Adolescenze in transito tra conoscenza e tecnologia

Corpi in mutazione e menti inquiete attraversano il tempo della trasformazione, sospesi tra realtà e immaginazione. Il digitale affascina e confonde, mentre la ricerca di senso disegna traiettorie uniche e imprevedibili.

Autore

Maria Cristina Calle

Data

30 Giugno 2025

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5' di lettura

DATA

30 Giugno 2025

ARGOMENTO

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L’adolescenza sembra aver ereditato il ruolo che fu dell’isteria agli inizi del secolo scorso, quello di interrogare la cultura attraverso quelle manifestazioni enigmatiche, indecifrabili, che la psicopatologia rubrica sotto l’etichetta di sintomi.

Il corpo dell’isterica disegnava incomprensibili archi tremori e paralisi; oggi incontriamo corpi adolescenti irrequieti, iperattivi, anoressici e bulimici, dipendenti da sostanze varie, spaesati rispetto alla loro immagine e alla loro sessualità.  Ma anche menti che appaiono distratte, bloccate, incapaci di attivare processi di apprendimento, apparentemente impigriti davanti a schermi che catturano un loro interesse diffuso, dispersivo, pertinace.

Nell’era digitale, l’idea di un diffuso disagio adolescenziale, spesso attribuito all’uso della tecnologia, ha dato luogo ad una ricerca di comprendere il mistero di tante opache manifestazioni, imbrigliando il transito dei giovani dall’infanzia all’età adulta in gabbie cronologiche, in schemi ordinati per età, numeri e calendari, a dispetto della diversità, della varietà dei soggetti, delle culture e dei tempi.  

La riduttiva tassonomia elaborata dall’ordine cronologico: generazione X, Y, Z alpha, fino all’anticipata introduzione di quella denominata beta che non è ancora nata, che assegna precise caratteristiche a ciascuna età, appare funzionale al rafforzamento di un mercato che fa dei soggetti sostanzialmente dei consumatori.

Altri tentativi di decodificare il senso dei comportamenti e delle manifestazioni, peraltro sempre mutanti in questa età in transito, sono rappresentati da una sistematizzazione che li colloca ordinatamente in una nosografia, classificandoli come disturbi vari, o catalogandoli in acronimi che incasellano le difficoltà nell’apprendimento: ADHD, DSA, BES.

La cronologia, così come la nosografia e la classificazione delle difficoltà di apprendimento, rimangono soggette ad una logica statica che depotenzia la dinamica capacità dei giovani di penetrare quel futuro che diventerà il loro tempo. L’ingresso dei giovani nel sociale, con la loro capacità di modificare il mondo che li accoglie, transitando in una zona di frontiera, in uno spazio liminare, apre, invece, alla possibilità del divenire e alla nascita del nuovo.

Adolescenza come discorso

È possibile avvicinarsi a questo spazio lasciandosi interrogare dalle molteplici espressioni formulate dai soggetti che lo attraversano, declassificandole perché possano svelare frammenti di senso. 

A partire dal corpo, che è il protagonista incontrastato della pubertà, che si modifica inevitabilmente sotto la cifra del biologico, attraversato da irruzioni ormonali e mutazioni che distorcono, destrutturandola, l’immagine di sé e il rapporto con lo spazio, con gli altri, con il mondo, in una metamorfosi che non è ancora sociale e simbolica ma appartiene al registro del reale.

Mentre la pubertà si colloca nel registro reale del corpo, quel registro che deve passare dalla simbolizzazione per umanizzarsi, l’adolescenza è, invece, un fenomeno, oltre che di struttura, di discorso. Un discorso che si occupa di raccontare la storia del soggetto, che mostra il lavoro messo in atto per affrontare questa mutazione e per scrivere il suo approccio al futuro, alla ricerca di un luogo da abitare una volta delimitato lo spazio della propria soggettività.  

Proprio per questa necessità di dare senso alla loro esistenza, per l’urgenza vitale che esprime questo tempo della crescita, l’adolescente ha la capacità di penetrare quel futuro che diventerà il suo tempo, un tempo sempre nuovo.

La frenesia classificatoria, che produce una iper-tassonomizzazione, ha l’effetto di oscurare la possibilità di pensare alla giovinezza nel suo ruolo vitale creativo e originale e di accogliere le sfide che veicolano le risposte, ogni volta diverse, di chi vive questo tempo, per essere ascoltate e, solo in parte, comprese, lasciando ai giovani la costruzione del loro tempo futuro.

Walter Benjamin, ad un certo punto del suo percorso intellettuale, ha pensato alla giovinezza come a una Bella addormentata, bella non soltanto per il suo aspetto fisico ma «bella in quanto cosciente di sé stessa come futuro fattore culturale dell’umanità1». 

Adolescenza e trasmissione della cultura

Il transitare dei giovani verso la ricerca di uno spazio da abitare nel loro futuro, procede anche interrogando le istituzioni e i saperi che esse cercano di trasmettere.

La famiglia, come la scuola, ha perso gran parte della capacità di trasmettere la cultura, così come di rappresentare modelli di identificazione desiderabili. La trasmissione è sempre più condivisa con strumenti tecnologici che accrescono, invece, l’influenza dei pari e veicolano la diffusione di modelli immaginari di perfezione e performance.

In tal modo, la transizione verso l’età in cui si potrà far parte attivamente dello spazio sociale, non muove più dallo spazio familiare verso l’esterno, ma si compone con forme inedite di trasmissione del sapere, dagli effetti ancora ignoti.  

Verso la fine degli anni ‘70 lo storico della famiglia Philippe Ariès, rilevando l’affievolirsi del peso della famiglia nella trasmissione della cultura, aveva già considerato che «la parte svolta dalle generazioni nella trasmissione e nel cambiamento è legata al posto occupato dalla famiglia nella società. Quanto più è di rilievo tanto più importante è la funzione delle generazioni; più è insignificante […] e più il ruolo delle generazioni è modesto2».

La questione della trasmissione e dell’acquisizione della conoscenza, trascende oggi lo specifico lavoro adolescenziale e attraversa tutte le età, in una comune ricerca degli effetti, su tutti i soggetti, della diffusione inarrestabile della tecnologia e della frequentazione virtuale della rete, che condiziona profondamente l’accesso al sapere.

Adolescenza e conoscenza 

Per affrontare il processo di strutturazione della soggettività, in questo momento storico, il lavoro dell’adolescenza incontra anche nuovi strumenti che aprono a nuove possibilità e, contemporaneamente, dispiegano effetti contrastanti e in gran parte ancora sconosciuti.

Lo spazio digitale condiziona il rapporto con la conoscenza che, ad ogni modo, si attiva, in tutto il corso dello sviluppo fino all’adolescenza, a partire dalla pulsione epistemofilica, da quella passione per la conoscenza che non si riduce ad acquisizioni razionali e logiche e non è guidata solo dalla volontà di apprendere, ma è profondamente intessuta, accanto alle altre passioni, nei processi di crescita.

L’adolescenza, che per la sua stessa struttura occupa il secondo culmine dell’evoluzione psichica, è un processo che si affaccia verso uno spazio psichico ancora inesplorato, dove nuove acquisizioni cognitive, nuove capacità speculative, di astrazione e creative fanno capolino, attivando l’urgenza di trovare una propria originale risposta alle due inedite questioni che questo tempo della crescita presenta: l’amore e la conoscenza. Risposte che faranno di ciascuno un soggetto unico e irripetibile.

Si incontrano tra gli adolescenti anche risposte disfunzionali, compromesse dall’utilizzo dei dispositivi tecnologici che possono interferire nello strutturarsi di questo percorso che, tuttavia, rappresentano soltanto una delle declinazioni possibili.  

È diffusa l’idea che «l’assassino dell’intelligenza delle nuove generazioni sia la tecnologia di massa, è l’indiziato più facile, il maggiordomo sul luogo del delitto. Ma non è detto che sia così» altre forme di disagio che possono manifestarsi in rapporto all’apprendimento, che si collocano nella vita di un soggetto in transito nella complessità di un percorso inedito, tutto ancora da scrivere. E come tale va ascoltato, declassificando i sintomi e le manifestazioni apparentemente incongrue che s’incontrano nel percorso scolastico.

Maria si presenta a 20 anni come una reduce della scuola, una veterana del liceo classico dove è stata tre volte bocciata, l’ultima all’esame di maturità. Aleggia su di lei, sin dalle scuole elementari, un alone di sospetto per la presenza di qualche disturbo dell’apprendimento che innumerevoli test consultazioni e approfondimenti non hanno saputo individuare. Eppure nonostante i suoi sforzi, i risultati non sono sufficienti. 

Con una sua naturale tenacia prosegue, anche se in modo incostante, la frequenza a scuola, mentre diventa una bella ragazza allegra solare, acuta nell’analisi dei rapporti tra coetanei e con gli adulti.

La sua figura slanciata sfreccia temeraria in bicicletta per la città, tra feste e incontri con i compagni, alternando periodi di entusiasmi e progetti, ad altri di ritiri domestici dove ama cucinare e occuparsi dei fratelli e di altri bambini come babysitter. Finché arriva l’età della patente, attesa come sanzione di un’autonomia intensamente ricercata che, nello stupore generale, conquista al primo tentativo.

Le difficoltà di apprendimento che hanno accompagnato gli anni scolastici, lasciano così svelare il loro significato di rappresentante della sua unicità: a differenza della sorella minore brava studentessa, lei si è dedicata alla cucina, agli amici, agli amori, distrattamente frequentando la scuola. 

Ora che ha allentato le dipendenze familiari, può recuperare un’immagine di sé integrata, abbandonando la celata ribellione verso le istituzioni e decidere di continuare gli studi per laurearsi in economia.

Elena, stesso percorso di studi, va incontro, dopo gli anni del Covid, a un breakdown evolutivo legato ad esperienze primarie non elaborate. A scuola manifesta intense crisi d’angoscia a fronte di verifiche e interrogazioni che innescano gravissimi comportamenti autolesivi, associati a disturbi del pensiero. Solo un ragazzo di un’altra classe, anche lui in difficoltà nella sua crescita, mantiene con lei un dialogo amichevole, mentre Elena abbandona le attività sportive e gli interessi per concentrarsi nello studio, che ogni volta la porta a nuove violente crisi d’angoscia. 

La scuola accompagna con una discreta e attiva presenza l’evolversi delle cure specialistiche, fino alla maturità. Nel frattempo, la passione per la letteratura e per la scrittura si aprono verso uno spazio di fantasia, vitale, alla scoperta di un mondo nuovo. Inizia allora a sperimentare trasporti amorosi e nuove esperienze nel tentativo di cominciare a dare una forma alla propria soggettività: anche attraverso trasgressioni fase-specifiche, condivise con compagni molto alternativi con i quali si avvicina a passeggere esperienze che includono tatuaggi, piercing, fumo, tendendo un ponte verso l’organizzazione di una mente più integrata, fino a concludere il percorso scolastico.  

Dopo un breve entusiastico tentativo di frequentare la facoltà di filosofia, decide di rinunciare momentaneamente allo studio. Lavora ora per ripristinare esperienze vitali di crescita, prima inaccessibili a causa delle sue condizioni psichiche, per costruire un futuro possibile. 

Lo psicoanalista inglese D. W. Winnicott3 sosteneva che gli adolescenti non vogliono essere capiti e sollecitava gli adulti a tenere per sé quello che riuscivano a capire degli adolescenti. 

Oggi altri autori sembrano associarsi al suo riserbo, accogliendo gli «Adolescenti misteriosi» (G. Charmet), rispettando «Il segreto del figlio […] la sua vita altra, straniera, impossibile da comprendere, irriducibilmente differente» (M. Recalcati).    

Note

  1. W. Benjamin, Obras, Abada, Madrid, 2007, Libro II, Vol 1.
  2. P. Ariés, Generazioni, Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino, 1979.
  3. D. W. Winnicott, Psichiatria dell’adolescente, Armando editore, Roma, 1989, Vol. 1, p. 17.
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