L’invasione dei cinghiali in Sardegna: abbiamo sbagliato tutto

Una proposta per arginare l’annoso problema dei grandi mammiferi selvatici che popolano l’Isola. La risposta è solo politica.

Autore

Alessandro Lanza

Data

10 Settembre 2024

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5' di lettura

DATA

10 Settembre 2024

ARGOMENTO

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Come tutti gli anni l’estate porta alla ribalta il tema del sovrappopolamento dei cinghiali e dei relativi disagi. Alcuni aspetti meritano di essere preliminarmente chiariti e, come spesso accade, sono temi sovrapposti che ci riportano indietro a molti anni fa. 

Una tripla premessa: la responsabilità di quello che accade è completamente umana ed è frutto di azioni e politiche fatte, non fatte, o fatte male che risalgono almeno al Secondo dopoguerra. Ne discende – seconda premessa – che se il guaio è totalmente antropico spetta all’uomo e alla politica l’onere di trovare una soluzione. Terza e ultima premessa: la soluzione non esiste. Non c’è insomma una misura che, per quanto draconiana, possa risolvere il guaio in cui ci siamo cacciati. Il risultato deve venire da una serie coordinata di azioni da portare avanti in modo continuativo, con pazienza e perseveranza, con le risorse finanziarie necessarie e, soprattutto, mantenute nel corso degli anni. Aiuterebbe probabilmente l’istituzione di un commissario ad hoc o comunque una figura unica che sia responsabile della gestione della crisi, perché di questo si parla, e che possa in qualche modo accelerare i processi politici e amministrativi che certamente hanno in più di un’occasione intralciato le operazioni, magari coerenti, che sono state fatte nel corso degli anni.

Anticipato l’antefatto vediamo gli elementi più importanti: il cinghiale sardo (Sus scrofa meridionalis, identificato da Forsyth Major nel 1882) è una sottospecie del cinghiale (Sus scrofa, identificato addirittura da Linneo nel 1758) presente in Corsica e Sardegna dalla notte dei tempi.

Come ben spiega Massimo Scandura, zoologo, professore di medicina veterinaria dell’Università di Sassari, il cinghiale è stato importato in Sardegna dall’uomo sin dal neolitico: «si è trattata di una importazione per così dire ‘artificiale’ – racconta lo zoologo – infatti non ci sono nell’isola predatori naturali per questo animale». Non ci sono orsi o lupi e di fatto il cinghiale è un predatore ma, a sua volta, non è una possibile preda. 

Il cinghiale sardo è (ma sarebbe più corretto dire era e spiegheremo il perché) – in media – più piccolo e si era praticamente estinto negli anni ’50 del secolo passato per eccesso di attività venatoria. Un numero eccessivo di fucili hanno avuto la meglio contro un (relativamente esiguo) numero di cinghiali.  

Errore numero uno: siamo andati ben oltre il massimo cacciabile senza che questo intaccasse la possibilità del cinghiale di riprodursi. Stava per accadere alle balene, è accaduto a moltissime specie. L’uomo cacciatore spesso fa fatica a trovare il proprio limite.

A questo punto – sempre a scopo venatorio – si decise di importare in maniera massiccia e incontrollata cinghiali dell’est Europa (errore numero 2 e 3). Errore numero 2 perché non vi fu una seria politica di ripopolamento. Errore numero 3 perché non si ebbe la capacità di prevedere le nuove caratteristiche del cinghiale importato. La popolazione di cinghiali oggi presente in Sardegna, ma anche nel resto d’Italia, è frutto di continue ibridazioni con maiali e cinghiali dell’est Europa, introdotti fino agli anni ‘60 con il consenso delle amministrazioni regionali e provinciali, grazie al desiderio di una lobby piuttosto presente di cacciatori che hanno negli anni ottenuto una politica pubblica tesa all’importazione di cinghiali non autoctoni. Queste azioni hanno dato origine a una popolazione di animali più grossi e, soprattutto, con maggiore capacità riproduttiva. L’insieme del cinghiale sardo e di quello non sardo nell’ultimo mezzo secolo (fortemente ibridizzato anche con il maiale selvatico) ha trovato ulteriore innesto con l’abbandono progressivo delle campagne e dunque la mancata manutenzione del territorio. E l’allungamento della stagione venatoria pare non aver portato grandi risultati. 

Assodato dunque che la responsabilità della diffusione incontrollata è dell’uomo che li ha introdotti per la caccia, resta il fatto che in dieci anni i cinghiali in Sardegna sono raddoppiati: si stima che nell’isola siano oltre 100mila. Un dato di per sé non sconvolgente se si considerano gli oltre 300mila chilometri quadrati dell’isola, ma che assume altro rilievo se si guarda alla concentrazione nella prossimità dei centri abitati dove si trova da mangiare con relativa semplicità, complice ancora la cattiva gestione pubblica e privata relativa alla frazione umida (e dunque commestibile) dei rifiuti solidi urbani. 

A complicare un quadro già di per sé di non facile soluzione ci si mette ancora una volta l’uomo e la sua totale ignoranza nel conoscere il cinghiale così come altre specie animali.

Non è raro vedere nelle nostre spiagge cinghialetti che ricevono cibo dal turista di turno come se fosse il loro cagnetto domestico. L’anno passato ne sono stato personalmente testimone in una delle più belle spiagge dell’isola. E sei fortunato se il tuo interlocutore fa spallucce quando umilmente cerchi di spiegare che se in natura i cinghiali sono degli ungulati che scavano zolle di terra alla ricerca di cibo, dargli il resto del tuo panino con la mortadella reca un enorme danno a te, alla comunità e al cinghiale. 

Fatto un minimo accenno al problema vediamo brevemente alcune soluzioni che, come già detto, devono essere implementate contestualmente. Una premessa necessaria: se un intervento prevede una multa in caso di inadempimento, la classe politica deve fare quadrato e cercare di costruire un consenso trasversale sulla questione. Non si deve speculare sulle possibili ammende. L’Italia è piena di sindaci che hanno fatto fortuna elettorale promettendo che, se fossero stati eletti, avrebbero cancellato con un tratto di penna sanzioni pecuniarie per infrazioni di qualunque natura. Questo tipo di politica deve cessare. A queste condizioni nessuna politica di lotta seria contro il sovrappopolamento del cinghiale o qualunque altra lotta politica potrà mai trovare una via d’uscita. 

È necessario abolire la raccolta porta a porta della frazione umida dei rifiuti urbani nei paesi che non possono disporre di strumenti che non siano semplici cestini messi fuori dalla porta nei giorni stabiliti. Come tutti sanno, questi rifiuti diventano immediatamente cibo per i cinghiali durante la notte. È una consuetudine che va modificata, impegnando i cittadini a dover andare in isole ecologiche o comunque in cassonetti ‘anti cinghiale’ più protetti, che consentano la raccolta della frazione umida in maniera più resistente agli attacchi. È evidente che si tratterebbe di una manovra molto poco apprezzata dal cittadino, il quale paga per intero la tariffa dei rifiuti solidi urbani che comprende la frazione umida. Bisogna ragionarci e sarà importante capire come attuare questo strumento.

Sarà poi necessario impedire in ogni modo l’importazione clandestina di ulteriori cinghiali, sia a uso venatorio che a uso macellazione. Non esistono dati ufficiali, ma il sospetto è che si continui a importare cinghiali in maniera sconsiderata e totalmente distruttiva dell’ambiente.

È necessario inoltre colpire duramente con sanzioni serie chiunque venga trovato a nutrire i cinghiali. È una pratica pericolosa poiché dimentica spesso che i cinghiali sono animali selvatici, che in determinate condizioni possono risultare anche molto pericolosi e che in ogni caso non contribuisce alla riduzione del problema, anzi lo sollecita. Se dovessimo andare a cercare il nostro cibo razzolando per la terra e ci presentassero un piatto di tagliatelle già pronte credo che nessuno di noi avrebbe il dubbio da quale parte del piatto guardare. Pur tuttavia questa pratica di dare da mangiare ai cinghiali, così come a ogni animale selvatico, ha dei risvolti terribili: non ultimo fa perdere ai cinghiali la loro ‘selvaticità’: li diseduca a medio termine a cercarsi il cibo in maniera ‘naturale’. 

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