Giugno 2016 – Viviamo in un mondo in cui si affrontano ogni giorno emergenze ambientali, economiche e umanitarie che richiedono risposte rapide. I governi, le aziende, le ONG e gli individui hanno bisogno di poter accedere a dati di alta qualità per individuare le problematiche legate a tali emergenze, trovare una soluzione e verificare l’efficacia degli interventi messi in campo.
Proprio in termini di quantità e qualità, i dati attualmente disponibili non sono affatto soddisfacenti. Nonostante i considerevoli miglioramenti degli ultimi anni, vengono ancora ignorati fenomeni che riguardano intere popolazioni, così come non vengono misurati statisticamente importanti aspetti della vita umana e delle condizioni del Pianeta. Nei confronti dell’individuo, ciò significa violare quanto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, mentre nei confronti del Pianeta vuol dire continuare a percorrere la strada del degrado ambientale.
Quasi incolmabile appare poi il gap tecnologico tra il settore pubblico e quello privato, cioè tra i soggetti dai quali ha origine gran parte dei dati che viene poi impiegato per ottenere informazioni utili per i diversi processi decisionali.
Ma tutto questo può cambiare, e forse sta già cambiando.
I dati come risorsa. Per conoscere, per decidere
I governi, le imprese, i gruppi di ricerca, la società civile e i singoli cittadini sono impegnati come mai nel passato a sperimentare, innovare e adattarsi al nuovo mondo dei dati, un mondo in cui questi sono infinitamente più tempestivi e precisi.
Ecco ciò che s’intende con l’espressione «data revolution». Tale rivoluzione però può accrescere le diseguaglianze esistenti tra chi possiede gli strumenti per utilizzare i dati e chi invece è privo di tali risorse. Tali rischi devono essere affrontati al più presto, salvaguardando allo stesso tempo i diritti umani: la privacy, il rispetto per le minoranze e i diritti degli individui sui dati che li riguardano impongono di bilanciare i diritti delle persone con i benefici della collettività. Molte persone possono poi essere escluse dal nuovo mondo dei dati per una molteplicità di fattori, come la lingua, la povertà, la mancanza di educazione e il mancato accesso alle tecnologie, oppure per motivi discriminatori o pregiudiziali.
A partire dalla conferenza dell’ONU Rio+20 del 2012, il mondo ha intrapreso un ambizioso progetto per indirizzare tutti i Paesi verso uno sviluppo sostenibile. Nel settembre del 2015 i Paesi dell’ONU hanno adottato l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), verso cui dovranno essere orientate le politiche economiche, sociali e ambientali dei prossimi anni. La realizzazione della nuova Agenda richiederà non solo la messa in atto di azioni integrate in campo sociale, ambientale ed economico, ma anche un significativo aumento del volume dei dati accessibile agli individui, ai governi, alle aziende e alle organizzazioni internazionali, al fine di pianificare, monitorare e prendere decisioni responsabili.
I dati sono la linfa vitale dei processi decisionali. Senza di essi, non conosceremmo quante persone sono venute al mondo, quanti uomini, donne e bambini vivono ancora in condizioni di povertà, quanti soldi pubblici sono stati spesi e con quali effetti, se le emissioni di gas serra sono in aumento, se le riserve ittiche nell’oceano si stanno esaurendo eccetera. Per conoscere tutto questo e molto altro è necessario produrre dati di alta qualità che possano essere usati, anno dopo anno, per confrontare i risultati e i cambiamenti avvenuti nei diversi Paesi del mondo. Ciò significa pianificare con attenzione, investire denaro in conoscenze tecniche e in solide infrastrutture e tecnologie, ma anche rendere i dati affidabili e accessibili a tutti, formando al contempo gli individui al loro utilizzo responsabile.
Come sempre, una rivoluzione può portare vantaggi e nuovi problemi: dipende da come si usa la nuova risorsa a disposizione. Il Rapporto A World that Counts. Mobilising the Data Revolution for Sustainable Development 1, prodotto da un gruppo di esperti internazionali che ho coordinato per conto del Segretario Generale dell’ONU, contiene numerose raccomandazioni per muoversi nella direzione auspicata, minimizzando i rischi e aumentando le opportunità derivanti da questa rivoluzione. Per esempio, suggerisce alle Nazioni Unite di assumere la leadership e il coordinamento delle varie iniziative in atto, per consentire alla data revolution di supportare efficacemente lo sviluppo sostenibile, migliorando la cooperazione tra i vecchi e i nuovi data provider, al fine di stabilire degli standard etici, giuridici e statistici atti a migliorare la qualità dei dati, proteggendo al contempo gli individui da eventuali abusi derivanti dal loro utilizzo. Inoltre, intende mobilitare appropriate risorse per superare le disuguaglianze tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, oltre che tra le popolazioni povere e quelle ricche di dati. Infine, il Rapporto propone al sistema statistico internazionale numerose iniziative per promuovere l’innovazione in modo da soddisfare il fabbisogno di dati, creando – per esempio – un laboratorio globale per fondere insieme le fonti di dati tradizionali e quelle innovative (come i big data).
Ovviamente, i governi sono chiamati a svolgere un ruolo centrale in questo processo. Spetta alle Nazioni Unite e ai governi agire urgentemente per permettere ai dati di contribuire alla realizzazione di un vero sviluppo sostenibile, eliminando le diseguaglianze riguardo l’accesso e l’utilizzo dei dati: tra i Paesi sviluppati e in via di sviluppo, tra le popolazioni ricche e quelle povere d’informazioni, e tra il settore pubblico e quello privato. Per questo è necessario mobilitare la politica sull’importanza dei dati per il bene comune e trovare le risorse finanziarie necessarie per investire nelle tecnologie in grado di trasformare i dati in valore per lo sviluppo sostenibile. La rivoluzione dei dati, inoltre, può rappresentare una rivoluzione anche per l’uguaglianza
sociale: essendo sempre più aperti, i dati possono aiutare a condividere la conoscenza, creando un mondo di cittadini informati e consapevoli, in grado di prendere decisioni ed essere responsabili delle loro azioni.
Sono sempre i governi – lavorando idealmente in collaborazione con le istituzioni private, la società civile e l’accademia – a poter fissare e rafforzare i quadri giuridici, garantendo agli individui riservatezza e sicurezza dei loro dati, oltre che ad assicurare la loro qualità e indipendenza. Sono i governi a poter bilanciare gli interessi pubblici e privati e creare dei sistemi che favoriscano la creazione di strutture utili per un impiego sicuro e responsabile dei dati. Infine, sono ancora i governi a essere eletti per rispondere ai cittadini sulle loro scelte e priorità.
La sfida degli indicatori
La Commissione Statistica dell’ONU ha definito, nel mese di marzo di quest’anno, 230 indicatori con i quali monitorare il percorso di avvicinamento ai 17 Obiettivi e ai 169 target dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile. La lista degli indicatori pone una grande sfida agli organismi statistici ufficiali anche nei Paesi sviluppati, in quanto i dati sono disponibili solo per il 55% degli indicatori prescelti; per il 35% esistono le definizioni, ma non i dati, mentre per il rimanente 10% bisogna ancora giungere a un accordo sulle metodologie di misurazione degli indicatori. Di conseguenza, si tratta d’investire sia nel lavoro metodologico di definizione di talune grandezze, sia nella raccolta di dati, utilizzando metodi e tecniche moderne in grado di usare, per esempio, i big data o le informazioni derivanti dalle nuove fonti (processi amministrativi, sensori, satelliti eccetera).
È evidente che, con un sistema di oltre 200 indicatori, sarà molto difficile comunicare ai cittadini il senso della «direzione di marcia», in quanto è presumibile che molti indicatori segneranno dei miglioramenti, mentre altri dei peggioramenti. In altri termini, il rischio di generare confusione sarà molto elevato. Per questo sarà importante elaborare anche indicatori sintetici di tipo settoriale, per esempio per ciascuno dei 17 Obiettivi, così da poter migliorare la comunicazione sul cammino percorso e identificare le priorità su cui concentrare gli sforzi. Esistono già metodologie consolidate per costruire degli indicatori sintetici, ma non va dimenticato che aggregare indicatori diversi richiede la scelta di pesi da assegnare a ciascuno di essi, il che obbliga a esprimere dei giudizi di valore sulla loro importanza relativa. Sarà un tema da affrontare con attenzione, sul quale mi aspetto discussioni infinite di tipo politico, visti anche i diversi sistemi di valori che sono adottati, per esempio, dai Paesi occidentali e da quelli mediorientali.
I dati da soli non bastano, serve anche la capacità di leggerli e di prevedere le future tendenze alla luce dei cambiamenti attesi dalle politiche.
Sono molti, infatti, i fattori che influenzano l’evoluzione dei diversi fenomeni e sarebbe ingiusto attribuire i risultati osservati solo alle politiche intraprese. Per questo, oltre allo sviluppo dei dati, serve promuovere lo sviluppo di strumenti analitici. Da questo punto di vista l’Europa, grazie ai progetti di finanziamento della ricerca come Horizon 2020, potrebbe aiutare il mondo intero sviluppando approcci innovativi da fornire anche a Paesi meno avanzati sul piano statistico e analitico. Inoltre, serve investire nella formazione degli statistici e degli analisti, formando anche i cosiddetti data scientist, figure che integrano la conoscenza dei sistemi di calcolo, dei nuovi software, del calcolo della probabilità e della statistica, dell’economia, della sociologia e dell’ecologia. Insomma, la data revolution richiede anche una nuova generazione di esperti che aiutino a interpretare i dati e a comunicare ai cittadini il loro senso, magari usando nuovi approcci alla visualizzazione delle informazioni sviluppati anche tenendo conto dei risultati delle neuroscienze.
L’uso dei modelli previsionali
In Italia queste problematiche sono state finora trattate dagli esperti, ma è evidente che senza un coinvolgimento di tutti gli attori sociali non si riuscirà a generare quella mobilitazione generale verso lo sviluppo sostenibile. La società civile è stata in prima linea, a livello planetario, in questo processo, contribuendo, insieme al mondo delle imprese e ai governi, a disegnare la nuova Agenda Globale. Per questo, è stata creata l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)2, che riunisce già 80 organizzazioni tra le più importanti del nostro Paese, allo scopo di favorire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità a tutti i livelli, orientando a tale scopo i modelli di produzione e di consumo, e di analizzare le implicazioni e le opportunità per l’Italia legate all’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile e di contribuire alla definizione di una strategia italiana per il conseguimento degli SDGs (anche utilizzando strumenti analitici e previsivi che aiutino la definizione di politiche per lo sviluppo sostenibile) e alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei progressi dell’Italia verso gli SDGs.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto, e considerando lo stato dell’arte in Italia, l’Alleanza intende promuovere la realizzazione di un progetto per il cosiddetto nowcasting degli indicatori, cioè la loro stima anticipata basata su tecniche statistiche ed econometriche, così da ridurre il ritardo con cui le fonti ufficiali (in primo luogo l’ISTAT) renderanno disponibili i dati. Analogo progetto dovrebbe essere avviato per disaggregare gli indicatori sul piano territoriale (almeno a livello regionale). Inoltre, vista la citata difficoltà nella comunicazione pubblica di un set di oltre 200 indicatori, l’Alleanza intende promuovere la costruzione di indicatori sintetici per ciascuno dei 17 SDGs. Infine, grazie all’uso di modelli previsionali, l’Alleanza vuole impegnarsi in un progetto di ricerca per valutare i trend futuri dei principali indicatori, anche allo scopo di valutare come le politiche pubbliche e i comportamenti degli agenti economici possano modificarli.
In conclusione, i dati possono essere uno strumento fondamentale non solo per monitorare l’evoluzione del mondo verso lo sviluppo sostenibile, ma anche per realizzare uno sviluppo veramente sostenibile. Tutte le componenti della società sono chiamate a investire in questa direzione, facendo dei dati una nuova forma di «risorsa rinnovabile», accessibile a tutti, per il bene di tutti e del Pianeta.
Fonte/Testo originale: Enrico Giovannini, ‘La rivoluzione dei big data a sostegno dell’Agenda 2030’ – pubblicato su Fascicolo 1, giugno 2016, Il Mulino.