«The world we have created is a product of our thinking; it cannot be changed without changing our thinking.» — Albert Einstein
Da bambini possiamo sognare di diventare chi vogliamo. Non importa se le probabilità di realizzare questi sogni sono basse.
A quella età tutto ci sembra possibile. La nostra immaginazione non ha limiti, così come le nostre aspirazioni. Ci sono alcune cose però che gli adulti del futuro ancora non sanno e che proprio loro potrebbero cambiare.
Prima di tutto per diventare un Astronauta e non un Cosmonauta devono essere nati in America o in Europa o in Giappone o in India o in Cina. Non che ci sia differenza: un Cosmonauta infatti viaggia nello spazio esattamente come un Astronauta ma è nato in Russia.
Diciamolo chiaramente: l’esplorazione dell’ignoto, il progresso scientifico, quello tecnologico, il cambiamento climatico, la competizione internazionale tra le potenze del nostro pianeta sono i motori che ci stanno trascinando nell’Universo. L’umanità non è più confinata alla superficie terrestre e alle sue risorse limitate! Il nostro sistema solare dispone di energia e risorse materiali in abbondanza, milioni di volte in più rispetto a quelle presenti sulla Terra.
Se il futuro dell’umanità migliorerà man mano che utilizzerà le abbondanti risorse nello spazio, sarà la sopravvivenza umana nello spazio la sfida che viene prima di ogni altra: per esempio abbeverarsi con urina riciclata, ma anche con acqua evaporata e potabilizzata dai capelli. Un litro di acqua nello spazio, per inciso, costa 20.000 euro. L’umidità e l’acqua vengono trattate dal Water Processor Assembly (WPA), una tecnologia della NASA che attraverso una serie di filtri specializzati e un reattore catalitico decompone eventuali tracce di contaminanti residui.
Naturalmente non tutti possono diventare astronauti. Questo obiettivo di carriera, come quello meno ambizioso ma non meno affascinante di diventare un pompiere, fare la ballerina o fare il calciatore, nella maggior parte dei casi è impossibile da realizzare. Ben presto, infatti, la maggior parte degli aspiranti astronauti riconosce di non soddisfare innumerevoli requisiti fisici che per queste carriere non sono negoziabili.
Basta avere un ginocchio debole o i piedi piatti per venire rifiutati. Anche l’altezza conta. Se non si raggiunge il metro e sessanta o si supera il metro e novanta diventare astronauti è fuori discussione. Solo chi pesa tra i 50 e i 95 chili può essere preso in considerazione. Qualsiasi irregolarità non correggibile del corpo mette fuori gioco il candidato astronauta.
Tale perfezione fisiologica non solo non è necessaria, ma potrebbe compromettere il successo delle missioni a lungo termine. La soluzione sta nel progettare strumenti con migliore flessibilità e maggiore feedback tattile. Questi candidati ovviamente sono diversamente abili a causa delle barriere presenti nella società, non a causa della loro menomazione o differenza. Ciò che possono fare o meno dipende principalmente dall’ambiente e, come tale, è soprattutto una questione di decisioni, per esempio progettare diversamente.
Come dice Ersilia Vaudo-Scarpetta, l’astrofisica e Chief Diversity Officer dell’ESA, non siamo fatti per vivere nello spazio. Manca l’aria e quindi i suoni, manca la gravità e non ci si muove così come siamo abituati a fare sulla terra. Nello spazio siamo tutti diversamente abili!
Durante una passeggiata nello spazio nel 2001, l’astronauta canadese Chris Hadfield è rimasto temporaneamente accecato da una combinazione di sapone e lacrime all’interno del suo casco. Il vero problema non era che non riuscisse a vedere, ma il fatto che la progettazione della tuta spaziale costringe gli astronauti a fare eccessivo affidamento sulla coordinazione occhio-mano, escludendo altre informazioni sensoriali utili. Con il bastone spaziale per non vedenti Chris Hadfield avrebbe potuto usare la mano per capire la curvatura o la struttura di qualunque cosa il bastone toccasse.
Un miliardo di persone, ovvero il 16% della popolazione mondiale, sperimenta una qualche forma di disabilità. La disabilità è ovunque e ha tanto da insegnarci. Proprio la diversità, la capacità di ibridare il pensiero e la volontà di guardare le cose da punti di vista differenti danno luogo a visioni più dettagliate, sfaccettate e ricche. Promuovere l’inclusione della disabilità nell’esplorazione spaziale non solo è a beneficio delle comunità emarginate, ma è soprattutto a beneficio dell’umanità intera. Le persone diversamente abili hanno competenze e capacità che le rendono una parte preziosa nella sfida dello spazio e in molti casi sono loro a rappresentare la condizione per riuscire nell’impresa di innovare. E allora, sebbene siano state lanciate nello spazio 600 persone dal primo volo spaziale avvenuto negli anni ’60 a oggi, la NASA e altre agenzie spaziali hanno limitato il lavoro degli astronauti a una minuscola fetta dell’umanità. Non sarebbe ora di sfatare il mito che l’abilità umana sia tutta basata sulla perfezione fisiologica?
Una cultura della perfezione fisica ci ha portato a vedere la disabilità come una tragedia personale, come qualcosa che deve essere curato o prevenuto, come una punizione per un comportamento illecito o come un’indicazione della mancanza di capacità di comportarsi come previsto. Gli astronauti diversamente abili porterebbero inimmaginabili punti di forza e vantaggi intrinseci, che potrebbero migliorare il successo della missione. A causa delle differenze nel sistema vestibolare, alcuni individui non udenti sono immuni o resistenti alla chinetosi. La NASA lo sa fin dagli anni ’50, quando 11 uomini non udenti conosciuti come ‘Gallaudet 11’ parteciparono a ricerche approfondite per contribuire a plasmare il futuro dell’esplorazione spaziale umana. Durante questi esperimenti, la NASA ha dimostrato che i partecipanti non udenti al volo spaziale sarebbero più adattabili ad ambienti gravitazionali sconosciuti, eppure, non è mai esistito un astronauta non udente.
Anche i membri udenti dell’equipaggio trarrebbero beneficio dall’essere fluenti nel linguaggio dei segni poiché ciò consentirebbe la comunicazione non verbale in qualsiasi situazione di emergenza che si traduca in anomalie uditive. La progettazione e il design universale non solo facilitano l’inclusione, ma si traducono intrinsecamente in nuove ridondanze e funzionalità del sistema comunicativo, che migliorerebbero le misure di sicurezza per tutti i membri dell’equipaggio. Promuovere l’inclusione della disabilità nell’esplorazione spaziale non solo è a beneficio delle comunità emarginate, ma è soprattutto a beneficio dell’umanità intera, perché tra l’essere una persona con disabilità ed essere un astronauta c’è un nesso. Dal progettare tute con migliore flessibilità e maggior feedback tattile, in modo che le mani possano essere usate più facilmente per esplorare e manipolare gli strumenti, a trovare soluzioni alternative come, per esempio, un piccolo bastone telescopico con la punta di gomma pelosa.
Come fa un non vedente a determinare dove si trova il basso in assenza di gravità? Questo non è un problema poiché la persona fluttua a gravità zero, ma una volta che la gravità ritorna ‘devi sapere come posizionare il tuo corpo in modo da non atterrare sulla testa.’ Con il bastone spaziale un non vedente può usare l’altra mano per capire la curvatura o la struttura di qualunque cosa il bastone tocca. Questi candidati ovviamente sono diversamente abili a causa delle barriere presenti nella società, non a causa della loro menomazione o differenza. Ciò che possono fare o meno dipende principalmente dall’ambiente e, come tale, è principalmente una questione di decisioni, un progettare diversamente. Per esempio, progettare una bacchetta ultrasonica che fa rimbalzare le onde sonore sugli oggetti nell’aereo, un po’ come fa un pipistrello con l’eco-localizzazione. La bacchetta vibra quando c’è qualcosa e trova un ostacolo davanti.
Qualcosa però sta cambiando.
Negli Stati Uniti esiste una ONG dedicata a promuovere l’inclusione della disabilità nell’esplorazione umana dello spazio, aprendo la strada agli astronauti disabili. Si chiama AstroAccess. Dalla sua fondazione, nel 2021, AstroAccess ha condotto cinque missioni in micro-gravità in cui scienziati, veterani, studenti, atleti e artisti diversamente abili eseguono dimostrazioni a bordo di voli parabolici con la Zero Gravity Corporation. È il primo passo che rende possibile il volo nello spazio a una vasta gamma di persone. L’obiettivo è che una persona con disabilità possa eventualmente effettuare prima un volo suborbitale e poi un volo orbitale. Per AstroAccess l’inclusione di astronauti diversamente abili negli equipaggi in missione nello spazio è un importante asset a beneficio delle comunità di diversamente abili ma anche delle discipline STEM (acronimo inglese per: Scienza- tecnologia- ingegneria- matematica) nel loro insieme. Un bagaglio di nuove prospettive utili ad arricchire la scienza e a promuoverne i benefici per la società.
Fari sonori che consentano ai membri dell’equipaggio non vedenti di orientarsi nello spazio 3D, o i marcatori tattili all’interno della cabina dell’aereo per facilitare l’accesso ai membri non vedenti dell’equipaggio, sono innovazioni utili per il progresso di tutti, non solo a beneficio delle persone con disabilità.
L’obiettivo di AstroAccess è che le idee, le esperienze, le prospettive e i punti di forza degli studenti, degli scienziati e degli esploratori spaziali disabili possano portare benefici al mondo. Possibile? Assolutamente si!
John Mc Fall , Medaglia argento alle Paraolimpiadi, fa parte a pieno titolo del corpo astronauti di riserva dell’Agenzia spaziale europea (ESA). Diventare il primo para-astronauta della storia è stato possibile grazie al progetto pilota FLY, che nel 2022 ha accettato richieste da parte di persone con amputazioni alle gambe o particolarmente bassi, e spera di espandersi per includere più tipi di disabilità in futuro.
Oggi possiamo quindi affermare che una protesi alla gamba non rappresenta un limite per viaggiare nello spazio. E ben fanno SpaceX e Virgin Galactica, che non hanno un elenco di condizioni di squalifica per gli astronauti diversamente abili.
Blue Origin, la compagnia spaziale privata fondata da Jeff Bezos, ha recentemente compiuto la storica imprese di mandare Ed Dwight a 90 anni compiuti nello spazio, l’astronauta più anziano di sempre. Questa nuova prospettiva ci invita a re-immaginare ciò che ci divide e ci connette come persone. Il vero progresso sta nel considerare l’esplorazione spaziale non più come conquista, voglia di mettere una presa umana nel sistema solare, ma come opportunità di portare valori quali l’inclusione, la ricerca, la conoscenza e il prendersi cura del nostro Pianeta. Se la partecipazione al progresso umano fosse veramente accessibile a tutti, gli innovatori e i risolutori di problemi del nostro mondo sarebbero i migliori tra i migliori, non solo i migliori tra i non diversamente abili. Lasciamo che le persone siano quegli esseri umani complessi che sono, dotati sia di punti di forza che di debolezza.