La riflessione di oggi parte da una assonanza fra due immagini. La prima è una fotografia in bianco e nero un po’ sgualcita. Ritrae una strada completamente innevata, un cielo grigio con dei fiocchi di neve che scendono copiosi, ammantando tutto il paesaggio. Siamo nel 1985. L’anno della grande nevicata e del film Ritorno al Futuro. L’11 marzo di quell’anno, Michail Gorbačëv sarebbe stato eletto segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). In quel periodo la cortina di ferro divideva il mondo in due sfere d’influenza: Stati Uniti da una parte e URSS dall’altra. Sullo sfondo il costante spettro della guerra termonucleare fra le due superpotenze con un arsenale atomico senza precedenti.
Nel contempo una opportunità data dalla enorme energia che la fissione nucleare è in grado di generare. Nonostante il prezzo del petrolio fosse quotato poco meno di 30 dollari al barile, l’economia era reduce dallo shock della stagflazione (la combinazione della stagnazione e inflazione) degli anni Settanta, causata da una contrazione della offerta da parte dell’OPEC. La lunga serie di aumenti del prezzo del petrolio, a partire dall’ottobre 1973, indusse i governi a condurre delle indagini sulla possibilità di ottenere elettricità senza dipendere dalle fonti fossili. Nel 1975 in Italia venne redatto il Piano Energetico Nazionale (PEN) che prevedeva «la realizzazione di ulteriori otto unità nucleari su quattro nuovi siti». Questa nuova fonte di energia, seppur soggetta a qualche perplessità in termini di impatto ambientale, veniva vista come una possibile nuova via per l’energia. La corsa al nucleare si interruppe idealmente, almeno per l’Italia, la notte del 26 aprile 1986 alle ore 1:23:45, con il disastro al reattore 4 della centrale nucleare di Černobyl, in Ucraina. La vittoria del ‘Sì’ al referendum del 1987 implicò la dismissione delle centrali nucleari.
Ci spostiamo ora di quasi 40 anni, al giorno d’oggi, nella medesima strada. Le immagini sono a colori. Sullo sfondo una colonnina per la ricarica delle auto elettriche. Non piove da qualche mese. Il prezzo del petrolio è poco sotto i 110 dollari al barile. Nello scacchiere globale si sono aggiunti altri giocatori, tra i quali Cina e India, ma il confronto è sempre fra Stati Uniti e ciò che rimane dell’Unione Sovietica. Di nuovo lo spettro di un disastro nucleare, sia perché la guerra in Ucraina ha raggiunto anche il territorio di Černobyl’, con il rischio di un nuovo danno a ciò che rimane della centrale, sia perché aleggia lo spettro della guerra termonucleare. L’arsenale delle due superpotenze si è ridotto, ma è pur sempre spaventoso, con un totale di circa 12.000 missili. Tuttavia, anche oggi, il nucleare mostra una nuova opportunità. Si chiama ‘fusione nucleare’.
La fusione è il processo che alimenta le stelle, come il nostro Sole, e promette, nel lungo termine, di essere una fonte di elettricità quasi illimitata, grazie all’utilizzo di piccole quantità di combustibile reperibili ovunque sulla terra, a partire da materie prime poco costose, come l’acqua. A differenza della fissione (su cui si basano le vecchie centrali), la fusione può generare un’energia relativamente pulita e può essere molto più sicura. Oggi sono più di 30 le aziende private dedicate alla fusione in tutto il mondo, raccogliendo finanziamenti per oltre 2,4 miliardi di dollari in totale, quasi tutti da investimenti privati. C’è una vera e propria corsa a questi investimenti, con dinamiche simili a quelle dei viaggi privati nello spazio. Cruciali per queste iniziative sono i progressi dell’informatica e della scienza dei materiali così come la forte spinta che arriva dalla decarbonizzazione e dalla lotta al cambiamento climatico. Oltre che dalla necessità, per ciascuno Stato, di non dipendere da altri in termini di fonti energetiche, come sta accadendo in questi giorni all’Europa. Se si riuscisse a produrre energia elettrica dalla fusione nucleare, il mercato dell’energia muterebbe completamente e non vi sarebbero più problemi di approvvigionamento. È, di fatto, il Sacro Graal della energia.
La ricerca si sta muovendo nella giusta direzione ma, da quanto emerge, è ancora distante dal suo perseguimento. Gli investitori privati indicano un lasso temporale di 10 anni per il suo ottenimento. È più verosimile ne servano circa 30. Il problema principale è che per innescare la reazione serve una enorme quantità di calore. Per contenerla, si stanno utilizzando dei campi magnetici, generati consumando energia. Finora i primi esperimenti hanno prodotto meno energia di quella sfruttata, avendo quindi un saldo negativo.
Ci sono però dei segnali positivi. Recentemente il record sperimentale all’impianto europeo Jet (Joint European Torus) dovrebbe dare speranza per i futuri esperimenti di ITER, il più grande progetto di fusione nucleare al mondo, per un importo di oltre 22 miliardi di euro, attualmente in costruzione in Francia con il sostegno di 35 nazioni, tra cui Cina, Unione Europea, Corea del Sud, Giappone e proprio gli Stati Uniti e la Russia.
La speranza è che questo ritorno al futuro, porti a nuovi scenari per un mondo migliore.