Cinquant’anni fa esplode il Rapporto Meadows – parte 4

Nel mondo politico, economico e accademico l’effetto è dirompente. I limiti dello sviluppo ha aperto la via al dibattito su ambiente e sviluppo.

Autore

Pasquale Alferj

Data

15 Novembre 2022

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5' di lettura

DATA

15 Novembre 2022

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Oltre i limiti dello sviluppo

Dopo aver innescato un dibattito prevalentemente tra economisti e incuriosito e sensibilizzato molta gente comune, che per la prima volta poteva mettere in relazione crescita e degrado ambientale, l’interesse era diminuito, con l’arrivo, l’anno successivo, delle prime crisi energetiche. Era però continuata la pubblicazione di altri Rapporti, anche perché all’interno del Club di Roma non tutti erano d’accordo sulle conclusioni de I limiti dello sviluppo, giudicate da una parte degli associati troppo radicali.

A distanza di pochi anni erano seguiti altri studi per precisare, smussare, circoscrivere gli esiti del primo Rapporto, così da liberarsi dell’appellativo di ‘catastrofista’, con il quale, in particolare economisti politici, l’avevano contrassegnato 1

Via via l’interesse verso i problemi sollevati dal Rapporto del Club di Roma si sarebbe affievolito, anche se la sua attività non si è mai arrestata. L’organizzazione è sopravvissuta alla morte del suo fondatore, ma ha perso la primazia acquisita col colpo di mano del 1972. Oggi il clima è diverso, il giudizio del mondo scientifico e politico sui problemi di fondo del pamphlet scritto da ‘ingegneri’ cinquant’anni fa è cambiato anche perché, parallelamente alle riflessioni sullo sviluppo sostenibile, sul cambiamento climatico, ai lavori dell’IPCC, alle diverse Conferenze delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (da Rio a Glasgow), sono cresciute nuove generazioni di scienziati, economisti e attivisti. Uno degli ultimi Rapporti risale al 2012 ed è firmato da Johan Rockström e Anders Wijkman (il primo è lo scienziato svedese che pubblicò nel 2009 su «Nature» lo studio sui ‘nove confini’ da non superare senza mettere in pericolo l’equilibrio del Pianeta). 

A conclusione di questa ricostruzione, rapida e non certo sistematica, dell’avventura avviata da I limiti dello sviluppo, possiamo supporre che nella testa del lettore di allora avevano iniziato a farsi spazio e a interagire varie enunciazioni, quindi questioni. Tra queste: la necessità di avere una visione globale dei problemi; il fatto che in prospettiva avremmo assistito al progressivo esaurimento delle risorse; che esiste uno scarto temporale tra l’originarsi di un problema e la manifestazione dei suoi effetti; che crescita e sviluppo non sono sinonimi, essendo quantitativa la prima e qualitativo il secondo; che la tecnologia va maneggiata con cura perché non è neutrale né ‘salvifica’; che l’innovazione tecnologica è un processo i cui esiti non sono ‘prevedibili’; che è necessario privilegiare il lungo termine piuttosto che il breve; che è utile prestare attenzione alle dinamiche di retroazione (feed-back) e alle interconnessioni multiple tra le diverse parti che compongono un sistema.

La questione del giorno

Già il Rapporto del 1972 invitava a tener conto degli effetti che l’aumento dell’inquinamento, cioè delle emissioni di CO2, avrebbe avuto un ‘effetto climatologico’ a causa del riscaldamento dell’atmosfera. 

Nelle sue ultime interviste recenti, Dennis Meadows sostiene che il cambiamento climatico «non è nient’altro che una nuova fase della crescita esponenziale di cui parla il Rapporto e ciò a sua volta può scatenare altri processi».

Possiamo ridurre la percentuale dei gas serra immessi nell’atmosfera fino a raggiungere lo zero netto, ma possiamo fare ben poco contro quelli già presenti in atmosfera che determinano la temperatura raggiunta. Ritiene che i problemi ecologici siano essenzialmente politici e che malgrado tutte le COP finora fatte, le emissioni di gas serra continuano ad aumentare. Il cambiamento climatico, sostiene l’illustre scienziato, è l’esempio perfetto del perché le cose che possono migliorare a lungo termine, nel breve costano di più e i politici indugiano perché ragionano a breve, perché il loro è ‘un tempo elettorale’. Precisa che sappiamo come ridurre le emissioni di gas serra e possediamo le tecnologie necessarie a facilitarci il compito, ma si tratta di una sfida più culturale che tecnologica. «Credere che la tecnologia da sola permetta di restare nella crescita attuale evitando le conseguenze del riscaldamento climatico è pura fantasia», dice Meadows.  Aggiunge anche che «il capitalismo verde è un ossimoro, non si può essere entrambe le cose». 

In conclusione, lo scienziato è pessimista per quanto riguarda i grandi cambiamenti, ma è molto attento a quelli piccoli. Non ha smesso di agire proprio sulla sfera culturale con la sua attività educativa – è autore di diversi giochi pedagogici per gli insegnanti che vogliono spiegare ai loro studenti i problemi climatici – e mantiene un impegno attivo riguardo alle questioni ambientali locali.

E avverte: «non importa a che punto la situazione sembra difficile, in ogni momento potete scegliere tra differenti opzioni. Alcuni peggioreranno la situazione, altri la miglioreranno. Non esiste un modo per risolvere il problema climatico mondiale, neppure prendendo le migliori decisioni. Ma si può in molti modi, rendere l’impatto del riscaldamento climatico molto meno negativo per sé e la propria famiglia. Se avessi un consiglio da dare, direi: non occupatevi di tutte le cose che non riuscite a risolvere, concentratevi su quelle che fanno la differenza».

Leggi anche:

Cinquant’anni fa esplode il Rapporto Meadows – parte 1

Cinquant’anni fa esplode il Rapporto Meadows – parte 2

Cinquant’anni fa esplode il Rapporto Meadows – parte 3

Note

  1. Due libri hanno negli ultimi anni cercato di verificare la fondatezza del Rapporto Meadows: Ugo Bardi, The limits of the growth revisited, Springer, New York 2011, una ‘controstoria’ del Rapporto e della strategia di ‘neutralizzazione’ delle tesi lì sostenute da parte di alcuni economisti, anche con metodi scorretti; Graham Turner, A comparison of the ‘Limits to growth’ thirty years of reality, CSIRO Sustainable Ecosystems, Camberra 2008, mostra come a trent’anni dalla pubblicazione del rapporto le ipotesi restano valide.
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