Classi contraddittorie o contraddizioni di classe?

Per capire la nuova composizione sociale è meglio guardare ai trend socio-economici o alle forme di rappresentanza che nuovi lavoratori esprimono?

Autore

Riccardo Emilio Chesta

Data

17 Ottobre 2022

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5' di lettura

DATA

17 Ottobre 2022

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Classi contraddittorie o contraddizioni di classe?

Il tema delle classi sociali è al centro dell’indagine sociologica sin dalla sua nascita come impresa scientifica autonoma distinta dalle tradizionali analisi speculative. Analisi come quelle marxiane o weberiane hanno permesso di spiegare le logiche di stratificazione delle classi, i rapporti conflittuali o pacificati tra esse, o di comparare gradi di disuguaglianza.

È questo anche il tema centrale del libro di Paolo Perulli e Luciano Vettoretto che sin dal titolo – Neoplebe, Classe Creativa, Elite. La Nuova Italia – propone una tanto ambiziosa quanto inusuale tipologizzazione delle classi che compongono la struttura sociale italiana uscita dalla crisi del 2008. Già all’inizio del libro, nel sottolineare l’urgenza di tale tema, gli autori si riallacciano ai lavori di Sylos Labini sulle classi sociali e procedono poi a delineare le fonti empiriche da cui fanno infine emergere l’inedita proposta di classificazione.

È questa infatti piuttosto inconsueta per il lettore attento alla letteratura sociologica internazionale sulle classi sociali che già dalla fine anni Settanta ha ispirato un ricco dibattito teorico ed empirico che ha visto avvicendarsi, solo per citare le proposte forse più rilevanti, l’analisi di classe neo-marxista di Erik Olin Wright in USA, la proposta del britannico John Goldthorpe, la prospettiva culturalista del francese Pierre Bourdieu (l’unico autore usato, anche se episodicamente, dagli autori). Questi contributi hanno fornito spiegazioni di assoluta innovazione per l’identificazione dei meccanismi fondamentali di strutturazione e riproduzione delle disuguaglianze tra classi. Queste stesse prospettive, nelle loro diverse – e spesso anche antagonistiche – visioni d’intervento sulla società, hanno saputo proporre misure correttive, tanto di policy (come nella partecipazione di Bourdieu alla commissione di riflessione sull’educazione voluta dal socialista Mitterand), quanto di politics (come nel tentativo di Wright di identificare le nuove contraddizioni di classe nel capitalismo americano).

A sorpresa però, nella proposta di Perulli e Vettoretto, il lettore non trova una giustificazione alla mancata trattazione dei contributi di tali prospettive

La criticità di questa assenza si acquisisce nel momento in cui il libro estende l’inedita classificazione – élite, classe creativa, neoplebe – comparandola con le dinamiche di trenta Paesi appartenenti all’Unione Europea e all’European Free Trade Association. È alquanto inusuale nella letteratura contemporanea trovare indagini empiriche comparative su così larga scala.

In ultima, gli scopi d’indagine empirica si collegano a domande, o meglio ad auspici, di connotazione più ‘politica’. È d’obbligo allora soffermarsi sulla pagina conclusiva dell’epilogo dove viene esposta la tesi forse centrale del libro. La cosiddetta ‘classe creativa’ che ad avviso degli autori «si limita a fare da grillo parlante sulle riviste e sul web, ma non assume un ruolo dirigente effettivo» dovrebbe scegliere di allearsi ad alcuni settori considerati chiave della cosiddetta ‘neoplebe’: «i giovani professionals della gig economy, i lavoratori delle industrie in via di robotizzazione, le donne che presidiano l’assistenza sociale e la sanità e la scuola». A quale fine? Secondo Perulli e Vettoretto «una nuova alleanza con questi strati porterebbe la classe creativa al governo della società».

È questo un enunciato assai suggestivo ma che lascia il lettore privo dei riferimenti concettuali ed esplicativi in grado di dare concretezza a tale immagine con cui il libro purtroppo si conclude.

L’ampio dibattito contemporaneo tra sociologi stratificazionisti si è numerose volte soffermato sulle difficoltà di identificare criteri consensuali tanto nella definizione di classe sociale, nei criteri fondamentali di relazione tra le stesse, quanto nei meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze da esse generate. A tale ostacolo spesso si è sommato quello delle storiche specificità nazionali, riscontrabile tanto nelle varietà dei percorsi di genesi della stratificazione sociale, quanto nelle forme di organizzazione politica che hanno cercato di dare rappresentanza alle stesse. 

Se sappiamo con Marx che la storia delle società è storia di lotte di classe, attraverso Bourdieu sappiamo che essa è anche storia di lotte per la classificazione. E così, per poter contribuire in forma cumulativa alla conoscenza scientifica di come individui e gruppi si riproducono e distinguono è necessario non solo osservare i processi di accumulazione e distribuzione di risorse materiali (ricchezza), simboliche (prestigio), e decisionali (potere), ma è altrettanto necessario spiegare le condizioni concrete che portano a fare scelte epistemologiche, a utilizzare lenti concettuali e teoriche in luogo di altre per definire tali processi empirici.

Diverse tradizioni hanno dato infatti diverse definizioni di classe. Alcune prospettive più strutturaliste hanno identificato come fattore esplicativo il livello socio-economico determinato dalla fonte di reddito e dal possesso di proprietà, altre invece hanno guardato più alla posizione nel processo lavorativo. 

Prospettive come quella dello strutturalismo-critico bourdieusiano hanno cercato di identificare i meccanismi di riproduzione della struttura di classe unendo al tradizionale valore esplicativo del capitale economico quello del possesso di forme di capitale culturale (e simbolico, quindi di prestigio a esso accordato), mostrando così quanto in tali processi di identificazione giocassero un ruolo non solo la posizione nei rapporti di produzione, ma anche nella sfera del consumo. 

Le disuguaglianze sarebbero così rinvenibili non solo nella sfera del lavoro e della produzione ma in quella del tempo libero e degli stili di vita, là dove forse è più forte l’illusione della libera scelta, della determinazione del gusto e delle forme di produzione del senso, anche ludica, del sé e dell’identità sociale. Così come è possibile spiegare le disuguaglianze a partire dall’elevata rappresentazione delle professioni liberali ai concerti di musica classica e dalla scarsa presenza di lavoratori manuali, così è possibile mostrare i processi di distinzione che separano un precario della ricerca, provvisto di basso capitale economico e alto livello di capitale culturale, da alcuni settori imprenditoriali, dove il rapporto tra i due capitali è inverso.

Ma se tale prospettiva dà conto in maniera piuttosto convincente del funzionamento della struttura di classe, della sua riproduzione, al contempo essa rivela numerose criticità sul lato della rappresentanza politica, dove le logiche organizzative, di campo, prevedono lotte con logiche pratiche e tempi d’azione ben diverse rispetto a quelle del mutamento della struttura sociale.

A livello micro-sociologico, come si aggregano determinati individui e i gruppi dentro insiemi che definiamo in un universo temporale specifico come classi? A livello macro, come si determinano forme di diseguaglianza tra classi? E come valutare il grado di chiusura o apertura di una società attraverso forme di mobilità ascendente o discendente degli individui e gruppi che la compongono?

Nel libro di Paolo Perulli e Luciano Vettoretto emerge una proposta che appare decisamente inconsueta se si guarda alla letteratura sociologica prevalente a livello internazionale sul tema.

Partendo dal punto più alto del filone neo-marxista sulle classi sociali, ovvero l’opera del sociologo neo-marxista americano Erik-Olin Wright, nel libro di Perulli e Vettoretto manca una riflessione sul tema cruciale delle ‘posizioni di classe contraddittorie’ 1 Nello specifico, guardando a due funzioni come la posizione nei rapporti di dominazione e di sfruttamento, crescenti settori intermedi della neo-borghesia (quelli che a seconda delle classificazioni e dei contesti possono essere dirigenti e professionisti), risultano comunemente sfruttati dai proprietari dei mezzi di produzione, ma diversamente implicati nel controllo di addetti e lavoratori dipendenti, quindi nella sfera della dominazione. Questo farebbe dunque sorgere a seconda di alcune qualità (appartenenza a settori professionali di tipo economico o sociale, imprese private o pubbliche) un tipo di interessi di classe contraddittori. 

Il problema così degli interessi di classe partirebbe da basi materiali e di posizione specifici nel processo lavorativo ma non si esaurirebbe, secondo lo stesso Wright, con essi. La costituzione di una classe come in sé e per sé sarebbe quindi il risultato di un processo di aggregazione dove la determinazione di che cosa sia l’interesse di classe sarebbe esso stesso una questione preliminare, di definizione politica di un soggetto attivo organizzato. È questa la posizione di Adam Przeworski 2 interessato a spiegare la riproduzione del dominio di classe all’interno dell’arena democratica vincolata dal capitalismo, che vede dunque la classe come la costruzione di un’offerta politica da parte di soggetti organizzati come partiti o sindacati, più che come una dimensione materiale autoevidente che emerge dai rapporti lavorativi o da posizioni dentro una struttura economica tutta da definire.

La questione dei processi di costruzione dell’identità collettiva è dunque un tema centrale se si vuole uscire dall’analisi di quelle che Bourdieu chiamava ‘classi su carta’, 3 ovvero la riduzione della questione a tema per addetti a sistemi di classificazione statistica, funzionali alla rilevazione descrittiva più che alla spiegazione dei meccanismi di funzionamento e riproduzione dell’ordine sociale. Le identità di gruppi sociali vanno dunque spiegate anche attraverso le stesse definizioni che i gruppi si danno, tanto nelle loro logiche di identificazione quanto di distinzione reciproca. È un’operazione che non può dunque prescindere da definizioni che sono esse stesse politiche, che definiscono forme di riconoscimento attraverso forme di mobilitazione di interessi e visioni di società prima ancora di porsi il tema della rappresentanza dentro le istituzioni.

Un passaggio tanto preliminare quanto fondamentale per capire le linee di frattura e di alleanza tra gruppi, diversi tanto nel tipo di capitali che detengono quanto nelle identità che rivendicano. Un ultimo discorso andrebbe fatto inoltre su una dimensione ancor più ampia e che non può essere ridotta alla rappresentanza partitica del proletariato; la stessa rappresentanza del sindacato è percepita in molti casi come una sfera di riconoscimento diversa rispetto a tradizionali concezioni che esprimevano immediatamente identificazioni politiche – il pensiero va immediatamente alla celebre metafora della ‘cinghia di trasmissione’ tra sindacato e partito. In tal caso, ritornare a indagare le forme di identità collettiva che emergono dai nuovi conflitti e dalle nuove forme di azione collettiva dei lavoratori – poco importa in fondo se classificati come creativi o neoplebe – potrebbe essere una delle soluzioni più pertinenti per rispondere agli importanti quesiti che il libro si pone.

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Note

  1. E.O. Wright, E.O. Classes. New York and London, Verso, 1985.
  2.  A. Przeworksi, Capitalism and Socialdemocracy. Cambridge: Cambridge University Press, 1989.
  3. P. Bourdieu, ‘Capitale simbolico e Classe sociale’, «Polis», vol. XXVI, n. 3, 2012, pp. 401-415.
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