Demografia Italia, al tramonto non segue l’alba

Il caso demografico dell’Italia è caratterizzato da due fenomeni: l’invecchiamento della popolazione e il crollo della natalità.

Autore

Alessandro Lanza, Ilenia Romani

Data

5 Novembre 2024

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

7' di lettura

DATA

5 Novembre 2024

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Demografia

Politiche

CONDIVIDI

Per comprendere l’evoluzione dell’aspettativa di vita cominciamo con un salto temporale. Viaggiamo indietro fino al 1861, all’epoca dell’unità d’Italia. L’autore di questo articolo sarebbe defunto da oltre trent’anni, mentre l’autrice sarebbe quasi in dirittura d’arrivo, dopo aver dato alla luce circa cinque figli1. La realtà odierna fortunatamente è ben diversa: il primo è nel pieno della sua carriera lavorativa e viaggia in tutta Italia per parlare di transizione energetica, la seconda è immersa in un dottorato di ricerca e in questo momento ha più interesse a partorire articoli scientifici piuttosto che figli. 

Al di là delle irrilevanti biografie degli autori, questo veloce esempio ci pone di fronte all’importanza dell’aspettativa di vita. In Italia siamo passati dai 30 anni nel 1820, agli 83 nel 2020; in Giappone dai 34 agli 84; in Germania dai 41 agli 81; negli Stati Uniti dai 39 ai 782. Paesi diversi hanno storie e dinamiche diverse, ma la traiettoria è comune: la modernizzazione economica, scientifica e tecnologica ha portato a un notevole calo della mortalità in quasi tutto il mondo. 

Mentre ai tempi dell’unità d’Italia gli anziani erano i quarantenni, oggi si parla di centenari. Tematica evidenziata dalle cosiddette zone blu, ovvero le regioni con il più alto tasso di centenari viventi. Ne sono state identificate cinque: Okinawa (Giappone), Sardegna (Italia), Icaria (Grecia), Nicoya (Costarica) e Loma Linda (California)3

Guardando a tutta la nostra penisola, l’aspettativa di vita in Italia è attualmente la sesta più alta al mondo. Il grafico 1 rappresenta l’indicatore monitorato per gli ultimi dieci anni. Ciò che emerge è da un lato la differenza tra donne e uomini, dall’altro la stazionarietà che ha caratterizzato l’andamento dell’ultimo decennio, a eccezione del periodo della pandemia Covid-19. 

Grafico 1 – Aspettativa di vita alla nascita, per sesso, in Italia

Naturalmente vivere molto e vivere bene sono concetti molto differenti. Quanti sono gli anni effettivi che una persona può prevedere di vivere senza problemi di salute gravi che limitano le sue attività quotidiane? L’indicatore di riferimento in questo contesto è l’aspettativa di vita in buona salute. 

Grafico 2 – Aspettativa di vita in buona salute, per sesso, in Italia

Nel 2021, le donne italiane avevano un’aspettativa di vita senza gravi problemi di salute di 68,5 anni, mentre gli uomini raggiungevano i 67,7. La differenza tra i due generi è quasi trascurabile, sebbene durante la pandemia di Covid-19 gli uomini abbiano mostrano una diminuzione maggiore delle aspettative di anni sani. Mentre le donne vivono in aspettativa più a lungo degli uomini, questo vantaggio diviene pressoché inesistente quando si tratta degli anni vissuti in buona salute. Questa singolare tendenza è riscontrabile in tutti i Paesi europei: in media, nel 2020, l’aspettativa di vita alla nascita era 83,2 anni per le donne e 77,5 anni per gli uomini, mentre il numero di anni di vita in buona salute alla nascita era di 64,5 anni per le donne e 63,5 anni per gli uomini4. Dunque, gli anni di vita in buona salute rappresentano il 78% e l’82% dell’aspettativa di vita totale per donne e uomini, rispettivamente. 

La differenza di genere nell’aspettativa di vita è un fenomeno relativamente recente, emerso all’inizio del secolo scorso. Per dare un senso a queste informazioni, ai tempi dell’unità d’Italia la differenza era pressoché nulla: se gli uomini morivano per violenza o sul lavoro, le donne per parto. Oggigiorno invece la differenza è per la maggior parte dovuta alle malattie cardiovascolari, più impattanti sugli uomini per ragioni biologiche e genetiche5. Con l’intenzione di isolare questi effetti biologici, il grafico 3 riporta il tasso di mortalità per le dieci fasce di popolazione sotto i 50 anni. 

Grafico 3 – Tasso di mortalità (per mille abitanti), per sesso, in Italia (2021)

Se fino ai 14 anni la differenza di mortalità è nulla, poi tra i due generi inizia ad aprirsi un delta piuttosto importante. 

Tra i 15 e 24 anni, gli incidenti da trasporto risultano essere la principale causa di morte sia per i maschi che per le femmine, per i primi in modo più prevalente (anche per una questione di endogeneità: l’85% degli uomini sono patentati, mentre solo il 63% fra le donne). L’ipotesi che i maschi possano essere dei giovani guidatori meno cauti viene confermata dai dati presi dalle assicurazioni americane, che in alcuni Stati permettono una differenziazione dei premi assicurativi per genere. Il sedicenne medio paga infatti 780 dollari in più all’anno della sua coetanea, mentre il ventenne medio circa 436 dollari in più6. Le morti per suicidio sono la seconda causa più frequente tra i giovani italiani. Guardando a dati OECD7, il tasso di suicidio (ogni 100.000) tra i 15-19enni italiani è di 4 per i maschi e 1 per le femmine. I tumori maligni invece sembrano colpire in egual misura maschi e femmine. 

Per quanto riguarda il segmento giovane-adulto tra i 25 e i 49 anni, le principali differenze di genere nella mortalità sono dovute ancora alla prevalenza delle cause violente nei maschi (incidenti da trasporto e suicidi). La mortalità sale comunque per entrambi i generi, a fronte dell’ascesa del tumore maligno del seno tra le donne e di quelli di trachea, bronchi e polmoni, ma soprattutto le cardiopatie, tra gli uomini8.

Se le donne però sono meno colpite da queste malattie ad alto potenziale di mortalità, esse si ammalano di osteoporosi, artrite reumatoide, calcolosi biliare, patologia tiroidea, anoressia, cefalea… Per cui, pur vivendo di più, tendono a trascorrere gli anni ‘extra’ con condizioni relativamente disabilitanti. Gli uomini, invece, tendono a trascorrere una parte maggiore della loro vita, seppur più breve, senza limitazioni nelle attività quotidiane.

Alla luce di queste dinamiche, sorge la domanda: qual è l’obiettivo macroscopico che vogliamo raggiungere? Dovremmo concentrarci sull’aspettativa di anni in buona salute, investendo in ricerche contro le malattie ‘moderne’ che rendono la vecchiaia afflitta da acciacchi, oppure dovremmo mirare direttamente alla crescita continua dell’aspettativa di vita, puntando a trovare una sorta di cura contro la morte? In Homo Deus, lo storico Yuval Noah Harari elenca tra gli obiettivi dell’umanità del XXI secolo l’immortalità e la divinità: «gli uomini muoiono sempre a causa di un malfunzionamento tecnico […] ogni problema tecnico ha una soluzione tecnica. Non dobbiamo aspettare la Seconda Venuta di Gesù Cristo per sconfiggere la morte»9.

Interrogarsi su queste dinamiche assai complesse sicuramente solleva riflessioni filosofico-esistenziali, ma è altresì importante per guidare le politiche sanitarie e sociali del presente e del futuro. Infatti, alla luce di una popolazione, italiana ma non solo, sempre più vecchia è essenziale considerare anche gli anni di vita in buona salute, un indicatore chiave per valutare il benessere complessivo di una popolazione in evoluzione. 

Il caso demografico del nostro Paese è caratterizzato da due fenomeni paralleli che la retorica politica e mediatica sintetizza in due semplici affermazioni: «la popolazione invecchia» – come appena discusso – e «i giovani non fanno più figli». Focalizziamoci dunque sulla seconda questione: al giorno d’oggi, i giovani non vogliono più fare figli.

Da un lato, vi è una narrativa ‘giudicante’: le nuove generazioni sembrano essere sempre più riluttanti a crescere, a lavorare, ad assumersi responsabilità come acquistare una casa o mettere su famiglia. Dall’altro, ci sono i fattori economici: mantenere figli diventa sempre più costoso, il lavoro è più precario di un tempo, in un’economia caratterizzata da inflazione e bolle immobiliari, con le loro conseguenti impennate nei costi delle abitazioni. Tutti questi fattori rendono particolarmente difficile raggiungere un certo livello di sicurezza economica, un requisito fondamentale per costruire una famiglia. Su quale effettivamente sia l’effetto dominante tra i due non abbiamo intenzione di dibattere. Ancora una volta, preferiamo far parlare i numeri.

È vero, si mettono al mondo meno figli. In soli vent’anni, dal 2002 al 2022, il quoziente di natalità10 nel nostro Paese è passato dal 9,1 per mille al 6,4 per mille. Il tasso di fecondità totale11 è di 1,2 figli per donna, in media. Si tratta di un numero preoccupante se si considera la banalità per cui per concepire un figlio servono due genitori (escludendo le adozioni da parte di genitori single, attualmente in numero esiguo). Il punto di riferimento sarebbe infatti un tasso del 2,1, grazie al quale la popolazione può continuare a crescere (ovviamente un tasso pari a 2 manterrebbe la popolazione stabile). Anche l’età media al parto è fortemente in aumento: se nel 2002 era di 30,7, ora è di 32,5 anni. 

Riflettendo sull’età media delle madri italiane, sorge un interrogativo sulle cause di questa tendenza: è possibile che i giovani abbiano meno figli perché ci sono meno giovani?

Il grafico 4 rappresenta il numero di ragazzi e ragazze italiane al compimento dei 18 anni, in rapporto alla popolazione totale. Se all’inizio degli anni ottanta raggiungevano il 18 per mille, oggi si attestano intorno al 10 per mille. Il fatto che siamo passati da diciotto a dieci diciottenni ogni mille persone ha avuto un grosso impatto sulla natalità del Paese.  

Grafico 4 – Diciottenni su popolazione totale (per mille) in Italia

Per dare un’idea più concreta delle dimensioni di questo fenomeno, proponiamo un semplice esercizio matematico.

Nel 2007 le diciottenni rappresentavano il nove per mille della popolazione italiana. Oggi, queste ragazze avrebbero 33 anni, poco più dell’età media delle donne italiane al momento del parto. In termini assoluti, oggi potenzialmente 283.555 donne si trovano nelle condizioni per potere fare figli (in media). 

Nel 1982, le diciottenni erano il 16 per mille della popolazione italiana. Queste ragazze avrebbero raggiunto i 33 anni nel 1997 (rimanendo dunque molto conservativi e assumendo gli stessi 33 anni medi al parto). In termini assoluti, potenzialmente 451.477 donne nel 1997 si sarebbero trovate nelle condizioni per potere fare figli (in media). Il 62% in più rispetto a oggi. 

Tuttavia, i numeri riportati ci offrono anche una prospettiva positiva: la quota di diciottenni italiani (sia maschi, al 10 per mille, sia femmine, al 9 per mille) è più o meno stabile dal 2005. Pertanto, almeno fino al 2040, eventuali cali non dovrebbero essere attribuiti alla mancanza di giovani. 

Non essendo demografi, non è nostra intenzione proporre previsioni sulla struttura della popolazione italiana negli anni a venire. Tuttavia intendiamo sottolineare come la questione demografica sia un problema assai serio e che richieda analisi scientifiche e multidisciplinari, che confermino o smentiscano le ‘narrative’ con un approccio metodologico. La popolazione italiana è in continuo declino, i tassi di immigrazione attuali sono troppo bassi per compensare il calo delle nascite e, come è noto, con rapporto decrescente tra forza lavoro e popolazione totale, il sistema pensionistico diventerà presto insostenibile e renderà più difficile rilanciare un’economia stagnante come quella italiana. Senza dimenticare la strumentalizzazione politica della crisi demografica, che spesso mette in secondo piano l’urgenza di un dialogo serio riguardante politiche sociali progressiste relative, ad esempio, all’equilibrio famiglia/lavoro. Il giornalista Tobias Jones ha scritto un articolo sul ‘The Guardian’ in cui definisce la situazione attuale della nostra penisola come un ‘inverno demografico’12. Ma sappiamo bene che gli alberi fioriscono in primavera solamente se vi sono le condizioni giuste: temperature più miti, abbondanza d’acqua e giornate di sole.

Note

  1. Statistiche medie prese da A. Rosina, R. Impicciatore, Storia Demografica d’Italia. Crescita, Crisi e Sfide, Carocci, Roma 2022.
  2. A. O’Neill, Global life expectancy from birth in selected regions 1820-2020, in “Statista”, 21 giugno 2022.
  3. D. Buettner, S. Skemp, Blue Zones: Lessons From the World’s Longest Lived, in “American Journal of Lifestyle Medicine”, 2016, pp. 318-321.
  4. Eurostat, Healthy life years by sex (from 2004 onwards), online data code: hlth_hlye
  5. H. Beltràn-Sànchez, C.E. Finch, E.M. Crimmins, Twentieth century surge of excess adult male mortality, in “Proceeding of the National Academy of Sciences”, luglio 2015, pp. 8993-8.
  6. J. Metz, How Age And Gender Affect Car Insurance Rate, in “Forbes Advisor”, 17 agosto 2023, https://www.forbes.com/advisor/car-insurance/rates-age-and-gender.
  7. OECD ILibrary, Suicide rate among the 15-19 year-olds, 3-year average, 2015-17 (or nearest years), https://www.oecd-ilibrary.org/social-issues-migration-health/suicide-rate-among-the-15-19-year-olds-3-year-average-2015-17-or-nearest-years_ff359171-en
  8. M.D. Wong et alii, The Contribution of Specific Causes of Death to Sex Differences in Mortality, in “Public Health Reports”, novembre-dicembre 2006, pp. 746-754.
  9. Y.N. Harar, Homo Deus: A Brief History of Tomorrow, Harvill Secker, London 2017.
  10. L’Istat definisce il quoziente di natalità come il rapporto tra il numero dei nati vivi dell’anno e l’ammontare medio della popolazione residente.
  11.  L’Istat definisce il tasso di fecondità totale – TFT in termini di numero medio di figli per donna: la somma dei quozienti specifici di fecondità calcolati rapportando, per ogni età feconda (15-50 anni), il numero di nati vivi all’ammontare medio annuo della popolazione femminile.
  12.  T. Jones, The battle for births: how the far right are exploiting Italy’s ‘demographic winter, in “The Guardian”, 7 ottobre 2023.
Leggi anche
Società
Coordinate
6′ di lettura

Vivere nello Chthulucene. Donna Haraway interprete dei tempi geologici

di Nicola Manghi
Società
Coordinate
5′ di lettura

La biodiversità urbana: una nuova frontiera della sostenibilità e del conflitto?

di Riccardo Emilio Chesta
Società
Coordinate
6′ di lettura

Misurare la neoplebe, oggi

di Paolo Perulli
Scienza
Viva Voce

AlphaFold: origami proteici da Nobel

di Stefano Bertacchi
3′ di lettura
Clima
Viva Voce

Fragile profondo oceano: la corsa ai metalli

di Maria Alessandra Panzera
5′ di lettura
Società
Viva Voce

Schiena contro schiena: gli strapiombi sociali delle città colombiane

di Gloria Ballestrasse
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

OGM è quando arbitro fischia: il gioco delle TEA

di Stefano Bertacchi
5′ di lettura
Economia
Viva Voce

La competizione geopolitica per la leadership dell’AI

di Ettore Iorio
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Le biotecnologie al bivio europeo

di Stefano Bertacchi
4′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia