. Cramer, R. Christ, et al., Climate Change 2014: Synthesis Report. Contribution of Working Groups I, II and III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Ginevra, 2014.
- M. De Vries, I. J. M. de Boer, Comparing environmental impacts for livestock products: A review of life cycle assessments, in “Livest Sci”, 2010 (128), pp. 1–11.
- Red and processed meat linked to increased risk of heart disease, Oxford study shows, in https://www.ox.ac.uk/news/2021-07-21-red-and-processed-meat-linked-increased-risk-heart-disease-oxford-study-shows#:~:text=Oxford%20study%20shows-,Red%20and%20processed%20meat%20linked%20to%20increased,heart%20disease%2C%20Oxford%20study%20shows&text=Largest%20review%20of%20all%20large,the%20risk%20of%20heart%20disease; Il costo nascosto del consumo di carne in Italia: impatti ambientali e sanitari, Demetra Onlushttps://www.carnisostenibili.it/wp-content/uploads/2021/03/report-DEMETRA.pdf
- C. Hartmann, M. Siegrist, Consumer perception and behaviour regarding sustainable protein consumption: A systematic review, in “Trends in Food Science & Technology”, Volume 61, 2017, pp. 11-25.
- Our World in Data, Beef production, 1961 to 2021, in https://ourworldindata.org/grapher/beef-and-buffalo-meat-production-tonnes?tab=chart
- Censimento agricoltura 2010, serie storiche, in http://dati-censimentoagricoltura.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DICA_SERIESTOR1
- D. Romano, L’andamento delle emissioni nazionali di gas serra, in Le emissioni in atmosfera in Italia, ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 2020, in https://www.isprambiente.gov.it/files2020/eventi/gas-serra/romano.pdf, p. 18