Stiamo assistendo e causando la più grande crisi ecologica dai tempi dell’estinzione dei Dinosauri. Essendone i protagonisti, questo fenomeno ha dato origine ad una nuova epoca che segue l’Olocene, detta Antropocene. Se non adottiamo il corretto approccio per vivere in questa nuova epoca, ci saranno nefaste conseguenze sulla società umana e la situazione oggi non sembra andare nella giusta direzione, occorre un cambio di paradigma.
L’accelerazione dei regimi di produzione agroalimentare nel mondo ha prodotto nuove emissioni, introdotto nuove fonti di inquinamento e aumentato la perdita di biodiversità ecologica. Esponendo lo stesso sistema agroalimentare, fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo della società, ad una condizione di insostenibilità. Senza tuttavia aver ancora risolto la problematica della insicurezza alimentare per molte popolazioni del mondo.
Antropocene e conoscenza
Il termine Antropocene viene coniato da Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica, per indicare l’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala globale dagli effetti dell’azione umana.
I cianobatteri miliardi di anni fa emettevano ossigeno attraverso la fotosintesi alterando la concentrazione di O2 nell’atmosfera e generando le condizioni per la vita sulla terra. Oggi l’umanità si fa forza geologica capace di modificare i cicli biogeochimici della terra. Emissione di gas serra, deforestazione e inquinamento sono solo alcuni esempi di come stiamo minacciando la sopravvivenza di qualsiasi forma di vita sulla terra.
Quando quest’epoca sia cominciata è ancora al centro di un dibattito ontologico che vede confrontarsi diverse discipline in un lasso di tempo che va dal 10.000 a.C. (invenzione dell’agricoltura) al 1945, quando, con la fine della II guerra mondiale, inizia un periodo di rapido sviluppo, soprattutto della società occidentale, spinto dalla macchina del progresso tecnologico.
Effettivamente, lo Sviluppo accelerato degli ultimi due secoli coincide con un marcato aumento delle emissioni di gas climalteranti nell’atmosfera, di altre sostanze inquinanti nel suolo e nelle acque, dell’aumento della deforestazione e della perdita di biodiversità a livello globale. Tuttavia, lo stesso progresso tecnologico ci fornisce oggi gli strumenti per analizzare e conoscere lo stato di fatto dell’emergenza climatica.
Per avere un quadro completo della situazione si rimanda allo studio svolto dal team di ricerca del Resilience Research Institute di Stoccolma guidato dal ricercatore Johan Rockstrom sui Planetary Boundaries.
Purtroppo però non tutta la crisi si genera dalla scienza e si può risolvere con la scienza.
Un recente studio geologico effettuato nei suoli della pianura padana ha riscontrato localmente un aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera durante il neolitico. Gli studiosi hanno ritrovato la causa del fenomeno nello sviluppo da nomade a stanziale delle prime civiltà padane che causarono il disboscamento di tutta l’area e, in seguito al rapido aumento della temperatura dovuto al conseguente effetto serra, la scarsa capacità di tale ambiente antropizzato di mitigare gli effetti del riscaldamento e le scarse conoscenze di adattamento della popolazione locale, ne hanno provocato la quasi totale estinzione.
In tempi più moderni, invece, uno dei problemi principali della nostra società è la distanza tra la conoscenza scientifica e le decisioni politiche, dominata quest’ultima completamente dall’economia il mercato. La scienza è capace di dissolvere il pensiero mitico e il ragionamento individualista dell’homo oeconomicus, ma non è in grado di convincere tutti su cosa convenga fare. Ne è una prova il continuo fallimento nell’imporre delle azioni serie ed efficaci alla mitigazione del cambiamento climatico degli incontri internazionali Conference of Parties che si tengono ogni anno, per definire gli accordi sul clima all’interno della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC).
Questi esempi vogliono mostrare come l’Antropocene e la sua crisi non siano una diretta conseguenza del progresso e dello sviluppo in sé, ma più della capacità di analisi e della conoscenza che abbiamo come società delle conseguenze a lungo termine del nostro sviluppo. Oggi siamo una società globale e le conseguenze delle nostre azioni si riversano su scala globale.
Occorre quindi una conoscenza profonda, interdisciplinare e accessibile a tutti per individuare la strada giusta da percorrere.
Agroecologia ed ecopoiesi: questioni di tempo
Dal Neolitico all’Antropocene, l’agricoltura ha sempre giocato un ruolo da protagonista. Singolare è l’affinità delle tecnologie sviluppate dalla Rivoluzione Verde con quelle utilizzate nelle due guerre mondiali: mezzi blindati e trattori, armi chimiche ed erbicidi – la guerra si sposta, il nemico diventa la natura che limita lo Sviluppo.
Un approccio belligerante allo sviluppo della società però non può che avere conseguenze nefaste sul suo decorso. Oggi l’agricoltura è responsabile di impatti ambientali e di ingiustizie sociali su scala globale.
Dal mondo agricolo, prima di tutto, è necessario adottare un nuovo paradigma. Leonardo Tyrtania, antropologo dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, ci mostra la via col concetto di Ecopoiesi, che si origina dal principio del Predicamento Entropico; un paradosso fisico difficile da accettare.
Niente si crea, niente si distrugge e tutto si trasforma – tuttavia la trasformazione ha un costo che si chiama entropia, energia non utilizzabile.
Un sistema vivente nasce, cresce, si riproduce e perisce consumando energia e generando entropia. Per sopravvivere è necessario procurarsi nuova energia, ma non è possibile riutilizzare quella già consumata. Da qui nasce la competizione per le risorse e la lotta per la vita, ma anche la sinergia; da queste relazioni si genera la complessità della vita.
Il bosco, un ecosistema apparentemente in perfetto equilibrio, raggiunto lo stato di climax, esaurisce le risorse a sua disposizione e degrada più o meno velocemente.
Tuttavia, se questo schema sembra doversi concludere con la fine di tutto, esso garantisce invece la sopravvivenza. Per comprendere il paradosso è necessario abbandonare l’idea naïf di natura come sinonimo di ‘equilibrato’ e ‘sostenibile’.
Questa dinamica, apparentemente ineluttabile e senza fine, ha dei limiti dati dai processi di sincronizzazione dei sistemi viventi.
È possibile compensare la dissipazione mantenendo un bilancio locale e temporale a favore della vita, trasferendo l’entropia al mezzo (habitat). Così facendo, i sistemi viventi si mantengono nel gioco della vita. Il nome del gioco è Complessità e le regole sono definite dalla termodinamica.
Non esiste un vincitore. La permanenza nel gioco risiede in un bilancio tra le forze che lo dirigono, un ordine tra l’espansione e la contrazione dei sistemi viventi ai bordi del caos. Bilancio non è la stessa cosa di equilibrio. L’equilibrio è uno stato di zero entropia, uno stato di immobilità.
I concetti di equilibrio dinamico, sviluppo sostenibile, crescita stazionaria ed economia circolare appartengono ad un modello di stato stazionario del mondo non esistente in natura. La crescita è una necessità termodinamica.
Ma se una crescita stazionaria non può esistere, una crescita illimitata ha i giorni contati.
Gli organismi sincronizzano i propri cicli in una rete di processi autoregolati (sinergie). Tutti hanno un proprio tempo e un ritmo e nessuno dà l’ora esatta in assoluto; tutti definiscono la propria ora in relazione al ritmo di scambio con gli altri sistemi. Gli interscambi energetici come il battito cardiaco, la respirazione e la riproduzione, sono scanditi da ritmi e cicli irregolari e non equilibrati. La regolazione degli ecosistemi si dà in un processo spontaneo e casuale (stocastico) di regolazione degli orologi interni di tutti gli esseri viventi.
Per sincronizzarci nel bilancio della vita, dobbiamo prima di tutto chiederci, che ora è?
È l’ora dell’Ecopoiesi, ossia l’interazione delle forze creative dell’evoluzione per permettere l’integrazione tra gli elementi degli ecosistemi all’interno del bilancio. Cooperazione, simbiosi, mutualismo e altrusimo sono solo alcuni dei valori con cui possiamo dare un fine ecopoietico alla nostra evoluzione.
L’agroecologia applica questi valori per realizzare sistemi agricoli, paesaggi e territori ecopoietici generando sinergie tra le forze della vita e sviluppando modelli di produzione compatibili con la capacità di ciascun habitat, verificati localmente e riproducibili in quantità economicamente importanti.
Come l’orologio dell’ecosistema bosco si regola a un ritmo apparentemente eterno rispetto alla durata della vita umana, così l’agroecologia può e deve sincronizzare i ritmi dell’agricoltura con quelli degli altri organismi, per diventare sostenibile.
La visione autopoietica dello Sviluppo Sostenibile imita gli ecosistemi attraverso il progresso accelerato della tecnosfera per separare la società dall’habitat e trasferirla a un mezzo artificiale. Al contrario, l’Ecopoiesi intende la società come parte di un ecosistema che non può paragonarsi al tutto, ma può integrarsi a esso. Si tratta di fare in modo che l’evoluzione della biosfera continui con noi, finché possibile.
Questo programma non è utopico, è l’unica via possibile; perché, se continuiamo su questa strada, la società industriale finirà le sue capacità e successivamente sarà in mano a forze non umane.
I sopravvissuti avranno disperatamente bisogno di modelli di sopravvivenza su piccola scala e basati localmente. Tanto vale iniziare ora.