Dicembre 2014 – Feeding the Planet, Energy for Life, il tema affidato a Expo 2015, è da considerarsi una tra le sfide più complicate – se non la più complicata – che l’umanità abbia mai dovuto affrontare. Una sfida sempre esistita, ma che solo con la nostra generazione ha assunto una dimensione globale e richiede particolare attenzione per far fronte a quelli che oggi chiamiamo planetary boundaries o «limiti del Pianeta». In questo contesto, il termine «globale» non si limita a esprimere una connotazione geografica del problema, ma implica il fatto che su questi temi sia necessario confrontarsi in maniera integrata e interconnessa tra tutti gli attori e settori della società.
È proprio sulla necessità di connessione e dialogo tra i diversi attori economici e sociali che voglio porre l’accento, con un focus specifico sul continente africano.
Nonostante le sfide globali, i cambiamenti climatici e gli eventi estremi che il nostro Pianeta si trova a dover affrontare con sempre maggiore frequenza, la buona notizia è che gli ultimi vent’anni sono stati un periodo di indiscutibile progresso, grazie al quale è stato possibile garantire a un nu mero sempre più grande di persone una condizione di sicurezza alimentare e buona salute.
Siamo in procinto di sradicare la povertà estrema, ossia quella condizione che la Banca Mondiale identifica per gli individui che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Secondo le stime, nel 1990 la percentuale di famiglie al di sotto della soglia della povertà estrema raggiungeva, nelle economie in via di sviluppo, il 44%. Nel 2010 questa percentuale è scesa al di sotto del 22% e oggi potrebbe già essere sotto al 20%, in considerazione del fatto che, nonostante la crisi, la crescita economica nei paesi in via di sviluppo non si è fermata. È quindi corretto ipotizzare che nell’arco di una generazione – entro il 2030 – sarà possibile eliminare del tutto la povertà estrema. Un obiettivo talmente realistico che la stessa Banca Mondiale, a maggio 2013, nella Commissione Sviluppo, l’ha adottato come target ufficiale.
Dopo queste premesse positive, il vero tema da affrontare è il fatto che questo progresso sia fragile e non consolidato. Anche se la povertà è stata ridotta, crescono la disuguaglianza e, con essa, l’instabilità sociale, politica e ambientale. Il problema non riguarda esclusivamente le economie in via di sviluppo: gli Stati Uniti, in una sola generazione, hanno assistito a una crescita incredibile della disuguaglianza. Sono ora uno dei paesi più diseguali del mondo cosiddetto «sviluppato», con grandi disparità di benessere. Assistiamo al declino della mobilità sociale: un bambino statunitense nato in una famiglia povera ha oggi ridottissime possibilità di affrancarsi dalla propria condizione, soprattutto in considerazione dell’alto tasso di disoccupazione giovanile.
A questi fenomeni sociali ed economici si affianca una dimensione che rende il tutto più complicato: quella ambientale. Stiamo attraversando il cambiamento climatico più drammatico nella storia degli ultimi cento milioni di anni, anche volendo considerare gli effetti causati dalle variazioni orbitali del nostro Pianeta intorno al Sole. Ne è una dimostrazione l’alto numero di eventi naturali estremi – alluvioni, inondazioni, tifoni – che ha di recente interessato il mondo. Se non possiamo dire con certezza che siano causati dalle attività dell’uomo, dobbiamo però ammettere che la frequenza con cui si sono verificati è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni.
Siamo sempre più vicini al raggiungimento dei cosiddetti planetary boundaries, ossia quei limiti entro cui l’attività dell’uomo può operare senza avere effetti che mettano a repentaglio il Pianeta e la stessa vita umana, quali per esempio la distruzione degli ecosistemi marini a causa dell’acidificazione degli oceani o l’inquinamento massivo derivato dall’uso intensivo di fertilizzanti, la distruzione di habitat naturali e la perdita di biodiversità.
Un cambiamento ambientale, quello a cui assistiamo, che non ha prece denti anche per le premesse economiche e demografiche che vi sottendono. Con una popolazione mondiale di 7,2 miliardi di persone e un massiccio sviluppo tecnologico, l’intensità di utilizzo delle risorse naturali è quasi centuplicata rispetto al periodo preindustriale.
Stime ci dicono che raggiungeremo otto miliardi di persone a metà del prossimo decennio e nove miliardi nel 2040. L’economia mondiale, nono stante la crisi post 2008, continua a crescere tra il 3,5 e il 4% annuo, il che significa che gli stress economici sui sistemi fisici del Pianeta sono destinati a crescere e ad amplificarsi.
Con questo grado di attività umana, gli equilibri per la biosfera, per gli ecosistemi e per tutta una serie di processi fondamentali per la Ter ra – quali il ciclo del carbone, del nitrogeno e dell’acqua – saranno sempre più alterati.
L’era dello sviluppo sostenibile
È giunto il momento di entrare nell’era dello sviluppo sostenibile, ossia in un sistema che tenga conto non solo delle dinamiche economiche, ma anche delle implicazioni sociali e ambientali. Il concetto di «sviluppo sostenibile» è stato definito dalla Commissione Brundtland circa venticinque anni fa come quello sviluppo che incontra i bisogni delle generazioni pre senti, tutelando quelli delle generazioni future.
Una definizione più recente lo identifica come quell’approccio olistico alla società che richiede che, per ogni grande sfida, si utilizzino le cosiddette «tre lenti»: quella economica, quella sociale e quella ambientale. Da un punto di vista analitico, nell’ottica dello sviluppo sostenibile, abbiamo bi sogno di comprendere il Pianeta come un insieme di interazioni complesse, interconnesse e non lineari di attività umane e fisiche. Questo significa che la società deve prestare simultaneamente attenzione a tre obiettivi base: il progresso economico, l’inclusione e la coesione sociale e la sostenibilità ambientale.
La sfida alimentare
Con il 40% della popolazione mondiale soggetta a malnutrizione, quella alimentare è una delle sfide a cui quest’approccio olistico può essere applicato, poiché il tema alimentare è per sua natura interconnesso a questioni sociali, tecniche, politiche, economiche e organizzative. Applicando il «principio delle tre lenti» da un punto di vista economico, desideriamo avere abbondanza di risorse nutrienti e a basso costo. A livello sociale, possiamo fissare due obiettivi cruciali che afferiscono all’industria alimentare: dal punto di vista della produzione, si opera affinché i piccoli imprenditori diventino più produttivi, così da poter uscire dalla morsa della povertà; dal punto di vista del consumo, vogliamo che le famiglie più povere abbiano accesso a risorse alimentari a prezzi sostenibili. Ma è sul piano ambientale che la sfida alimentare si fa più complicata e questo perché, se da una par te il cambiamento climatico sta minando la sicurezza alimentare, dall’altra il sistema alimentare costituisce il primo driver antropogenico di cambiamento climatico e ambientale, considerando che l’industria alimentare è la causa di un quarto di tutte le emissioni climalteranti.
Continuare secondo l’adagio business as usual potrà rendere quindi la situazione estremamente pericolosa. Andremo incontro a un aumento dei prezzi del cibo, il che potrà significare devastazione per i poveri, vulnerabilità per l’Africa e altre regioni in difficoltà, shock ambientali e un’esacerbazione crescente delle perdite di biodiversità ed ecosistemi.
Il gruppo tematico dell’SDSN (Sustainable Development Solutions Net work) dedicato al sistema agricolo e alimentare ha effettuato un’analisi di contesto della crisi nelle varie regioni del mondo, da cui è emerso che l’Africa subsahariana e il Sud-Est asiatico sono i due epicentri dei problemi più estremi in termini di povertà e malnutrizione. In questi contesti, l’intensificazione di una via di agricoltura intelligente ed ecologica, supportata da un attento sforzo di pianificazione e organizzazione, può fare una gran differenza. Grazie allo sviluppo tecnologico in campo agro-ecologico, questo percorso sostenibile all’agricoltura è realmente possibile.
La sfida energetica
Passando a quella che definiamo «sfida energetica», l’urgenza si fa ancora più seria.
Analizzando il problema dell’accesso all’energia attraverso le «tre lenti» osserveremo, da un punto di vista economico, la necessità di abbondanti risorse energetiche primarie a basso costo che rispondano a requisiti economici e di mercato. Da un punto di vista sociale, l’obiettivo è che l’energia raggiunga tutti e colmi il gap di accesso a essa che caratterizza il mondo odierno: sono 1,3 miliardi le persone che ancora oggi non dispongono di elettricità. Infine, da un punto di vista ambientale, vogliamo una decarbonizzazione estensiva del sistema energetico, al fine di evitare conseguenze molto gravi sul clima globale.
Nell’aprile 2013 abbiamo raggiunto il più alto tasso di concentrazione di CO2 nell’atmosfera degli ultimi tre milioni di anni, a dimostrazione del fatto che l’impatto delle attività umane negli ultimi cinquant’anni è, rispetto all’esperienza geologica della Terra, assolutamente fuori limite. Lo scenario in cui siamo inseriti – così come stimato dall’International Energy Agency – vede un incremento della temperatura terrestre di 3,6 gradi entro la fine del ventunesimo secolo, con la previsione di profondi e drammatici cambiamenti per il nostro Pianeta.
Volendo affrontare il problema del cambiamento climatico a livello macro, osserviamo che, mentre l’economia mondiale continuerà a crescere probabilmente di due o tre volte entro il 2040, il livello di emissioni di diossido di carbonio dovrà scendere del 75-80%. Sappiamo che il tasso di cambiamento climatico attuale è guidato principalmente dai combustibili fossili. Lo sviluppo della nostra società si è fondato su essi e tutto ciò che riguarda la moderna vita economica è stato reso possibile grazie a carbone, petrolio e gas. A tutti gli effetti, possiamo dire di vivere ancora in una fossil fuel age.
Un percorso di sviluppo sostenibile richiede quindi un intervento sui tre principali combustibili fossili: il carbone, che deve essere eliminato completamente; il petrolio, il cui uso andrà ridotto in maniera significativa; il gas, che dovrà rimanere la fonte energetica d’elezione in un mondo decarbonizzato, con un alto supporto di fonti energetiche rinnovabili.
I paesi che oggi posseggono fonti fossili – in primis USA, Canada, Australia, Polonia e Medio Oriente – non nascondono le proprie preoccupazioni rispetto a questo tipo di approccio ed è necessario che il problema energetico venga affrontato in maniera franca e onesta, prevedendo una più trasparente e chiara strategia per la definizione di target di medio periodo.
Ovviamente quanto appena affermato potrà essere rimesso in discussione laddove si riuscisse a sviluppare una tecnologia in grado di catturare efficacemente il diossido di carbonio e sequestrarlo. Questa è stata la grande speranza degli ultimi vent’anni, ma le sensazioni degli ingegneri e del management industriale ci fanno guardare a quest’opzione con molto scetticismo.
Passando al livello micro, ciò su cui è necessario puntare è l’incentivo a lavorare per contrastare lo scenario sopra descritto. Guardando alle economie in via di sviluppo, questo può verificarsi solo grazie a una strategia di finanziamento pubblico-privato, che svincoli le politiche dal le mere logiche di mercato. L’accesso all’energia pulita per tutti, infatti, porta vantaggi all’intero sistema: per esempio, convertire le cooking stoves a biomassa in cucine a energia pulita e rinnovabile significa innanzitutto salvaguardare la salute delle persone che le utilizzano, ma anche ridurre l’inquinamento dato dalla combustione di biomasse, carbone e carbonella, con effetti positivi a livello globale per quanto riguarda il surriscalda mento terrestre.
Inoltre, con lo sviluppo di migliori modelli di business, è possibile trovare soluzioni che siano almeno semi-commerciali. Uno dei meccanismi più utilizzati per distribuire energia solare nei villaggi è la concessione di elettricità prepagata tramite sms o apposite tessere. Con l’intervento del settore pubblico e le giuste politiche di sussidio, sarebbe possibile aiutare le famiglie più povere a pagare una parte della bolletta, laddove i prezzi di mercato non fossero sostenibili, riuscendo così a non escludere fasce della popolazione dall’accesso a fonti di energia pulite.
La sfida energetica per l’Africa
Senza elettricità non si può pensare di abbattere la povertà o raggiungere lo sviluppo economico. Per questo, l’obiettivo deve essere «energia per tutti» entro l’arco temporale di validità dei Sustainable Development Goals. Questo però non è il trend che stiamo seguendo e che – se lasciato invariato –vedrebbe il 40% o addirittura il 50% della popolazione dell’Africa rurale senza accesso all’energia da qui a cinquant’anni.
Invertire il trend significa lavorare a nuove strategie politiche, a finanziamenti su larga scala a sostegno di tali strategie e a modelli di business a livello locale per far sì che quell’energia arrivi effettivamente alle comunità locali e possa essere misurata, acquistata e utilizzata.
Il 90% della popolazione dell’Africa rurale non dispone attualmente di elettricità. Eppure gli studi effettuati mostrano che circa 300 milioni di persone nella parte orientale potrebbero avere accesso all’energia grazie all’utilizzo del gas e delle rinnovabili. L’Africa centrale potrebbe essere elettrificata con l’idroelettrico e l’Africa occidentale, specialmente il Sahel, con solare e gas. In Congo si stimano 50 GW di potenza idroelettrica non sfruttata che – se resa disponibile, grazie anche allo sviluppo di un modello che veda la sinergia tra pubblico e privato – potrebbe cambiare la vita di 250 milioni di persone in Africa centrale.
A questi dati si sommano le recenti scoperte di giacimenti di gas al largo delle coste del Mozambico e lungo la costa della Tanzania, in Uganda, Kenya e Ghana, che costituiscono un vero potenziale per il continente africano. Ma per far sì che quel potenziale non vada sprecato e che sia di supporto alla creazione di un sistema energetico in Africa, sono necessari uno sforzo eccezionale di pianificazione e soluzioni lungimiranti compatibili con uno sviluppo sostenibile. Stiamo parlando di un orizzonte temporale di trenta o quarant’anni, un periodo che va al di là di qualsiasi capacità progettuale dell’attuale classe politica.
Per questa ragione abbiamo bisogno del contributo dei governi, ma anche del settore privato; abbiamo bisogno di piani e di forze di mercato. Abbiamo bisogno di lavorare alla creazione di una cultura dello sviluppo sostenibile.
Approccio culturale allo sviluppo sostenibile
Quella verso cui ci stiamo muovendo è l’era dello sviluppo sostenibile e, in particolare, degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), la serie di obiettivi che sarà adottata a partire dal settembre 2015 e che costituirà l’evoluzione dei Millennium Development Goals.
Una delle grandi aspettative rispetto agli SDGs è la loro potenziale capacità di portare il tema dello sviluppo sostenibile all’attenzione dell’opinione pubblica; il fatto che Expo 2015 si svolgerà nello stesso periodo costituisce un’ulteriore occasione per amplificare la loro diffusione e aumentare la consapevolezza del pubblico.
Se pensiamo alle 350 pagine dell’«Agenda 21» approvata nel 1992 al Summit di Rio, possiamo certamente affermare che si trattava di un documento perfetto dal punto di vista analitico, imprescindibile dal punto di vista di un amministratore delle Nazioni Unite ma, al di là del target tecnico a cui era rivolto, non ha avuto vita pubblica.
Solitamente, in occasione di meeting internazionali sul cambiamento climatico, la copertura mediatica è molto bassa e ciò contribuisce a creare su questi temi un’audience fatta esclusivamente di diplomatici e tecnici. Ciò alimenta un’opinione pubblica che ha una conoscenza superficiale del problema: sa che il clima sta cambiando e che ciò non costituisce un fatto positivo, ma non ha idea dell’esistenza di alternative possibili.
Come disse il Presidente John F. Kennedy: «Disegnando un obiettivo raggiungibile e meno remoto, aiutiamo tutte le persone a vederlo, a guardarlo con speranza e a muoversi inesorabilmente verso di esso».
Ciò che gli SDGs possono fare è mostrare quello che sarà il futuro, esse re d’ispirazione, mostrare le opportunità e poi dirci come realizzarle. Con i Sustainable Development Goals possiamo ispirare le persone. E molto ancora può essere fatto aumentando la consapevolezza pubblica, grazie alla costruzione di percorsi di studi ad hoc in tutti i cicli di istruzione, dal livello primario a quello universitario.
Fonte/Testo originale: Jeffrey D. Sachs, ‘Nutrire il Pianeya, energia per l’Africa’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 3, dicembre 2014, Il Mulino.
La popolazione mondiale ha ormai superato i sette miliardi di persone, circa dieci volte quella presente ai tempi della Rivoluzione Industriale. Questo numero è destinato a crescere rapidamente di circa 75-80 milioni di persone all’anno, il che significa che toccherà la punta di otto miliardi entro il 2020 e, presumibilmente, nove entro il 2040. Riusciremo a rendere un mondo così configurato, ancora diviso tra ricchezza e povertà, un mondo giusto, prosperoso e sostenibile dal punto di vista ambientale? A partire da questo quesito e sul concetto di «sviluppo sostenibile» – con un focus particolare sui temi di Milano Expo 2015 – il 6 dicembre 2013 la Fondazione Eni Enrico Mattei ha ospitato la lecture Feeding the Planet – Energy for Africa del professor Jeffrey D. Sachs.
Direttore dell’Earth Institute, Quetelet professor sui temi dello sviluppo sostenibile e professore di Politiche e Management sanitario alla Columbia University, Jeffrey D. Sachs è uno degli esperti mondiali di economia dello sviluppo e lotta alla povertà; ha creato il Sustainable Development Solutions Network (SDSN) ed è Consigliere al Segretario Generale delle Nazioni Unite per la definizione e l’implementazione dei Millennium Development Goals e dei futuri Sustainable Development Goals (SDGs).
Nel suo intervento Jeffrey D. Sachs ha illustrato come l’accesso universale a un’energia sostenibile sia un prerequisito essenziale per raggiungere quegli obiettivi di sviluppo su cui il futuro – non solo quello dei più poveri del mondo, ma anche del sistema economico globale – si fonda.
Snodo fondamentale del pensiero di Jeffrey Sachs è l’invito a combinare l’iniziativa privata con un forte e lungimirante intervento da parte del settore pubblico per la creazione di opportunità e innovazione tecnologica e per la gestione efficiente delle risorse ambientali. Sforzi concreti ed efficaci in questa direzione, profusi da tutti gli attori sociali, aiuteranno non solo a nutrire il Pianeta, ma ad assicurare benessere e crescita per tutti.
Lo sviluppo del continente africano non fa eccezioni. In un contesto di nuovi equilibri tra Nord e Sud del mondo, «energia per l’Africa» significherà sia soddisfare i bisogni primari delle popolazioni locali – in primis l’accesso al cibo – sia far fruttare un enor me potenziale umano, sociale e ambientale per l’intero Pianeta.
Secondo Sachs, è necessario un approccio culturale a questi temi. Infatti, i Sustaina ble Development Goals sono un’ottima opportunità per coinvolgere l’opinione pubblica su queste tematiche e Milano Expo 2015 potrebbe essere una delle migliori occasioni per aumentare la consapevolezza delle persone, considerata la concomitanza dell’even to con il momento di enunciazione degli SDGs. In questo senso, la strutturazione di curricula di studi nelle scuole primarie, secondarie e – ovviamente – a livello universi tario potrebbe rivelarsi un passo essenziale per educare quelle giovani generazioni che nel prossimo futuro dovranno impegnarsi per rendere quello in cui vivono un Pianeta sostenibile.
Il testo della lecture non è stato rivisto dall’autore.
Discussione
Hanno contribuito al dibattito tre importanti esperti istituzionali: Emanuela Co lombo (chairholder della Cattedra UNESCO. Energia per lo sviluppo sostenibile presso il Politecnico di Milano), Eliana La Ferrara (professore ordinario presso l’Università Bocconi di Milano e membro dell’Advisory Board di FEEM) e Alice Perlini (membro della Commissione Scientifica Expo 2015 e responsabile del progetto Feeding Knowledge).
Nel suo intervento Emanuela Colombo ha evidenziato come, al giorno d’oggi, in Europa, siano 50 milioni le persone colpite da povertà energetica a causa della crisi economica, della disoccupazione giovanile e dell’immigrazione. Questo mostra come oggi il problema dell’accesso all’energia non sia un tema rilevante solamente per i paesi in via di sviluppo. L’innovazione, intesa non solo in termini tecnologici, sembra essere l’unico vero driver di cambiamento.
Eliana La Ferrara ha offerto uno sguardo alla transizione verso un’energia più pulita, da un punto di vista microeconomico. Ha spiegato che l’elettrificazione in Africa ha oggi immensi benefici da un punto di vista sia produttivo sia d’impatto sui mercati del lavoro: avere accesso all’energia significa liberare il tempo degli individui dall’incombenza di raccogliere acqua, biomasse e legna, permettendo di investire maggior mente in formazione e attività di business.
Alice Perlini ha colto l’occasione per illustrare Feeding Knowledge, il programma di Expo 2015 per la cooperazione in materia di ricerca e innovazione sulla sicurezza alimentare. Esso istituirà una rete scientifica internazionale per la promozione e il trasferimento di conoscenze sulle politiche e i programmi di sicurezza alimentare e di sostegno affinché soddisfino realmente le esigenze dei paesi in via di sviluppo.
Fonte/Testo originale: Jeffrey D. Sachs ‘Nutrire il Pianeta. Energia per l’Africa’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 3, dicembre 2014, Il Mulino.