Misurare la neoplebe, oggi

La neoplebe è una galassia composita che comprende diversi gruppi, dai vecchi ceti medi al proletariato dei servizi. Priva di una voce collettiva, vive condizioni di sfruttamento senza precedenti.

Autore

Paolo Perulli

Data

28 Ottobre 2024

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6' di lettura

DATA

28 Ottobre 2024

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La crescita della cosiddetta neoplebe è un fenomeno recente, degli anni 2000. È legato all’economia di settori di manovalanza industriale e di servizi poveri (logistica, pulizie, sorveglianza etc.) nonché di welfare privato (cura e assistenza degli anziani etc.) che sono il frutto di un modello economico neoliberista dominato dalle piattaforme digitali: un misto, un ibrido di capitalismo cognitivo (i creativi) e di lavoro servile (i servant).

Questi ultimi, a differenza della classe operaia e impiegatizia tradizionali, sono privi di rappresentanza e di tutela. Nei settori neoplebei si lavora in condizioni di sotto-salario e di super-sfruttamento per produrre beni e servizi rivolti alla classe creativa e ai ceti agiati.

Vi è quindi un nesso di forte e paradossale complementarità tra neoplebe e classi medio-superiori, sin qui trascurato, che va invece colto ed approfondito. I modelli produttivi e di consumo legati alle piattaforme digitali presentano aspetti di estrema degradazione del lavoro, e insieme di utilizzo di beni collettivi (ambiente degradato, mobilità privata) per nulla sostenibili. Eppure, non si stanno sperimentando creazioni alternative di lavoro più intelligente e inclusivo, se non in casi isolati. Una ricostruzione culturale di questi nessi per superare l’individualismo in vista di un condividuo (ne parlano gli antropologi Arjun Appadurai e Francesco Remotti) ci permetterebbe di ideare forme alternative di disegno industriale e sociale: lavori socialmente utili in forma cooperativa, job sharing che permetta un arricchimento delle mansioni, forme di alternanza formazione-lavoro sono tutte possibilità per ora non adeguatamente sviluppate.

Misurare la neoplebe significa quindi, non in senso quantitativo bensì qualitativo. Misurare la distanza e insieme la compresenza, entro le stesse catene del valore, del lavoro creativo di concezione-ideazione e del lavoro neoplebeo di produzione-servizio.

Una definizione

Partiamo da una definizione di neoplebe. Non è una classe sociale, bensì una composita galassia. Essa comprende i vecchi ceti medi, la new and old petty bourgeoisie, la nuova classe operaia legata ai processi di digitalizzazione e automazione, l’ormai ridotto segmento degli imprenditori della piccola impresa tradizionale, i mestieri più tradizionali di artigianato e commercio, il ceto impiegatizio a modesta qualificazione e le ‘burocrazie di strada’ che gestiscono servizi di prossimità, il proletariato dei servizi e, infine, i salariati agricoli e le mansioni non qualificate nel manifatturiero. Si tratta di un composito insieme di lavori dipendenti e indipendenti, manuali e non manuali, protetti e non protetti (soprattutto in relazione alla sfera del pubblico e a quella del privato), di occupazioni (tradizionalmente maschili o femminili) investite, nel corso del tempo, da incertezza, insicurezza, impatti della digitalizzazione, effetti delle migrazioni, declino del prestigio sociale e dell’identità di classe o ceto. 

All’interno di questa galassia molto eterogenea, si rintracciano gradi diversi di esposizione. I più esposti sono gli occupati nei mestieri e produzioni tradizionali, laddove le loro credenziali educative, esperienze, capitale relazionale e propensione al rischio non li mettono nelle condizioni di connettersi alle nuove domande di consumo (come invece avviene per cosiddetti ‘nuovi contadini’ o i produttori di beni singolari e/o di lusso). Lo sono le mansioni specifiche del ceto impiegatizio ormai rese obsolete dalla digitalizzazione. Così come in crescita è il proletariato dei servizi sul crinale tra lavoro regolare e irregolare, stabilità e precarietà, sussistenza e povertà, classe e underclass. In definitiva, sono i servant degli strati del potere economico-burocratico o dei creativi, e persino degli strati a medio-basso reddito in forma di supporto domestico e di cura degli anziani. 

Di questa galassia è parte, infine, il lavoro operaio. Sono i conduttori e operatori di impianti e macchine, da quelli più tradizionali e in crisi (costruzioni, agricoltura) a quelli investiti dall’innovazione tecnologica: digitalizzazione, automazione, robotizzazione. Un segmento che appare problematico, con modeste capacità di adattamento ai processi socioeconomici contemporanei e tuttavia -in particolare nel segmento operaio dell’innovazione tecnologica- non privo della possibilità di stabilire una relazione non subalterna con la classe creativa, nel contesto delle trasformazioni della knowledge economy. Quest’ultima possibilità è quella più auspicabile, ma non la più facile a realizzarsi.

La complessità

La complessità della neoplebe emerge anche chiaramente nei confronti internazionali, ed europei in particolare. La neoplebe in Europa mostra un panorama differenziato per grandi aree del continente. Nei Paesi scandinavi, in Germania, in Francia nei primi due decenni del 2000 la neoplebe non supera il 40% della popolazione lavoratrice, mentre raggiunge il 60% degli occupati nei paesi del Sud europeo, Spagna Italia Grecia Portogallo (legati ai servizi poveri nel consumo) e perfino il 70% nei paesi dell’Est Europa, Romania Bulgaria Slovacchia (in cui invece cresce il lavoro operaio a basso salario frutto delle delocalizzazioni manifatturiere dai paesi più ricchi). Una doppia velocità. Ben visibile dalla mappa della ricchezza procapite (PIL annuo per capita): Norvegia 95.000 USD, Svezia 59.000, Finlandia 55.000, Germania 54.000, Inghilterra 51.000, Francia 47.000, Italia 40.000, Spagna 34.000, Grecia 24.000, Romania 20.000, Bulgaria 17.000.

Invece la classe creativa cresce ovunque, nei paesi nel Nord e del Sud europeo, anche se in Svezia sfiora il 50% delle forze di lavoro, mentre in Bulgaria Romania Slovacchia non raggiunge il 30%. Infine, l’élite è molto presente in Inghilterra (vale l’11% delle forze di lavoro, in prevalenza come dirigenti del settore privato) e Francia (raggiunge il 7%, soprattutto come quadri direttivi del settore pubblico), mentre è debolissima in Italia (1%). Queste differenti classi dominanti spiegano anche una diversa visione dell’Europa negli strati sociali: la Brexit inglese è stata voluta dall’élite e dalla neoplebe insieme, mentre la classe creativa urbana era ed è fortemente europeista. L’ État-nation francese è sostenuto dall’élite repubblicana, ma è declinato in chiave nazionalista e razzista dalla neoplebe periferica. Si tratta di variabili alleanze tra i grandi strati sociali, dalla cui dinamica deriva la governabilità democratica.

La globalità

La globalità della neoplebe come condizione contemporanea emerge se consideriamo la grande galassia delle popolazioni migranti, da Paese a Paese e da continente a continente. Spesso si tratta di persone qualificate, anche laureate, che cercano ed accettano ogni tipo di lavoro, da quello domestico ai servizi dequalificati. È popolazione errante, in una condizione di opacità e di nomadismo. Quest’ultimo distingue però dal ‘nomadismo come freccia’ (di conquista, di scoperta) che ha caratterizzato l’espansione coloniale Occidentale, mentre è oggi ‘nomadismo circolare’, che nega qualsiasi polo o metropoli e si compone di molti linguaggi1. L’errante, sostiene Glissant in questa analisi, sfida e scarta l’universale, quella pretesa di generalizzazione che è una forma di totalitarismo, che esporta i suoi modelli in tutto il mondo. 

Eppure, sfugge a molti la particolare situazione sociale della neoplebe contemporanea. Priva di voce collettiva, che aveva invece caratterizzato la classe operaia e il movimento operaio fino alle grandi conquiste sociali del ‘900, la neoplebe si esprime solo mediante sporadiche proteste di retroguardia (nel 2018 i gilets jaunes francesi contro l’aumento del prezzo del gasolio) o gli scioperi di qualche centro logistico (2016: a Piacenza un camion investe e uccide un operaio che manifestava in solidarietà con altri lavoratori licenziati) o in agricoltura in occasione di gravi incidenti sul lavoro e di caporalato (2024: a Latina un bracciante indiano ferito viene abbandonato dal datore di lavoro come merce scaduta e muore), o infine con l’intervento della magistratura in casi di violenta condotta da parte di false cooperative che sfruttano la neoplebe immigrata (come è avvenuto nel 2021 a Trebaseleghe vicino a Padova, nella modernissima Grafica Veneta). Per il resto, silenzio. La società ignora che una parte maggioritaria della neoplebe vive in condizioni di grave sfruttamento e di precaria insicurezza, e che questa condizione riguarda anche molto lavoro autonomo di giovani professionalizzati, freelance, precari intellettuali, privi di tutele e di diritti elementari. Per esempio, l’ISTAT documenta che i lavoratori dello spettacolo vivono con un reddito annuo di 11.000 euro (9.000 per le donne) vicino alla soglia della povertà, e che metà degli artisti in Italia è ‘povero’. Alla neoplebe appartiene anche, del resto, un ceto medio declassato -non più protetto dai partiti moderati e interclassisti, non più massa di manovra per il consenso- che è privo di futuro: il piccolo commercio rovinato dall’e-commerce, i coltivatori sfruttati dalla grande distribuzione organizzata, e tutta una variegata società di mezzo che sta scivolando verso il basso senza che nessun potere se ne preoccupi. 

È l’Italia di mezzo delle periferie urbane e dei piccoli centri, dei giovani neet che non lavorano né studiano o si arrangiano con lavoretti e del lavoro intellettuale precario, mentre nei centri delle città maggiori domina la classe creativa, e l’élite si isola in comunità recintate e quartieri di lusso. Una geografia sociale poco esplorata, favorita dall’ignoranza dei media e dal vuoto istupidimento dei social networks. Misurare la neoplebe quindi significa studiarne e mostrarne le storie, ma non storytelling bensì buona letteratura. Come Febbre di Jonathan Bazzi, uno spaccato dolente della neoplebe di Rozzano. O studi di indagine antropologica. Come ha fatto Lucio De Capitani raccontando Venezia e l’Antropocene, storie di una società locale nella crisi climatica. O infine documenti di ricerca sulle condizioni di lavoro. Come fa ACTA, l’associazione dei consulenti del terziario avanzato che guadagnano meno di un euro a cartella nel lavoro editoriale, spesso complesso e di qualità, e cui si indicano la necessità e le modalità di ottenere un compenso dignitoso. L’editoria, ci spiega ACTA,  è un settore in cui il reddito mediano netto annuo è di 17.660 euro; le ore di lavoro sono tante per tutti gli inquadramenti, si lavora molto spesso più di otto ore al giorno, di notte, nei weekend; a parità di ore lavorate, le donne guadagnano in media il 18% meno degli uomini; solo la metà di chi ci lavora ha risposto di avere un reddito sufficiente a mantenersi; il 60% di chi lavora in modo autonomo vive una forte dipendenza economica da un solo cliente.

Si misura la neoplebe anche cogliendone le interdipendenze con altri strati sociali e le potenzialità inespresse. Come nel caso della logistica, settore vitale per la consegna veloce, su cui è cresciuto un impero monopolistico: Amazon. Il più usato dalla classe creativa urbana per ricevere libri, oggetti di consumo, supporti tecnologici etc. Mentre per il consumo di pasti veloci si ricorre ai rider. Con quale consapevolezza e con quale ignoranza il consumatore-tipo si avvicina a questo mondo variegato di servizi ‘poveri’, è un altro capitolo tutto da scrivere.

Note

  1. E. Glissant, Poetica della relazione, Quodlibet, 2019
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